La Genesi della Specie (Hominids, 2002) Robert J. Sawyer

La Genesi della Specie

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Anteprima testo

La Genesi della Specie (Hominids, 2002) Robert J. Sawyer

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Era buio fitto.

La ventottenne Louise Benoit, ricercatrice di Montreal dai folti capelli castani raccolti, secondo le regole, in una retina, vegliava nelle tenebre dell’angusta sala di controllo, sepolta due chilometri sotto la superficie terrestre, o ‘un miglio e un quarto,’ come le capitava di spiegare con un accento che i visitatori americani trovavano affascinante.

La sala di controllo era situata accanto alla piattaforma collocata nell’ampia caverna buia nella quale era stato costruito anche l’Osservatorio di neutrini di Sudbury. Sospesa al centro della cavità si trovava la sfera di acrilico più grande del mondo, dodici metri di diametro, che conteneva mille e cento tonnellate di acqua pesante fornita dalla società per l’energia atomica del Canada. Il globo trasparente era avvolto da una rete geodetica di montanti di acciaio inossidabile che sostenevano 9.600 tubi fotomoltiplicatori, ognuno dei quali terminava con una parabola riflettente rivolta verso il centro della sfera. Tutto questo – l’acqua pesante, il globo di acrilico che la conteneva e la struttura geodetica che lo avvolgeva – era raccolto in una cavità a forma di botte alta dieci piani, scavata nella norite. La gigantesca caverna era riempita sin quasi alla sommità di acqua normale, purissima.

Louise sapeva bene che i due chilometri di roccia dello scudo canadese che separavano la caverna dalla superficie servivano a proteggere l’acqua pesante dall’azione dei raggi cosmici, mentre lo strato di acqua normale assorbiva le radiazioni naturali emanate dalle piccole quantità di uranio e di torio presenti nella roccia circostante, evitandone così il contatto con l’acqua pesante. In realtà, a parte i neutrini, particelle subatomiche infinitesimali che Louise stava studiando, nulla poteva penetrare sino all’acqua pesante. Ogni secondo trilioni di neutrini piombavano sulla terra, e di fatto soltanto un neutrino poteva passare attraverso un blocco di piombo dello spessore di un anno-luce e avere solo il cinquanta per cento di possibilità di entrare in collisione con qualcosa.

Eppure, poiché il sole emana un’enorme quantità di neutrini, potevano verificarsi sporadiche collisioni, e in tal caso l’acqua pesante era un bersaglio ideale. Infatti ogni nucleo di idrogeno di acqua pesante contiene un protone (il costituente ordinario di un nucleo d’idrogeno) e un neutrone. Quando un neutrino entra in collisione con un neutrone questo decade, rilasciando a sua volta un protone, un elettrone e un lampo di luce che può essere rilevato dai tubi fotomoltiplicatori.

Quando scattò l’allarme del sistema preposto alla localizzazione dei neutrini, le brune sopracciglia arcuate di Louise non si mossero. Sebbene questa fosse la cosa più elettrizzante che potesse accadere laggiù, l’evento si verificava almeno una dozzina di volte al giorno, per cui la giovane ricercatrice non alzò gli occhi dalla rivista che stava leggendo. Ma quando l’allarme suonò di nuovo, e poi ancora, stabilizzandosi infine in un suono solido, breve e acuto come il bip dell’ecocardiogramma di un moribondo, Louise si alzò dal tavolo di lavoro e si avvicinò al quadro di controllo, su cui era stata posta una foto di Stephen Hawking, che qualche anno prima, nel 1998, aveva visitato l’Osservatorio in occasione della sua inaugurazione. Louise batté leggermente le dita sulle casse del sistema di allarme per accertarsi che non si fosse verificato qualche guasto, ma il lamentoso segnale continuò a risuonare.

Da un altro ambiente dell’enorme complesso sotterraneo, Paul Kiriyama, uno studente magrissimo, irruppe nella sala di controllo. Con Louise nei paraggi, Paul si trovava sempre in grande imbarazzo, ma questa volta non gli mancarono le parole: «Che diavolo succede?» Sul quadro dei comandi tutte le lucette della griglia di novantotto per novantotto diodi fotoemittenti, che indicavano i tubi fotomoltiplicatori, erano illuminate.

