La Spada dei Kamui

La Spada dei Kamui

Il racconto

L’avventurosa storia di un giovane orfano in cerca di risposte e di vendetta, la fine dell’epoca Tokugawa in Giappone, temibili shinobi dotati di arti illusorie e monaci guerrieri. Tutti elementi che non si fa fatica a trovare in altri anime o manga, a cominciare dall’illustre Lone Wolf & Cub per finire con il posteriore (e più noto) Ninja Scroll.

Eppure la storia de La Spada dei Kamui è per molti aspetti atipica e, a tratti, difficile da seguire: aggiungiamo infatti un villaggio Ainu, un tesoro nascosto, un viaggio in un altro continente e una continua aggiunta di personaggi, accompagnata da altrettante rivelazioni sulla vera identità di quelli già noti. Niente di nuovo anche in questo caso, almeno in apparenza, dato che altri anime abbondano di ricerche da portare a termine, di viaggi interminabili e di situazioni parentali degne di una telenovela.

La trama in breve è questa: Jiro è un ragazzo che vive tranquillo in un villaggio dell’isola di Hokkaido, finché la sua madre adottiva e sua sorella non vengono uccise da un assassino. La comunità accusa lui del duplice omicidio, e il ragazzo scappa via, portando con sé solo la spada ereditata dal suo vero padre. Durante la fuga s’imbatte nel monaco Tenkai e nei suoi shinobi.

Dopo averlo indotto ad uccidere il suo vero padre Tanoza, facendogli credere che fosse lui il colpevole dei delitti, Tenkai prende Jiro con sé addestrandolo nelle arti marziali.

Una volta cresciuto, il ragazzo viene inviato in un villaggio Ainu, il luogo dove vive la sua vera madre e dove lui stesso è nato, nella speranza che scopra il segreto di un favoloso tesoro nascosto secoli prima da un famoso pirata. Anche la madre però viene uccisa (da un ninja agli ordini di Tenkai), e Jiro si rifugia allora presso un vecchio che lo aiuta a decifrare gli enigmi che conducono al tesoro.

Sempre braccato dagli shinobi del monaco e dalla sorellastra Oyuki, Jiro giunge infine in America e trova il tesoro, riportandolo in Giappone e consegnandolo all’esercito imperiale che si batte per rovesciare la fazione dei Tokugawa, per cui parteggia invece Tenkai; infine i due giungono alla sfida risolutrice.

Ciò che rende l’insieme un po’ atipico, e che può lasciare talvolta perplessi, è la compressione di questa quantità di nomi e situazioni nello spazio di due sole ore, specie se si considera che molte serie televisive di parecchi episodi vantano intrecci appena più complessi. Le trame dei clan e dei loro shinobi, il tesoro di un pirata, un viaggio nel Far West transitando per la Kamchatka: si passa insomma da un villaggio Ainu sulle pendici di una montagna sacra (la montagna dei Kamui, da cui proviene misteriosamente la micidiale spada di Jiro) ad un saloon nel deserto del Nevada, con tanto di pistoleri rissosi e ubriachi, senza contare una girandola di personaggi dall’identità nascosta; insomma un insieme degno di un romanzo di avventura. E proprio da un romanzo (scritto da Tetsu Yano) è tratta la storia raccontata nell’anime.

Tenendo conto di ciò, è più facile capire l’origine di questi elementi e, soprattutto, l’insieme che ne deriva. Jiro attraversa luoghi distanti tra loro e diversissimi per usi e costumi – una situazione tipica di molti romanzi d’avventura con uno spiccato gusto per l’esotico e il favoloso – ma percorre anche gli avvenimenti storici del periodo descritto, nei quali, da sconosciuto che è all’inizio, finisce per giocare un ruolo fondamentale. Per intenderci, vengono in mente episodi della nostra letteratura ottocentesca come Il giro del mondo in 80 giorni o i romanzi di Emilio Salgari. Lo stesso si potrebbe dire per i colpi di scena, le guerre e una certa morale di fondo, tanto cari a una certa narrativa.

