La Legione Perduta

La Legione Perduta

Gallia 56-57 a.C.

Un distaccamento romano di nove manipoli è in missione esplorativa per conto di Cesare nel territorio dei Lexovii. Un’imboscata tesa da questi ultimi costringe il giovane e inesperto Marcus Aemilius Scaurus ad accettare un duello con uno dei capi celtici locali, Viridovix. Dal loro incrociarsi di spade (entrambe non lame comuni) scaturirà una sfera di luce che condurrà i soldati Romani e il condottiero celta in una dimensione parallela, dando l’avvio a una delle più appassionanti e innovative saghe fantasy degli ultimi anni.

Dico questo a ragion veduta e in un certo senso faccio eco all’entusiastica presentazione di ALEX VOGLINO, anch’essa assolutamente da gustare. Voglino in primis evidenzia come per la prima volta troviamo un autore, HARRY TURTLEDOVE, che si appoggia all’ampia tradizione classica per creare un immaginario fantasy: esperimento assolutamente riuscito.

Turtledove ama quello che definirei uno sperimentalismo sociale e ucronico, catapultando questi Romani, vissuti nel I secolo a.C., in un mondo che è tutto e per tutto la Bisanzio dell’XI secolo d.C.. A chi, dunque, esitasse nell’affermare che quelli di Turtledove sono romanzi di fantasy storica dico di riporre le proprie perplessità, è proprio così.

L’autore americano si ispira a DAVID EDDINGS, ma, a differenza del suo maestro, utilizza il proprio background storico per creare uno scenario assolutamente verosimile anche se non originale. La trasposizione di questo scenario, a un non bizantinista come me, sembra abbastanza accurata con la sua riproposizione dei contrasti tra nobiltà militare, costituita dai proprietari terrieri, e quella che potremmo definire una nobiltà burocratica.

Per quanto riguarda l’ambito antico qualcosa invece zoppica: si parla di legioni manipolari e non di legioni coortali, vengono confusi gli hastati con i triarii (hastatus in latino significa portatore di lancia, ma i veri portatori di lancia nella legione manipolare erano i triarii) e più generalmente è presente un certo pregiudizio, un po’ démodé, che ritiene i popoli antichi più ingenui e le civiltà evolute scafate e corrotte. Ma queste sono inezie.

Troverete, ben celate all’interno della trama, alcune citazioni provenienti da autori antichi, come la parabola del faraone SESOSTRIS III (faraone del Medio Regno che governò l’Egitto dal 1878 al 1843 a.C.) e del suo carro, che trova ispirazione dalle pagine di DIODORO (Storie, I, 58). Anche alcuni personaggi calcano la scena della fantasia sulla scorsa della realtà: i litigiosi Pullo e Voreno li troviamo già battagliare nelle pagine di CESARE (De Bello Gallico, 5, 44), e chi credete che sia Alypia, la seriosa figlia dell’imperatore con interessi storici, se non la famosa ANNA COMNENA, storica bizantina con sangue imperiale.

I personaggi sono, dunque, anch’essi assai realistici: non vi aspettate le bicromatiche contrapposizioni tolkieniane tra buoni e cattivi. Le sfumature di grigio sono innumerevoli ma, se manca il candore da un lato, dall’altra parte c’è un protagonista negativo più nero della notte stessa, contro il quale alla fine tutti convergeranno. È un mago di nome Avshar, le cui origini appaiono sconosciute nel primo romanzo, ma nel corso dei successivi tre acquisirà sempre maggior spessore; Turtledove svelerà soltanto alla fine la verità sulla sua natura.

La narrazione gravita attorno al protagonista, il giovane tribuno Marcus Aemilius Scaurus, dal carattere deciso nonostante la giovane età, e dalle capacità politiche assai accentuate; nonostante le frequenti burrasche, in qualche modo lo vedremo sempre riemergere intatto. Ma Scaurus è anche un uomo che ama, e per via dell’amore vivrà tutta una serie di interessanti avventure che lo vedranno sballottato fin nel cuore del nemico di Videssos (la Bisanzio alternativa di Turtledove), il regno di Yezd.

