Su una spiaggia deserta, una giovane donna recupera una scatola sepolta sotto la sabbia, nella quale aveva riposto poveri oggetti, ricordi di momenti felici vissuti in un’estate trascorsa: delle conchiglie, il bastoncino di un ghiacciolo, un ippocampo essiccato, una lettera d’amore… Basta poco per evocare memorie, dolci e amare, che possono illuminare un’esistenza.
Quasi tutti in gioventù abbiamo vissuto una storia estiva leggera, degna del repertorio del juke-box; per tutti prima o poi l’estate finisce, gli anni passano e di quei legami destinati a sfiorire nel giro di pochi giorni sbiadisce anche il ricordo. La Scatola dei Ricordi, cortometraggio di Andrea Donato, richiama proprio queste sensazioni.
Dopo l’incipit, le immagini virano in bianco e nero mostrandoci Emma, la protagonista, seduta sulla battigia, forse a disagio, sola in mezzo a famiglie e gruppi di adolescenti. Ciò che vediamo sono i suoi ricordi, la storia si sposta dal presente al passato: la spiaggia è popolata di bagnanti, semplici chioschi offrono bibite, i giovani si divertono. Il periodo è imprecisato, ma le sequenze in bianco e nero imitano bene i film estivi del boom economico, e ogni inquadratura sembra raccontarci un’Italia spensierata che scopre il benessere, un’Italia insomma che non c’è più: è facile immedesimarci nell’atmosfera anni Cinquanta.
La macchina da presa si sofferma sugli occhi di Emma, le inquadrature insistono con primi piani. L’espressione timida e smarrita e le poche parole impacciate potrebbero implicare una vita difficile, forse segnata da problemi psichici. I flashback procedono accumulando dettagli che suggeriscono l’estraneità della ragazza all’ambiente. Emma è stramba; parlare con i coetanei in vacanza, mangiare un gelato in compagnia, ricevere un dono sono esperienze che lei vive come eventi straordinari.
S’intuisce la presenza del mistero riguardo la vera natura della protagonista, che sarà rivelata nel finale: Emma è una creatura che proviene dal mare. Consapevole della propria diversità, rispetta il confine che la separa dal mondo degli uomini, un mondo fatto di abitudini sconosciute e parole a lei poco comprensibili. Le sue brevi visite sulla terraferma le regalano esperienze transitorie ma preziose, da custodire nella sua scatola e ricordare con emozione e nostalgia.
Nemmeno il ragazzo pudico e goffo che ha incontrato la dimenticherà, lo rivediamo nel presente, intento a disegnare una sirena sulla sabbia. Magia dell’amore, capace di unire mondi lontanissimi… o piuttosto la fantasia radicata nel cuore degli uomini d’ogni epoca, che si rinnova senza mai estinguersi.
L’opera di Andrea Donato reinterpreta il mito della sirena, scegliendo una rappresentazione matura e poetica. La vicenda di Emma offre o spunto per riflettere sulla consapevolezza di sé e dell’altro. Esistono delle divergenze che affiorano nel contatto tra culture, alcune possono essere risolte, altre implicano compromessi dolorosi. Emma rinuncia al legame col ragazzo umano, e lascia che il ricordo del sentimento che li unisce si mantenga immutato nella memoria di entrambi.
Dal punto di vista tecnico, la confezione amatoriale penalizza le scene in notturna: sotto la luna piena i personaggi sono a stento visibili, e la rivelazione della natura di Emma perde suggestione proprio a causa della scarsa leggibilità visiva. Le sequenze ritoccate in post produzione rivelano fatalmente la povertà dei mezzi: un effetto ottico seguito dal bianco e nero annuncia i flashback, mentre la sirena completa di coda viene lasciata intravedere soltanto nella sequenza finale, in un campo lunghissimo sfocato e tremante.
Fin quando mantiene i toni della rappresentazione più realistica, tuttavia, il cortometraggio funziona. La storia sentimentale di Emma con il coetaneo ha il sapore di una cotta tra adolescenti, narrata con gusto ‘amarcord’. Le interpretazioni sono palesemente amatoriali, ma i dialoghi mostrano comunque la giusta dose di ambiguità: per buona parte dello spettacolo si può credere che la ragazza sia solo una persona molto fragile. La macchina da presa si muove sicura; fotografia in bianco e nero, montaggio e musiche rendono bene l’atmosfera passata. Le location sono adeguate, a partire dal ristorante con il suo pittoresco gestore.
Il regista – che è anche l’autore della pregevole colonna sonora – sfrutta insomma un’idea suggestiva e la sviluppa con semplicità e garbo. Del resto il cinema è anche un mezzo per ricostruire mondi e atmosfere d’altri tempi, e la stessa macchina da presa diviene allora una ‘scatola dei ricordi’.