Ma soprattutto si spiega bene, considerando quest’impostazione romanzesca, il singolare accostamento di elementi reali e fantasiosi. Il villaggio Ainu è rappresentato con cura, i fatti storici sono riportati con precisione, l’America dell’epoca è descritta con verosimiglianza, Jiro si reca ad arruolare dei ninja della celebre scuola di Iga; eppure Oyuki e altri shinobi sono in possesso di abilità guerriere fantastiche, e la scoperta del tesoro resta pur sempre un episodio che sa di leggenda e di favoloso.

L’anime

La Spada dei Kamui è stato prodotto nel 1985 con la regia di Rin Taro (X-1999, Metropolis) e si presenta di certo come un lavoro di discreto livello.

Il disegno dei personaggi è piuttosto essenziale ma comunque efficace, così come quello dei vasti e suggestivi scenari che compaiono in molte sequenze (il cimitero degli Ainu, o il Nord coperto di neve, o i prati e i boschi): le immagini sono quasi sempre particolareggiate e arricchite da una felice scelta dei colori. Le scene interne meritano a loro volta una nota, con le abitazioni o gli altri spazi che sono sempre rappresentati in modo fedele e curando i particolari (ad esempio la stanza del capo Ainu).

Al buon livello dei disegni non si accompagnano forse animazioni altrettanto elaborate, limite che risalta soprattutto nei combattimenti dei ninja, che si svolgono invariabilmente con pochi e sintetici colpi di spada. Nonostante questa carenza le sequenze di azione non sfigurano, grazie anche all’espediente di rappresentare le lotte tra shinobi in modo più surreale che realistico, costruendo un suggestivo mix di immagini e musica adatto a rendere la concitazione e la tensione degli scontri. Fughe o inseguimenti sono rappresentati al ritmo di un sonoro incalzante, con immagini a volte poco più che stilizzate ma efficaci; situazioni di angoscia o perdita di coscienza sfruttano disegni surreali, dalle forme distorte e fluttuanti; queste caratteristiche si possono ritrovare nelle scene dei combattimenti di Jiro contro Oyuki e i tre demoni guerrieri.

Alcune sequenze drammatiche costituiscono inoltre una delle caratteristiche più interessanti dell’anime, soprattutto nel prologo, che racconta il massacro della famiglia adottiva di Jiro e la cacciata del ragazzo. Le immagini sono praticamente statiche, con forti contrasti cromatici, quasi dei dipinti per l’impatto visivo, e l’azione si svolge in modo decisamente teatrale. I personaggi sono praticamente immobili, caratterizzati immediatamente da visi espressivi come maschere e da poche parole, o da azioni nette. L’attenzione si concentra di volta in volta sui particolari salienti che bastano da soli a costruire la narrazione: il freddo bagliore della lama assassina, cibo sparso per terra, il profilo di Jiro attonito sulla soglia, l’accavallarsi delle sagome degli abitanti del villaggio, la spada dei Kamui dall’elsa dorata; il tutto messo in risalto, oltre che dai colori, da netti contrasti tra luci ed ombre che fanno risaltare con forza ancora maggiore le immagini. La scena è spezzata dall’urlo disperato di Jiro che salta oltre lo spazio fisico e oltre la condanna del villaggio, aprendo una sequenza di rapide scene d’azione che arrivano, brevemente interrotte dall’apparizione di Tenkai, fino alla morte di Taroza.

Un’altra sequenza degna di nota è quella del duello tra Jiro e due cowboy in America. Nonostante sia praticamente gratuita e neanche troppo credibile rispetto alla trama principale dell’anime, è probabilmente quella meglio costruita, assieme al prologo. Rispolverando metodi collaudati del cinema western, lo scontro è reso in maniera efficacissima usando il minimo indispensabile d’immagini animate: una strada assolata con tanto di cane che la attraversa, le ombre scure dei duellanti, un uso cinematografico di inquadrature e zoom; e poi ancora gli spettatori assiepati davanti al saloon, le mani vicine alle impugnature delle armi, i primi piani che diventano primissimi per poi lasciare di nuovo spazio, a scontro terminato, alla vista dall’alto della strada, fino all’immagine finale della folla stupefatta lungo la strada, ripresa, con una prospettiva molto suggestiva, dal punto in cui si trova per terra la pistola di Jiro (il quale in effetti ha usato la sua infallibile spada). Il carro che irrompe sulla scena contribuisce, alternandosi alle immagini statiche, ad aumentare la tensione che precede gli spari, segnando allo stesso tempo il ritmo di una sequenza che sarebbe altrimenti lenta e troppo immobile. Un altro modo in cui l’attenzione viene focalizzata sul duello è la colorazione dei personaggi: Jiro e i cowboy con colori brillanti, la gente del paese in tinte indistinte color seppia, come fossero i comprimari di una grande foto di gruppo.

