La Stagione dei Mutanti (The Mutant Season | 1992), di Robert Silverberg e Karen Haber

La Stagione dei Mutanti

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La Stagione dei Mutanti (The Mutant Season | 1992), di Robert Silverberg e Karen Haber

Introduzione

Il mutante – l’estraneo in mezzo a noi, l’alieno in incognito, il diverso dai misteriosi poteri – rappresenta uno dei grandi personaggi mitici della fantascienza. Se la fantascienza è, come io credo che sia, una letteratura del cambiamento, una letteratura delle infinite possibilità, allora nel mutante s’incarna un elemento fantascientifico assolutamente fondamentale, in quanto colloca la zona del cambiamento assai vicino al nostro nucleo, direttamente nelle cellule germinali umane.

Fu il botanico genetista olandese Hugo de Vries che verso la fine del Diciannovesimo secolo coniò, a partire dal verbo latino mutare, i termini «mutazione» e «mutante». De Vries, che stava conducendo esperimenti di selezione sulle primule, nell’incrociarne ripetutamente diverse varietà aveva osservato il verificarsi di repentini e vistosi cambiamenti. Le sue ricerche lo portarono a concludere che tutti gli esseri viventi sono soggetti a tali cambiamenti, o mutazioni, e che le forme mutanti trasmettono sovente, alle successive generazioni, le proprie alterate caratteristiche. Gli stessi processi evolutivi possono quindi essere considerati come una successione di mutazioni.

Le moderne ricerche genetiche hanno ormai da tempo confermato le teorie di de Vries. Oggi sappiamo che l’aspetto fisico degli organismi viventi è determinato da corpuscoli, denominati geni, presenti all’interno dei nuclei cellulari. Tali geni sono a loro volta formati da complesse molecole disposte secondo intricate strutture, e ogni cambiamento nella struttura (o «codice») del materiale genetico, che comporti la sostituzione di una certa molecola con una molecola diversa, produrrà una mutazione. In natura le mutazioni si generano spontaneamente, indotte dal verificarsi di alterazioni chimiche o termiche all’interno del nucleo, oppure dall’influenza dei raggi cosmici sui geni. Ma possono anche venire provocate artificialmente, sottoponendo il nucleo ai raggi X, all’ultravioletto o ad altre radiazioni penetranti.

Le mutazioni spettacolose sono piuttosto rare. I mutanti straordinariamente diversi dai propri genitori – creature con tre teste, esseri privi di apparato digerente, e così via – tendono a sopravvivere per breve tempo: o perché la mutazione li rende incapaci di esplicare certe irrinunciabili funzioni vitali, o perché vengono rifiutati da chi li ha generati. I mutanti che riescono a trasmettere la propria mutazione ai loro discendenti sono di solito affetti da alterazioni piuttosto lievi: le grandi trasformazioni evolutive risultano da un accumulo di piccoli mutamenti, piuttosto che da un unico sbalorditivo balzo genetico.

Il tema del mutante è sempre stato uno dei prediletti degli scrittori di fantascienza. I pionieristici esperimenti di H.J. Muller, il quale nel 1927 dimostrò che utilizzando radiazioni era possibile indurre mutazioni nelle drosofile, diedero vita quasi immediatamente a una copiosa produzione narrativa incentrata sui mutanti. John Taine (pseudonimo del matematico Eric Temple Bell), uno dei grandi romanzieri fantascientifici delle origini, ci diede nel 1929 The Greatest Adventure, in cui dalle profondità oceaniche cominciano inesplicabilmente a riemergere i corpi di rettili giganteschi: frutto, si scoprirà infine, di antichissimi esperimenti mutageni realizzati da una civiltà fiorita nell’Antartide. Un anno dopo, con The Iron Star, Taine narrò gli sbalorditivi effetti di mutazione regressiva indotti sugli esseri umani da una meteora precipitata nel cuore dell’Africa. Ancora Taine, nel 1931, descrisse con Seeds of Life la vicenda di un uomo che, colpito da radiazioni, acquisisce poteri sovrumani e li trasmette alla generazione successiva. Nel 1938 Edmond Hamilton, nel racconto He That Hath Wings, immagina la poetica, commovente storia di un essere umano mutante, nato con le ali da genitori sottoposti a radiazioni. Appartengono a quegli anni numerose altre storie del genere, molte delle quali, a fini sensazionalistici, si prendono fin troppe libertà rispetto alle reali conoscenze scientifiche del tempo.

