La Regina della Magia (Queen of Sorcery, 1982) David Eddings
INTRODUZIONE
« Ma io vi dico che non c’è eguaglianza di probabilità quando si tratti d’inventare gli Dei, gli Eroi, la Vita. È l’opposto che deve, come esigenza, esser vero. Ecco, io voglio che regnino le diseguaglianze, gli handicap, gli arbitrii, perché non sarà mai vincitore colui che nulla aveva da vincere, che non aveva da vincere — lo dico piano e presto — l’Impossibile! »
Jean Cau (Le Scuderie dell’Occidente)
Otto mesi fa, scrivendo l’introduzione al primo volume del ciclo dei Belgariad — «Il segno della profezia» — dissi che l’opera di Eddings (col contorno di altri pregevoli romanzi di Roberta McAvoy, Mary Stewart, Joy Chant ed un’altra eletta schiera di autori), stava a testimoniare la definitiva maturazione del genere fantastico e in particolare del suo pubblico, giustificando così il relativo oblìo in cui erano caduti nell’ultimo quinquennio la figura e l’opera di John Tolkien. Non nascondo che ero (e sono) molto allettato dall’idea di dare per acquisito un processo di evoluzione mentale e prospettica nei confronti della cultura in generale e della fantasia in particolare, capace di farsi esso stesso codice d’interpretazione della realtà circostante, filtrandola attraverso una prospettiva atemporale. Insomma, in parole povere, mi piacerebbe pensare che gli ormai dieci anni del «riflusso» siano stati spesi a riflettere sull’ingan-nevolezza degli assoluti storici. E mi piacerebbe ancor più credere che a questo ripensamento abbia dato il suo contributo il «boom» della fantascienza e del fantastico e la riflessione critica su questi generi prosperata nel decennio scorso. Il fantastico, se compreso a fondo, impone come ritmo stesso del proprio narrare, come idea personale del tempo e dello spazio, una dilatazione dei confini fisici e metafisici, una comprensione verticale della realtà, una rarefazione del concettuale a tutto vantaggio dell’umano, tali da imporre una diversa valutazione di sé e delle cose.
Ed è con questo spirito che affido alla vostra lettura il ciclo dei Belgariad — «Il segno della profezia» — dissi che l’opera di Eddings (col contorno di altri pregevoli romanzi di Roberta McAvoy, Mary Stewart, Joy Chant ed un’altra eletta schiera di autori), stava a testimoniare la definitiva maturazione del genere fantastico e in particolare del suo pubblico, giustificando così il relativo oblìo in cui erano caduti nell’ultimo quinquennio la figura e l’opera di John Tolkien. Non nascondo che ero (e sono) molto allettato dall’idea di dare per acquisito un processo di evoluzione mentale e prospettica nei confronti della cultura in generale e della fantasia in particolare, capace di farsi esso stesso codice d’interpretazione della realtà circostante, filtrandola attraverso una prospettiva atemporale. Insomma, in parole povere, mi piacerebbe pensare che gli ormai dieci anni del «riflusso» siano stati spesi a riflettere sull’ingan-nevolezza degli assoluti storici. E mi piacerebbe ancor più credere che a questo ripensamento abbia dato il suo contributo il «boom» della fantascienza e del fantastico e la riflessione critica su questi generi prosperata nel decennio scorso. Il fantastico, se compreso a fondo, impone come ritmo stesso del proprio narrare, come idea personale del tempo e dello spazio, una dilatazione dei confini fisici e metafisici, una comprensione verticale della realtà, una rarefazione del concettuale a tutto vantaggio dell’umano, tali da imporre una diversa valutazione di sé e delle cose.
Ed è con questo spirito che affido alla vostra lettura il secondo volume del ciclo dei Belgariad di Eddings: come un ennesimo tentativo esemplare di «reincantare» la realtà, di restituirci il senso di una complessità del reale che esclude le scorciatoie, specie quelle cruente, che esige, sì, un assoluto investimento di sé, ma con lucidità di mente e serenità di spirito. Così sono gli eroi di Eddings. Belgarath, l’Uomo Eterno e sua sorella, la Maga Polgara, la cui stessa natura travalica il senso comune del tempo, così come il giovane Garion, proiettato in un ‘avventura apparentemente più grande di lui, simboleggiano senza infingimenti questa condizione umana, raccontata mirabilmente dal fantastico, autentico erede del mito.
Una condizione umana che ha tutta la nobiltà dell’antica cavalleria e tutta la carica di sfida cara agli uomini migliori del nostro tempo.
Alex Voglino
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PROLOGO
Resoconto della Battaglia dei Regni dell’Occidente contro la più malvagia delle Invasioni e la Perfidia di Kal Torak.