Commento

Se la storia narrata può in definitiva funzionare, nonostante sia a tratti un po’ contorta e a tratti scontata, non si può dire lo stesso per il modo in cui sono descritti gli ambienti e sviluppati i personaggi.

La parte iniziale dell’anime, ambientata interamente nell’isola di Hokkaido e incentrata sostanzialmente sulla storia di Jiro e sulle sue origini, è più lenta e meglio costruita, e anche quella in cui i combattimenti tra gli shinobi hanno maggior rilievo (fatta eccezione per l’ultima sfida tra Tenkai e Jiro). Al contrario, nella parte successiva, le ambientazioni sono rese in maniera più frettolosa e stereotipata, e dal ritorno di Jiro in Giappone dopo l’avventura in America il ritmo dell’anime è notevolmente accelerato: la lotta tra Jiro e Tenkai, sullo sfondo della svolta epocale della storia giapponese, viene resa economizzando tempo e disegni senza troppi riguardi, probabilmente per contenere la durata finale del lungometraggio. Il risultato è una disomogeneità nella struttura e nello sviluppo dell’anime, accentuata dal fatto che l’amalgama di scenari tanto variegati in un unico film è già di per sé problematica, senza contare il lasso temporale in cui si evolve la vicenda.

La scena che vede Jiro tornare alle rovine del suo vecchio villaggio, dove inizia la storia, ha anche il compito di riannodare i fili (ricorrendo al classico espediente del flashback) di una storia proseguita in modo un po’ troppo dispersivo.

I personaggi che Jiro incontra durante le sue avventure sono destinati a schierarsi dalla sua parte, venendo talvolta uccisi a causa sua, oppure a diventare suoi nemici ed essere quindi giustamente sconfitti. Nessuno di loro ha una propria personalità, con qualità, vizi e sentimenti che non siano, nel migliore dei casi, appena abbozzati e lasciati subito in sospeso; gli amici di Jiro sono generosi e leali, i suoi nemici infidi e violenti. Il protagonista stesso è talmente invincibile e determinato, talmente convinto di essere sulla strada giusta, che finisce per destare poco interesse, se non nella prima parte dell’anime. L’unico personaggio che sfugge a questi schemi è la bella e malinconica Oyuki, la sola di cui traspaiano sentimenti e contraddizioni.

In un anime che comincia in modo molto classico, nel Giappone medievale dei monaci guerrieri e degli shinobi, in cui ancora sopravvive il popolo Ainu, la comparsa di un saloon della frontiera o del tesoro di un pirata destano quantomeno sorpresa, per non dire un certo imbarazzo. Il collegamento tra i vari elementi sarebbe da cercare nelle parole con cui Mark Twain (sic!) si congeda da Jiro nel deserto del Nevada: spesso al progresso tecnologico della società non fa seguito un miglioramento degli uomini, che possono restare rozzi e intolleranti.

Questo tema, appena abbozzato nelle scene dell’escursione americana di Jiro, viene riportato al progresso attraversato dal Giappone all’epoca dei fatti narrati (seconda metà del XIX sec.), coinciso per l’appunto con l’apertura (non sempre spontanea) del paese alle potenze straniere, quelle che Jiro visita. E, di fronte agli sconvolgimenti politici e alle rivoluzioni sociali, agli eserciti e alle bandiere, l’eroe proclama la sua indipendenza e la sua libertà.

D’altronde una delle immagini finali, che sovrappone la figura di Tenkai a quella di un generale imperiale davanti allo sguardo scettico di Jiro, sembra voler dire che, tra tanti stravolgimenti, certe cose, spesso quelle peggiori, sono destinate a rimanere in realtà sempre uguali.