L’esplosione, avvenuta nel 1945, delle prime bombe atomiche, portò drammaticamente all’attenzione del mondo intero il concetto di mutazione indotta da radiazioni, e questo, come era da aspettarsi, divenne un tema ossessivamente ricorrente nella fantascienza del dopoguerra: tanto che il direttore della più importante rivista specializzata di allora, il quale inizialmente aveva chiesto ai suoi scrittori di prendere in esame con estrema attenzione le implicazioni scientifiche e sociologiche dell’era atomica, fu costretto a un certo punto a imporre una tregua nella produzione narrativa incentrata sul cataclisma nucleare, che con la sua invadenza cominciava a tagliar fuori ogni altra tematica. Fu comunque proprio in quel periodo che videro la luce alcune delle migliori opere del genere: in particolare le storie del ciclo «Baldy» (1945-1953) di Henry Kuttner, ispirate al concetto della non facile convivenza fra umani normali e mutanti telepatici, e Children of the Atom (1948-1950) di Wilmar Shiras, una toccante vicenda di superintelligenti bambini mutanti. E da allora i mutanti non hanno mai cessato di occupare un posto di primo piano nelle speculazioni dei fantascrittori. Li troviamo ad esempio nel classico A Canticle for Liebowitz di Walter Miller Jr, nell’asimoviano ciclo di «Fondazione», nei romanzi di John Wyndham, in numerose storie di Robert A. Heinlein… per non parlare della loro ininterrotta militanza cinematografica, di solito con vicende dai risvolti terrificanti. Nel mutante la fantascienza incarna una metafora dell’estraneo, del solitario, della creatura superiore messa al bando dal cosiddetto consorzio civile. Il tema della mutazione rappresenta uno dei più efficaci mezzi utilizzati dalla fantascienza per interrogarsi sulla natura delle società umane, sulle relazioni fra esseri umani, sul destino ultimo della nostra specie.

Qualche osservazione sulla genesi di questo libro.

Nel 1973 pubblicai un breve racconto, The Mutant Season (La stagione dei mutanti), nel quale abbozzavo in pochissime pagine l’ipotesi che i mutanti, dopo essere vissuti per lungo tempo in mezzo a noi normali sotto mentite spoglie, come una sorta di società segreta, si decidano finalmente a uscire allo scoperto. In quel racconto mi accontentai di delineare sommariamente, senza entrare in alcun dettaglio, quali avrebbero potuto essere alcuni degli effetti di un tale avvenimento sia sulla nostra società sia su quella dei mutanti, e non mi spinsi oltre.

Poi, a distanza di parecchi anni, si fece avanti il mio amico Byron Preiss per suggerirmi che in quella vecchia idea avrebbe potuto esservi molto da esplorare in lungo e in largo, forse addirittura in una serie di romanzi, magari da scrivere in collaborazione con mia moglie Karen Haber, per l’appunto agli inizi della sua carriera come scrittrice di fantascienza. La mia prima reazione fu di sorpresa. Il racconto era talmente minuscolo – sulle duemila parole appena – che l’ipotesi di attingervi per cavarne diversi romanzi mi parve lì per lì davvero stravagante. Tuttavia, rileggendolo, mi resi conto che Byron aveva ragione: in quelle poche pagine avevo adombrato un’intera società, anche se poi, chissà perché, avevo lasciato che il concetto mi sfuggisse di mente.

