In occasione del terzo genetliaco di suo figlio il principino Artù, re Uther di Camelot annuncia agli altri sovrani britanni l’esigenza di sedare i contrasti che da sempre dividono i sette reami di Wrogles. Ad appoggiare la prospettiva di una pace duratura sono Ban, re di Venick, e Leoglanche, re di Camele-Yard. Non tutti, però, condividono lo stesso entusiasmo: l’ambizioso re Lavic di Astrat sospetta che l’intenzione di Uther sia quella di conquistare il potere assoluto sull’intera Britannia, potere che egli stesso brama.
Istigato dalla perfida Morgana, la strega del monte West-Hel, Lavic porta a compimento un piano ignobile: alla testa di un manipolo di mercenari chiamati Cavalieri Neri assalta nottetempo il castello di Camelot, assassinando Uther, facendo ricadere la colpa su re Ban e cogliendo così il pretesto per uccidere anche quest’ultimo. Dalla strage si salva solo Artù, che sua madre, la regina Igraine, affida al mago Merlino.
Creduto morto da tutti, e accolto nella famiglia del cavaliere Hector che lo alleva come fosse suo figlio, Artù cresce inconsapevole del proprio lignaggio, diventando un coraggioso ragazzo educato ai principi cavallereschi. Il suo anonimato dura fino al giorno in cui, prendendo parte a una prova indetta dall’Arcivescovo di Canterbury, tra lo stupore generale egli estrae senza sforzo una spada fusa in un’incudine, realizzando in tal modo quanto predetto da un’antica profezia secondo cui l’uomo che avesse compiuto quell’impresa sarebbe stato designato a diventare il futuro re di Britannia.
Il particolare segno a forma di giglio che Artù porta impresso sulla spalla sinistra attesta la sua identità di erede di Uther, e legittima la sua immediata successione al trono di Camelot. Inizia così per lui una lunga avventura votata a realizzare il progetto di unità e giustizia sognato da suo padre, un cammino impegnativo che lo porterà ad affrontare in una lotta senza quartiere re Lavic e i terrificanti poteri magici di Medessa.
Nel corso dell’estenuante guerra, oltre al sostegno da parte di Hector e del fratellastro Kei, Artù potrà contare sulle spade di preziosi alleati. Il primo a unirsi a lui è Lancillotto, il formidabile Cavaliere del Lago erede al trono di Venick, desideroso di riabilitare il nome di suo padre, il defunto re Ban; sarà poi la volta dell’astuto Tristano, il Cavaliere dell’Arpa figlio di Filippo re di Cornovaglia (Con-Wall), regno occupato dalle truppe di Astrat; seguirà il principino Guerrehet, figlio di re Graston di Worls, di cui Lavic tiene prigioniera la madre; poi il semplice e vigoroso Percival, capo di una banda di ribelli che si oppongono al governo di re Longinos, alleato di Lavic; infine la bella e misteriosa Fiene, inviata da Merlino a proteggere il principe di Camelot.
L’appoggio di questi cavalieri, simbolicamente riuniti da Artù intorno alla Tavola Rotonda, sarà fondamentale. Grazie a loro il principe riuscirà nell’impresa di farsi affidare la spada magica Excalibur da Viviana, la Dama del Lago, e lo Scudo Sacro dall’eremita Narsians. Con queste due armi portentose affronterà nel duello finale Lavic e Medessa.
Commento
Tratta da un manga di Satomi Mikuriya ispirato all’opera epica Le Morte d’Arthur di sir Thomas Malory, La Spada di King Arthur (Entaku no Kishi Monogatari: Moero Aasaa) è la prima serie animata giapponese a occuparsi – molto liberamente – della leggenda di re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda.
Siamo nel 1979, l’interessamento verso il mondo della Letteratura occidentale, vista come serbatoio inesauribile di opere e ispirazione, assume una identità ufficiale nel progetto del Meisaku (“World Masterpiece Theater”) targato Nippon Animation, nell’ambito del quale sono già state prodotte serie come Marco, Peline Story, Anna dai Capelli Rossi. Si tratta in questi casi di trasposizioni piuttosto fedeli di romanzi famosi, che pongono molta attenzione alla sceneggiatura sforzandosi di preservare le dinamiche delle opere originali e il loro contenuto educativo. Nonostante l’altisonante derivazione letteraria de La Spada di King Arthur, la Toei affronta l’impegno con un ben altro approccio, ossia quello di un divertimento “grossolano” e disimpegnato (specie per quanto riguarda i costi).
Non deve stupire quindi che, dell’opera originale di Malory, resti ben poco: solo i nomi dei personaggi e il breve incipit. Il ciclo bretone è un pretesto per mettere in scena una trama ridotta all’essenziale, fatta di facili avventure per bambini che vedono come protagonisti Artù e, di volta in volta, uno o più dei suoi cavalieri. Stranamente, rimane quasi del tutto ignorato il ruolo di Merlino: la componente magica resta confinata alla figura di Medessa (la fata Morgana), e a qualche personaggio di contorno. Anche Ginevra è poco più che una comparsa.
Sotto la direzione generale di Masayuki Akehi, il cartone vede impegnato alla regia, tra gli altri, Tomoharu Katsumata. I due, veterani delle serie Toei, insieme avevano già diretto Devilman nel 1972, e singolarmente opere famose anche in Italia come (Akehi) Ryu, il Ragazzo delle Caverne nel 1975 o (Katsumata) Mazinga Z (1972), Gaiking, il Robot Guerriero (1976), Atlas UFO Robot (1975), Danguard (1977) e altre ancora.