Il personaggio sicuramente più interessante e riuscito è il centurione anziano Gaius Philippus, monumento vivente alla praticità romana, ma allo stesso tempo timido nelle relazioni affettive e sagace nello scambio di battute (“Ho detto all’imperatore di infilarsi la sua proposta dove un sodomita l’avrebbe apprezzata”). Per un uomo come lui la magia rappresenta, più che per altri, una sfida alle proprie convinzioni ma saprà, al momento giusto e ben piantato dietro il suo scutum, opporsi anche alla violenza e all’abilità del malvagio Avshar.

Il medico Gorgidas, un greco originario di Elis, è un altro interessante protagonista di questa vicenda, non posso dirvene la ragione altrimenti… svelerei ogni cosa; ma, a differenza di molte epopee fantasy, dove l’amore adolescenziale sembra essere una caratteristica imperante soprattutto negli ultimi “capolavori” celebrati dalla massa minorenne, qui con Gorgidas troviamo una storia d’amore tutta particolare, che rende questo mondo fantastico più vicino al nostro.

Gorgidas è anche un medico di scuola ippocratica e, di fronte ai miracolistici risultati della medicina magica videssiana, dovrà mettere alla prova la sua innata razionalità per apprenderla. Ha ancora una volta un sottile riferimento alla realtà l’interesse che questo dottore rivolge alla Storia: un medico, come lo storico, osserva i sintomi e offre diagnosi e di questa forma mentis erano ben consci gli storici greci antichi.

Viridovix, infine, antagonista di spada di Scaurus e unico celta a essere trasposto nella magica Videssos, soffre più degli altri il fatto di essere lontano da casa. Per questo motivo è forse l’unico personaggio che cresce realmente quando alla fine “accetterà” la propria condizione di esule e in un certo senso eleggerà Videssos come sua nuova patria. Molta di questa tristezza rimane, però, nascosta dietro il suo carattere gioviale che gli porterà molte amicizie, innanzitutto tra i suoi antichi nemici Romani, ma anche tra le numerose donne che avrà modo di incontrare.

Una piccola postilla sulla magia: essa ha un ruolo minoritario, se non come deus ex machina per dare l’avvio e la conclusione alla vicenda. In un mondo dove la magia sostituisce la scienza, essa non può essere altro che una conoscenza strutturata. Ed eccoci finalmente alla “legge magica della vicinanza e del contagio”, quasi un tormentone in ogni romanzo successivo di Turtledove, anche appartenente a immaginari differenti come il ciclo dell’Oscurità.

La religione è un altro aspetto interessante che caratterizza questo mondo fantastico: la contrapposizione tra i due grandi regni rivali di Yezd e Videssos non è solo politica, ma anche ideologica. Yezd è un “impero del male” nel vero senso della parola, essendo i suoi abitanti adoratori di Skotos (l’oscurità) mentre i Videssiani credono in un unico dio manifestazione della luce (Phos). In realtà, come si vedrà nel corso della storia, questa contrapposizione religiosa è solo apparente e sfumerà man mano in un classico contrasto di matrice politica, abbandonando i soliti cliché dualistici del fantasy.

Ma anche tra gli adoratori della luce esistono varie confessioni e ancora una volta i riferimenti storicizzanti non mancano: Turtledove ci propone, anche se con argomenti dogmatici risibili, una sorta di feticcio del dissidio tra Chiesa Romana e Chiesa orientale attraverso la contrapposizione tra Namdaleni e Videssiani.

La narrazione segue generalmente un solo filo conduttore, ma l’autore sperimenterà soprattutto nel terzo e quarto romanzo del ciclo nuovi filoni che alla fine arriveranno a congiungersi in un finale epico. La quadrilogia non ha la tipica prolissità degli scritti di Turtledove e le poche persone narranti rendono la lettura di questi tomi un processo agile e naturale.

Una nota dolente è rappresentata dall’italianizzazione dei nomi dei protagonisti nelle ultime edizioni, un processo tutto sommato ridicolo, trattandosi della lingua latina.