Ecco dunque il racconto in forma di romanzo, con la prospettiva di ulteriori opere da elaborare a mano a mano che andremo sviscerando tutte le implicazioni dell’esistenza di una cultura mutante parallela alla nostra, esistente prima segretamente, e quindi apertamente, in seno alla società americana contemporanea. Lavorare in collaborazione ha costituito per noi un esperimento interessante. Karen e io abbiamo ideato insieme la trama e i personaggi della vicenda, prendendo spunto (con alcune sostanziali modifiche) dal mio racconto originale, ampliato enormemente sino a comprendere un arco di parecchie generazioni. Poi Karen ha realizzato la prima stesura del libro, che io ho in seguito rivisto riga per riga suggerendo revisioni tanto tematiche quanto stilistiche, dopo di che è toccato di nuovo a Karen sedersi alla tastiera. Abbiamo così trascorso diversi mesi in stretta e sostanzialmente armoniosa interazione letteraria. Scrivere un libro insieme alla propria moglie è un po’ come insegnarle a guidare un’automobile: ci vuole pazienza, buonumore, e riflessi pronti. È un’esperienza che non mi sentirei di raccomandare a tutte le coppie. Noi due, comunque, siamo passati attraverso diverse stesure di La stagione dei mutanti senza cessare di condividere né il letto coniugale né il desco familiare, e fra di noi continuano tuttora a correre, con minime eccezioni, buoni rapporti. L’altro giorno Karen mi ha consegnato le prime cinquanta pagine del secondo volume.

Ho la netta impressione che questi mutanti continueranno a frequentare casa nostra per un bel pezzo…

ROBERT SlLVERBERG

Anteprima testo

1

L’inverno è la stagione dei mutanti, pensò Michael Ryton nel porre piede sulla spiaggia mentre, alle sue spalle, la porta della baracca si richiudeva sbatacchiando. Il momento del loro raduno annuale cadeva proprio nel periodo più freddo dell’anno: il che, in un certo senso, appariva del tutto appropriato. Specialmente quest’anno.

Il vento decembrino gli sferzò con folate di sabbia le gote arrossate, scompigliandogli dalla fronte i sottili capelli biondi per sollevarli a sventolare come un vivace stendardo nella declinante luce pomeridiana. Dietro le lenti scure di protezione, il freddo gli fece lacrimare gli occhi.

«Mike, finalmente!» Sua sorella Melanie, capelli neri, infagottata fino agli occhi nella pesante sciarpa termica rosso scarlatto che mamma aveva lavorato ai ferri durante il convegno dell’anno prima, gli si fece incontro incespicando. Riusciva continuamente ad inciampare in qualcosa, lei. «Sono le quattro. Sei in ritardo per l’assemblea. Ti stanno aspettando per iniziare la condivisione.»

«Oh, al diavolo!… Andiamo, andiamo.»

Michael soffocò la propria irritazione. Non era certo colpa di Mel se ogni inverno dovevano tornare a Seaside Heights, adattandosi a soggiornare in quelle gelide, traballanti baracche di legno dalle cui pareti ciondolavano, in strisce brunoverdastre, innumerevoli mani di vernice. Capanne, niente di più. Costruite sessanta o settant’anni prima per accogliere torme di americani giovani e meno giovani in fuga dalle soffocanti strade estive di New York per conquistarsi il discutibile lusso di un posto al sole lungo le spiagge sabbiose del vicino New Jersey. Ma ora le moltitudini se n’erano andate, le spiagge si stendevano deserte. Era dicembre, adesso. La loro stagione.

Si diresse a grandi passi verso l’edificio dell’adunanza, mentre Mel avanzava faticosamente per il sentiero ingombro di vegetazione, cercando di tener dietro alle sue lunghe falcate. Anche a prescindere dalla sabbia e dalle erbacce che le intralciavano il passo, non poteva dirsi affatto la più aggraziata ragazza di sua conoscenza. Decisamente no. A Mike venne in mente Kelly McLeod, il modo in cui si muoveva, quel suo vezzo di gettare la testa all’indietro quando rideva, le chiome corvine come una criniera lucente. Lei sì, che era una creatura aggraziata. Mike non l’aveva mai veduta inciampare.