… Basato su La Battaglia di Vo Mimbre.
Quando il mondo era ancora giovane, il perverso dio Torak rubò l’Occhio di Aldur e fuggì, deciso a divenire padrone di tutto. L’Occhio oppose resistenza e la sua fiamma storpiò orrendamente il ladro, che tuttavia non volle rinunciare a quello che considerava un tesoro prezioso.
Allora Belgarath, un mago discepolo del dio Aldur, si mise alla testa del re degli Alorn e dei suoi tre figli ed insieme a loro recuperò l’Occhio dalla torre di ferro di Torak. Il dio malvagio cercò d’inseguirli, ma l’ira dell’Occhio lo arrestò e lo costrinse a ritirarsi.
Belgarath nominò Cherek ed i suoi figli sovrani di quattro grandi regni, posti in eterno a fare da sentinella contro Torak; l’Occhio venne affidato alla custodia di Riva, e Belgarath affermò che, fino a quando fosse rimasto in possesso di un discendente di questo re, l’Occidente sarebbe stato al sicuro.
I secoli si susseguirono senza che alcuna minaccia giungesse da Torak, fino a quando, nella primavera del 4865, la Drasnia fu invasa dalle orde dei Nadraks, dei Thulls e dei Murgos. In mezzo a questo mare di Angarak veniva trasportato un enorme padiglione di ferro nel quale si trovava colui che era chiamato Kal Torak, nome che significa Re e Dio. Città e villaggi furono rasi al suolo e bruciati, perché Torak era venuto per distruggere e non per conquistare, e le poche persone sopravvissute furono consegnate ai preti Grolims dalla maschera d’acciaio per essere sacrificate nel corso degli innominabili riti degli Angaraks. Non sopravvisse nessuno, tranne coloro che fuggirono fino ad Algaria o che furono raccolti alla bocca del fiume Aldur dalle navi di Cherek.
Successivamente, le orde attaccarono Algaria, ma là non trovarono città da distruggere, perché i nomadi cavalieri algariani preferirono indietreggiare dinanzi al nemico per poi sferrare una serie di violenti attacchi di sorpresa. Per tradizione, la sede dei sovrani di Algaria era la Roccaforte, una montagna costruita dall’uomo con pareti di pietra spesse nove metri, e gli Angaraks l’attaccarono a lungo e invano prima di rassegnarsi a porvi l’assedio, che durò otto inutili anni.
Questo tempo diede all’Occidente la possibilità di organizzarsi e di mobilitarsi; i generali si riunirono al Collegio Imperiale di Guerra a Tol Honeth per stabilire la strategia da adottare; ogni contrasto nazionale fu accantonato e Brand, il Custode rivano, venne scelto come comandante in capo. Brand giunse accompagnato da due strani consiglieri: un uomo anziano ma ancora vigoroso, che affermava di conoscere a fondo perfino i regni degli Angarak, ed una donna di notevole bellezza dai capelli neri, che presentavano una sola ciocca argentata sulla fronte, e dai modi imperiosi. Il Custode rivano ascoltava entrambi con deferenza e con profondo rispetto.
Sul finire della primavera del 4875, Kal Torak tolse l’assedio e si mosse ad ovest, verso il mare, sempre inseguito dai cavalieri di Algaria. Sulle montagne, gli Ulgos uscirono di notte dalle loro caverne e compirono dei veri massacri fra le schiere di Angaraks addormentati, ma le truppe di Kal Torak rimasero pur sempre innumerevoli. Dopo aver effettuato una pausa per riorganizzarsi, l’esercito discese la vallata del fiume Arend in direzione della città di Vo Mimbre, distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. All’inizio dell’estate, gli Angaraks si prepararono ad assalire la città.
Durante il terzo giorno della battaglia, si udì un corno squillare tre volte, poi le porte di Vo Mimbre si aprirono ed i cavalieri mimbrati ne uscirono alla carica, piombando sulle schiere frontali delle orde di Angaraks e calpestando sotto gli zoccoli delle cavalcature i vivi ed i morti. Da sinistra, avanzò la cavalleria algariana, insieme ai picchieri drasniani ed alle truppe irregolari degli Ulgos, dal volto velato. Da destra conversero invece i guerrieri di Cherek e le legioni di Tolnedra.
Trovandosi sotto attacco da tre lati, Kal Torak schierò in campo anche le riserve, e fu allora che i rivani vestiti di grigio, affiancati dai sendariani e dagli arcieri asturiani, piombarono sulle sue truppe prendendole alle spalle. Gli Angaraks cominciarono a cadere come le messi sotto la falce, e vennero sopraffatti dalla confusione.