«Forse qualcuno ha acceso per sbaglio le luci nella caverna» ipotizzò Louise senza crederci troppo.

Finalmente il bip prolungato cessò. Paul pigiò un paio di pulsanti, attivando cinque monitor collegati ad altrettante telecamere subacquee poste all’interno della camera di rilevamento. Gli schermi erano rettangoli neri perfetti. «Be’, se le luci sono state accese, adesso sono spente. Mi chiedo cosa…»

«Una supernova!» gridò Louise battendo le dita affusolate delle mani. «Dobbiamo chiedere priorità assoluta all’ufficio centrale dei telegrammi.» Anche se l’osservatorio era stato costruito con l’intento di studiare i neutrini provenienti dal sole, era possibile localizzare anche dei neutrini provenienti da altre fonti.

Paul annuì, sedette davanti a un computer e si collegò al sito dell’Ufficio dei telegrammi. Louise sapeva che ogni evento andava comunque segnalato, anche se non si aveva la certezza della sua esatta natura.

Un nuova serie di bip risuonò dal pannello di controllo. Louise guardò il quadro dei comandi: centinaia di piccole luci illuminavano la griglia. Strano, pensò. Il sistema dovrebbe rilevare una supernova come una fonte direzionale…

«Forse c’è qualche problema nel sistema di rilevamento» ipotizzò Paul, che evidentemente era giunto alle stesse conclusioni. «O magari è saltata una delle connessioni ai fotomoltiplicatori e le altre chiudono il circuito.»

Ad un tratto s’udì un cigolio stridente, proveniente dalla porta che dava sulla piattaforma posta al di sopra della gigantesca camera di rilevamento. «Forse dovremmo accendere le luci»

disse Louise. Quella specie di gemito continuava a riverberarsi nell’aria, come una bestia che brancola nel buio.

«E se si trattasse davvero di una supernova?» si chiese Paul. «Il rilevatore magnetico non funziona con le luci accese, e…»

Si udì un forte schiocco, simile al colpo secco di una pallina colpita da un giocatore di hockey. «Accendi la luce!»

Paul sollevò il coperchio posto a protezione dell’interruttore e lo azionò. Le immagini sui monitor tremolarono per un istante prima di stabilizzarsi e mostrare…

«Mon dieu!» esclamò Louise.

«C’è qualcosa nella vasca dell’acqua pesante!» disse Paul. «Ma come…»

«Lo vedi?» gli chiese Louise. «Si muove e… mio Dio, è un uomo!»

Nell’aria risuonava sempre quel gemito stridente, finché…

Lo videro nei monitor e lo sentirono al di là del muro.

Improvvisamente le giunture dell’enorme sfera acrilica cedettero. «Maledizione!» imprecò Louise, rendendosi immediatamente conto che l’acqua pesante si sarebbe mescolata con quella normale all’interno della caverna a forma di botte. Il cuore le batteva come un martello pneumatico. Per una frazione di secondo non seppe se a preoccuparla fosse più la distruzione del rilevatore o l’uomo che stava annegando lì dentro.

«Forza!» disse Paul correndo verso la porta che dava sulla piattaforma. Le telecamere, collegate ai videoregistratori, avrebbero filmato tutto.

«Aspetta» lo fermò Louise, che si precipitò nella sala di controllo, afferrò un ricevitore e digitò un numero interno preso da una lista appesa al muro.

Dopo due squilli rispose una voce dall’accento giamaicano. «Il dottor Montego? Sono Louise Benoit, dall’Osservatorio di Sudbury. Un uomo sta annegando nella camera di rilevamento.»

«Un uomo sta annegando?» fece eco Montego. «Ma come è finito lì dentro?»

«Non lo sappiamo. Faccia presto!»

«Vengo subito.» Louise riattaccò e si precipitò verso la stessa porta blu superata poco prima da Paul, che nel frattempo si era richiusa. Conosceva a memoria la scritta:

CHIUDERE LA PORTA
ATTENZIONE! CAVI AD ALTA TENSIONE
VIETATO INTRODURRE APPARECCHIATURE
ELETTRONICHE NON AUTORIZZATE
CONTROLLO QUALITÀ DELL’ARIA
ACCESSO VIETATO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO

Afferrò la maniglia, apri la porta e si ritrovò sull’ampia piattaforma di metallo.