Povera Mel. Se non fosse stato così furente per essersi dovuto recare al raduno, forse sarebbe anche riuscito a compatirla. Mel era l’unica neutra dell’intero clan. Una disgrazia più che sufficiente, da sola, a rovinarle l’esistenza.

Girarono l’angolo, camminando nel vento con gli occhi socchiusi per proteggerli dalle raffiche di sabbia, superarono un’altra fila di baracche, e finalmente scorsero il rivestimento di assicelle blu che caratterizzava il luogo di riunione, la capanna più grande di tutto l’insediamento. Mike indugiò un istante ad aprire la controporta in alluminio, e Mel, che lo seguiva dappresso, nel fermarsi di colpo scivolò perdendo l’equilibrio e gli andò a sbattere contro con violenza. Pensando a ciò che li attendeva, Michael le lanciò sottecchi un rapido sguardo di commiserazione, poi trasse un respiro profondo, ed entrò.

Sullo schermo della segreteria lampeggiava, in brillanti lettere gialle, il messaggio CHIAMATA IN ATTESA. Andie Greenberg alzò gli occhi dal proprio monitor e si passò le mani attraverso i lunghi capelli rosso scuro. Il banco dell’accettazione era vuoto. Caryl doveva essersi concessa una pausa. Andie sospirò. Bisognava che quella telefonata la prendesse lei, in quanto la Jacobsen aspettava appunto una chiamata dal senatore Craddick.

Le toccava per forza interrompere la stesura del discorso per lo Scanners Club. Registrò dunque il file, vuotò lo schermo, e premendo un pulsante diede accesso alla comunicazione.

Lo schermo rimase buio, e ciò significava che l’interlocutore stava usando un apparecchio pubblico, o aveva di proposito scelto l’anonimato. Andie provò una stretta allo stomaco.

«È l’ufficio della Jacobsen?» borbottò una profonda voce maschile.

«Lei è in comunicazione con l’ufficio della senatrice Jacobsen», confermò Andie con il suo più gelido tono ufficiale. «Specifichi identità e scopo della chiamata, prego.»

«Parlo con la Jacobsen?»

«Sta parlando con Andrea Greenberg, assistente amministrativo della senatrice.»

«Quella maledetta cagna mutante farà meglio a stare molto attenta. Siamo stufi di sentirci dire da quegli schifosi aborti di natura quel che dobbiamo fare. Quando avremo finito con lei si pentirà d’essere venuta al mondo!»

Andie troncò la comunicazione. Respirò a fondo due volte, imponendosi di rimanere calma. Ormai avrebbe dovuto essersi abituata, a quelle minacce.

Il cicalino della linea privata di Eleanor Jacobsen si mise a suonare. Doveva avere intercettato la chiamata, pensò Andie. Il monitor si illuminò, mostrando uno scorcio del sancta sanctorum, con la senatrice seduta alla sua scrivania in palissandro. Eleanor Jacobsen, occhi dorati, capelli dorati, volto misterioso, la fissò solennemente dallo schermo.

«Era Craddick?»

«No», rispose Andie, sforzandosi di apparire disinvolta.

«Un’altra telefonata minatoria?» chiese la Jacobsen, voce di contralto impostata su un tono ancor più grave del solito.

Andie annuì.

«Quante, questo mese?»

«Quattordici.»

La senatrice sorrise freddamente. «Immagino che dovrei sentirmi trascurata. All’inizio del mio mandato, quella era la media settimanale. Si vede che gli starà venendo a noia… Ma tu, Andie, non lasciarti turbare, d’accordo?»

«Va bene, farò del mio meglio.» Le guance le si imporporarono. La Jacobsen approvò con un cenno del capo, poi le sue fattezze svanirono dallo schermo. Questa faccenda dei mutanti ha spaventato un sacco di gente, pensò Andie. Ed era proprio per questo che lei aveva scelto di lavorare con Eleanor Jacobsen. Se mutanti e non mutanti non imparavano a collaborare, quella paura dell’ignoto non sarebbe mai cessata.