Allora l’Apostata, Zedar il Mago, si recò in tutta fretta al padiglione di ferro da cui Kal Torak non era ancora uscito e disse al Maledetto:
«Signore, i tuoi nemici ti hanno circondato, e sono numerosi. Sì, perfino i grigi Rivani sono venuti in forze per sfidare la tua potenza.»
In preda all’ira, Kal Torak si alzò e dichiarò:
«Verrò fuori, affinché i falsi custodi di Cthrag Yaska, il gioiello che mi apparteneva, mi vedano e conoscano il timore che so incutere. Manda qui i miei re.»
«Grande Signore» replicò Zedar, «i tuoi re non sono più. La battaglia ha reclamato le loro vite, come anche quella di una moltitudine di sacerdoti grolim.»
L’ira di Kal Torak fiammeggiò ancor di più a quelle parole, ed il fuoco scaturì dall’occhio destro del dio ed anche dall’orbita ormai vuota; ordinò ai servi di legare lo scudo al braccio privo di mano ed impugnò la temibile spada nera, poi uscì per partecipare alla battaglia.
Allora una voce si levò dalle schiere dei Rivani, dicendo:
«Io ti sfido in nome di Belar, Torak. In nome di Aldur ti scaglio contro tutto il mio disprezzo. Che questo spargimento di sangue abbia fine, e che sia il mio duello con te a decidere le sorti della battaglia. Io sono Brand, il Custode rivano. Affrontami, oppure porta via questo tuo fetido esercito per non tornare mai più nei regni dell’Occidente.»
Kal Torak avanzò a grandi passi, e gridò:
«Dov’è colui che osa porre la propria carne mortale a confronto con il Re del Mondo? Guardate, io sono Torak, Re dei Re e Signore dei Signori. Io distruggerò questo ciarliero Rivallo, i miei nemici periranno e Cthrag Yaska tornerà ad appartenermi.»
Brand si fece avanti, armato di una possente spada e di uno scudo, avvolto in un panno. Un lupo dal pelo grigio gli era al fianco ed un gufo candido come la neve gli volteggiava sul capo.
«Io sono Brand e mi misurerò con te, malvagio e deforme Torak.»
In quel momento, il dio scorse il lupo.
«Vattene, Belgarath, fuggi, se vuoi salvarti la vita» gli consigliò; poi, rivolto al gufo, aggiunse: «Rinnega tuo padre, Polgara, ed adorami. Ti sposerò e farò di te la Regina del Mondo.»
Ma il lupo lanciò un ululato di sfida ed il gufo rispose con uno stridio di disprezzo.
Torak levò la spada e la calò con forza sullo scudo di Brand. A lungo i due combatterono, e tremendi furono i colpi che si scambiarono: coloro che assistevano al duello erano stupefatti. La furia di Torak crebbe sempre più e la sua spada percosse lo scudo del Custode al punto che Brand fu costretto a retrocedere dinnanzi alla violenza del Maledetto. Allora il lupo ululò e il gufo stridette all’unisono con esso, e Brand riacquistò le forze.
Con un solo gesto, il Custode rivano liberò lo scudo dal panno che lo copriva, rivelando il gioiello rotondo, grande quanto il cuore di un bambino, che si trovava al centro di esso. Quando lo sguardo di Torak si posò sulla pietra, questa prese a brillare e a fiammeggiare ed il Maledetto indietreggiò, lasciando cadere lo scudo e la spada e levando le mani per proteggersi il volto dal terribile fuoco della gemma.
Brand colpì, e la sua spada trapassò l’elmo di Torak, trafiggendo l’occhio che non c’era più e penetrando nella testa del Maledetto. Il dio cadde all’indietro con un possente…
Tit. originale: Queen of Sorcery
Anno: 1982
Autore: David Eddings
Ciclo: Belgariad (The Belgariad series) #2
Edizione: Editrice Nord (anno 1987), collana “Fantacollana” #72
Traduttore: Annarita Guarnieri
Pagine: 342
Dalla copertina | L’Orb, la gemma magica e sovrannaturale che per millenni ha dormito nel palazzo dei Re di Riva è stata rubata da un sacerdote di Torak, il dio sfregiato e maligno, che domina l’Oriente. Se essa non sarà recuperata, la civiltà d’occidente e i regni degli Alorns, scompariranno. L’Arcimago Belgarath e sua figlia Polgara, affiancati da una vera compagnia di campioni dei vari regni, guidano la cerca per la mitica gemma. E con loro c’è Garion, il giovane che credeva di essere un contadino, e che cammina invece verso un futuro inimmaginabile. Continua, in un crescendo di avventure e magie, la saga dei «Belgariad», che ha eguagliato il successo del «Signore degli Anelli».