In un angolo c’era una botola che dava nella camera di rilevamento, sigillata dopo che i lavori erano stati ultimati. Con sua grande sorpresa, constatò che i quaranta bulloni che serravano la porta erano intatti, e… non c’era altro modo per entrare lì dentro…

Le mura intorno alla piattaforma erano ricoperte da lamine di plastica verde scuro che la isolavano dai frammenti rocciosi. Alcune postazioni di computer erano allineate lungo le pareti, altre erano sistemate su delle mensole. Il soffitto era rinforzato con lunghe travi di acciaio, dalle quali pendevano decine di condotti e tubi di polipropilene. All’estremità opposta Paul stava rovistando freneticamente su una delle mensole, forse alla ricerca di una chiave adatta a smontare i bulloni.

Il metallo strideva come in preda a tormenti. Louise corse verso la botola, pur consapevole che senza attrezzi avrebbe potuto fare ben poco per aprirla. Un tuffo al cuore: i bulloni schizzarono via come impazziti, producendo un fragore simile a una raffica di mitragliatrice. La botola rinculò con violenza sui cardini, spalancandosi con un rimbombo fragoroso. Louise tentò di spostarsi dalla traiettoria, ma fu colpita da un getto di acqua gelida che la inzuppò tutta.

La sommità della camera di rilevamento si riempì all’istante di azoto, e il getto d’acqua si affievolì subito. Louise si avvicinò all’apertura e guardò di sotto, trattenendo il respiro. L’interno era illuminato dai riflettori accesi da Paul. L’acqua era chiarissima: si vedeva il fondo, trenta metri più sotto. Dato che l’indice di rifrazione dell’acrilico è quasi identico a quello dell’acqua, la visuale non era chiara, tanto che Louise riusciva appena a distinguere l’enorme sezione concava della sfera. Le parti della struttura che adesso erano separate, ancorate al tetto con cavi di fibra sintetica, e questo aveva impedito che affondassero sul fondo della struttura geodetica. La piccola apertura della botola consentiva una prospettiva limitata, e Louise non riusciva a scorgere l’uomo che stava affogando.

«Merde!» Le luci all’interno della camera di rilevamento si erano improvvisamente spente. «Paul!» gridò. «Che stai facendo?»

A causa del rumore dei sistemi dell’aria condizionata e dello sciabordio dell’acqua presente nell’enorme caverna, la voce di Paul, proveniente adesso dalla sala di controllo, era appena percettibile. «Se quell’uomo è ancora vivo» gridò di rimando «vedrà le luci della piattaforma attraverso la botola.»

Louise annuì. In effetti, l’unica cosa che un essere umano avrebbe potuto vedere da lì sotto, nell’immenso soffitto buio, era la luce che filtrava da un’apertura quadrata larga un metro.

Un attimo dopo Paul le era accanto. Louise si voltò a guardarlo, poi tornò a…

La genesi della specie - Copertina

Tit. originale: Hominids

Anno: 2002

Autore: Robert J. Sawyer

Ciclo: Neanderthal Parallax #1

Edizione: Fanucci (anno 2004), collana “Solaria” #10

Traduttore: Giuseppe Costigliola

Pagine: 316

ISBN: 8834709837

ISBN-13: 9788834709832

Dalla copertina | Durante un esperimento di calcolo quantistico Ponter Boddit, uno scienziato Neandertal, supera accidentalmente le barriere che separano il suo mondo da quello della specie umana e si ritrova in un universo parallelo, che gli appare carico di contraddizioni e di ambiguità. Messo in isolamento, l’alieno diviene un oggetto di studio per un gruppo di ricercatori ed esperti, e un’attrazione irresistibile per i media e per i politici delle varie nazioni, che ne reclamano l’ideale proprietà. Nello stesso tempo, nella dimensione dei Neandertal, il compagno di Ponter, Adikor Huld, viene accusato del suo omicidio. Riuscirà a provare la propria innocenza, pur non potendo neppure immaginare quanto gli è accaduto?

#1 – La Genesi della Specie

#2 – Fuga dal Pianeta degli Umani

#3 – Origine dell’Ibrido