Arrivò scampanellando il carrello della posta. Ne saltò giù V.J. in uno svolazzo di trecce color carota, e gettò un sacchetto di corrispondenza sulla scrivania di Andie. «Hai saputo di Seth?» le domandò.

«No. Cos’è successo?»

«Una lettera esplosiva diretta alla senatrice è scoppiata prima del previsto. Se fosse arrivata fin quassù avrebbe fatto un vero casino. E invece si è limitata a conciare male Seth. L’ufficio postale non è rimasto granché danneggiato. Con quelle pareti d’acciaio resisterebbe anche a una bombetta atomica.»

Andie si accorse di essere rimasta a bocca aperta. La richiuse, inghiottendo penosamente il nodo che le si era fermato in gola. «Oh, mio Dio! Ma credevo che usassero i rivelatori di metalli… I raggi X non hanno funzionato?»

V.J. fece spallucce. «Qualcuno, evidentemente, si è fatto furbo.»

«E Seth adesso dov’è?»

«L’hanno portato al Sorelle misericordiose. Sembra che riusciranno a salvargli la mano.»

«Ma quando è successo?»

«Stamattina.» Le diede un’occhiata inequivocabile. «Attenta a queste lettere, da qui in avanti, eh?» Dopo di che si affrettò a riguadagnare la porta, saltò sul suo carrello, e se ne andò.

Andie rimase lì con lo sguardo perso nel vuoto, senza vedere nulla. Pur con le nuove tecniche rigenerative, era facile che Seth non recuperasse più interamente l’uso della mano. E pensare che è… anzi, era… un così bravo artista, pensò Andie tristemente. Due di quei magnifici acquerelli all’acrilico, scarlatto e blu, li aveva anche lei nel suo appartamento. Povero Seth.

Vittima di chi odiava i mutanti? O vittima, piuttosto, dei mutanti stessi, e del loro desiderio di partecipare da protagonisti alla vita pubblica?

E lei cosa stava a farci, in quell’ufficio? Chissà che non fosse proprio lei la prossima ad aprire una lettera esplosiva, o magari a buscarsi una pallottola destinata alla senatrice… Era per caso ammattita? Forse avrebbe dovuto davvero seguire il consiglio di sua madre, e dopo la laurea in giurisprudenza abbracciare la carriera di difensore d’ufficio…

No. Aveva preso la decisione giusta. Andie rammentò a se stessa l’entusiasmo con cui aveva fatto domanda per ottenere quell’incarico. Lavorare con il primo senatore mutante nella storia del Congresso era un onore. Lei credeva ardentemente nella causa dell’integrazione. E quale miglior posizione, per mettere in pratica il suo ideale, di quella che attualmente occupava, braccio destro dell’onorevole Jacobsen? La senatrice l’affascinava: mezza santa, mezza guerriera, e completamente enigmatica dietro l’impenetrabile scudo di quegli occhi d’oro. Andie ammirava Eleanor Jacobsen con una intensità che sfiorava l’adulazione. Scrollandosi di dosso lo scoraggiamento che per qualche istante l’aveva attanagliata, premette il pulsante dell’interfono. Bisognava che la senatrice venisse informata di quella bomba.

«È una scadenza assolutamente inaccettabile, signor McLeod. Lei sa bene quanto me che non possiamo costruire e rendere operativo un generatore Brayton a ciclo chiuso in meno…

La stagione dei mutanti - Copertina

Tit. originale: The Mutant Season

Anno: 1992

Autore: Robert Silverberg, Karen Haber

Edizione: Sperling & Kupfer Editori (anno 1992), collana “Fantascienza” #8

Traduttore: Roldano Romanelli

Pagine: 311

ISBN: 882001341X

ISBN-13: 9788820013417

Dalla copertina | Siamo nel 2017 ed è inverno, la stagione in cui avviene il raduno annuale dei mutanti. Tutto precipita quando Eleanor Jacobsen, il primo senatore mutante degli Stati Uniti e portavoce dei diritti della sua specie, viene assassinata mentre sta indagando su un esperimento genetico per creare un misterioso supermutante…