663 pagine di romanzo fantasy sui generis, che sono state definite da molti una vera novità e che hanno suscitato grande entusiasmo tra i critici e notevoli riconoscimenti all’autore, un giovane britannico, attivista di sinistra.
Ma ? va detto subito ? scrivere qualcosa di nuovo nel genere Fantasy non è un granché difficile, dal momento che la produzione media da anni continua a riciclare le solite storie eroiche piene di spade e leggende dimenticate, magia e altre insulse stupidaggini.
Questo genere vive male il confronto con il suo capostipite, l’ineguagliabile Il Signore degli Anelli, che pare aver esaurito − ancor prima che nascesse − tutte le potenzialità del Fantasy, destinato a restare un triste clone.
CHINA MIÉVILLE però riesce ad uscire dagli stereotipi lisi e noiosi del genere, reinventando un modo di scrivere fantasy: il mondo che crea, quello di New Crobuzon, potrebbe essere il nostro fra tremila anni, oppure emergere da un universo parallelo, popolato com’è da razze strane e sconosciute e retto da una scienza arcana, che mischia tecnologia e negromanzia.
Niente di totalmente nuovo, certo, ma quello che convince del romanzo La Città delle Navi è il modo di raccontare questa strana realtà: Miéville utilizza un tono dimesso, come se stesse raccontando una qualsiasi avventura, senza stucchevoli e altisonanti toni eroici, dando così concretezza al mondo che crea.
Insomma, leggendo La Città delle Navi viene in mente più Salgari o Verne che qualsiasi attuale scrittore di Fantasy.
E forse il motivo sta anche nella storia raccontata nel libro: Bellis Coldwine, la protagonista, si imbarca su una nave che da New Crobuzon andrà fino a Nova Esperium, una colonia della grande città. Non è chiaro il motivo di quella che, fin da subito, appare una vera e propria fuga misteriosa, le cui ragioni vengono sapientemente nascoste.
Il Tersicoria subisce però un attacco da parte di una strana masnada di pirati, che − dopo un cruento combattimento − sequestrano la nave e tutti i passeggeri, portandoli ad Armada, la loro fantastica città sul mare.
E qui Miéville dà il meglio di sé stesso, descrivendo una città straordinaria con fantasia ed eleganza: Armada è composta da migliaia di barche di ogni tipo e foggia sequestrate in centinaia di anni e collegate le une alle altre, fino a formare un’immensa città galleggiante che si sposta a seconda delle necessità sui mari di questo strano e pericoloso pianeta.
Armada ha i suoi ristoranti, i suoi giardini e la sua enorme biblioteca, dove Bellis troverà lavoro: i pirati, infatti, non uccidono i passeggeri e danno loro la possibilità di integrarsi nella città. I cittadini sono di tutte le razze immaginabili, alcuni dei quali anfibi, altri invece Rifatti, prigionieri di New Crobuzon liberati, e la struttura sociale è piuttosto ugualitaria, alla maniera dei pirati: tutti hanno una casa e un lavoro in un’economia basata sul commercio ma soprattutto sulla depredazione delle navi nemiche.
Armada è divisa in diversi quartieri, ognuno dei quali ha la sua propria struttura politica: Acqualuccio, quello dove vive Bellis, è retto dagli Amanti, un uomo e una donna che, durante l’amore, si sfregiano il viso a vicenda, tanto da avere una ragnatela di ferite sulla faccia.
Bellis ha, dunque, un lavoro, ma non riesce a integrarsi: nutre odio per coloro che l’hanno rapita e soffre terribilmente per il fatto che non potrà mai più ritrovare New Crobuzon.
Si lega quindi a un equivoco commerciante, catturato insieme a lei dai pirati, Silas Fennec, con il quale mette a punto un piano per cercare di tornare a casa, piano che si intersecherà con il grande progetto dei reggenti di Acqualuccio che hanno riunito scienziati da tutto il mondo per riuscire a trascinare Armada fino alla “cicatrice”, un luogo in un oceano lontano dove la legge delle probabilità è stata domata da un popolo antico e misterioso.
In un crescendo di colpi di scena e avventure, di terribili battaglie e negromanzie, tradimenti e piani segreti, La Città delle Navi trascina senza noia il lettore verso un finale un po’ piatto. Miéville è molto bravo ed efficace nel descrivere il sistema economico e sociale di Armada, lo è di meno a costruire il dipanarsi dell’intreccio, che a volte risulta un po’ artificioso, con dei passaggi poco chiari, che non spiegano ma nascondono.
È spesso questa la cifra della letteratura fantasy: gli autori possono permettersi di non spiegare come avvengono determinati fatti, tirando in ballo la magia e non provando nemmeno a fare ipotesi. È la grande differenza che separa questo genere dalla Fantascienza, certamente molto più seria.
L’autore, infatti, non mi pare credibile fino in fondo quando dipinge il suo strano mondo, in cui si mischiano scienza e taumaturgia e glissa un po’ su aspetti che sarebbe stato invece interessante approfondire.
Con una metafora, si potrebbe paragonare l’andamento del racconto a un tamburo rullante di un circo pieno di esseri strani: all’inizio dello spettacolo il tamburo rulla pian pianino e poi, a mano a mano che le pagine corrono, il suo rullare si fa sempre più forte, finché diventa assordante quanto la suspense è massima.
Miéville avrebbe però potuto aggiungere, nella sua orchestra da circo, qualche strumento in più.