“…erano riusciti (NdR: i tedeschi) a malapena a vincere la guerra (NdR: la Seconda Guerra Mondiale), e a un tratto si erano lanciati alla conquista del sistema solare […] In definitiva avevano avuto successo con gli ebrei, con gli zingari e con gli studiosi della Bibbia. E gli slavi erano stati ricacciati indietro di duemila anni […] Ma l’Africa […] laggiù i nazisti avevano mostrato dell’autentico genio […] Il Mediterraneo chiuso, prosciugato, trasformato in terreno coltivabile per mezzo dell’energia atomica […] Il ben noto, vigoroso saggio di Rosenberg era stato pubblicato nel 1958: in quell’occasione era stata pronunciata per la prima volta la parola. Per quanto riguarda la Soluzione Finale del problema africano, abbiamo quasi raggiunto i nostri obiettivi […] c’erano voluti duecento anni per liberarsi degli aborigeni americani, e la Germania, in Africa, ce l’aveva fatta in quindici anni”.
Questa breve citazione già ben chiarisce dove sta precipitando il mondo immaginato nel 1962 da Philip K. Dick ne La Svastica sul Sole (in italiano ora lo si trova anche come L’Uomo nell’Alto Castello, traduzione fedele del titolo originale The Man in the High Castle).
La Triplice – cioè Germania e Giappone con l’Italia in secondo piano – ha vinto. Chiarisco subito che non siamo dentro quel filone di ‘fanta-revisionismo storico’ dove si immagina come sarebbe bello un mondo in mano ai nazisti. Di certo Dick non ha alcuna simpatia per loro. Semmai nel romanzo ne emerge un po’ per i Giapponesi, spiegata dal fascino che la cultura orientale esercitava sull’autore, e forse da altri due motivi: una certa disinformazione sui crimini di guerra nipponici e un senso di colpa (inconscio?) per ciò che gli Americani avevano fatto ai concittadini di origine giapponese dopo Pearl Harbor: deportati in massa nei campi di concentramento.
Il romanzo è ambientato negli ex Stati Uniti, ora divisi in due zone distinte sotto i Tedeschi e sotto i Giapponesi. Qui circola clandestinamente un libro, ‘La cavalletta non si alzerà più’, dove Hawthorne Abendsen immagina che Germania e Giappone abbiano perso la guerra; questa contro-storia alimenta una ribellione ora sotterranea e ora esplicita. Ma l’ucronia nell’ucronia – ovvero il romanzo di Abendsen – non è banalmente il ‘nostro’ piano temporale (insomma il mondo nel quale Dick viveva), ci sono differenze importanti… E questi ‘patrioti’ non sono certo gente magnifica: Dick li descrive come spesso affascinati dalle idee naziste e razzisti nel profondo.
Questo libro, complesso per i molti sottintesi (e sottotesti) eppure di facile e piacevole lettura, non è l’unico del genere: chi è appassionato di fantascienza conoscerà l’ironico romanzo di Norman Spinrad Il Signore della Svastica (The Iron Dream, 1972) dove Hitler è… proprio uno scrittore di science fiction. Ma, come spesso gli accade, Dick è più avanti (oltre, se preferite). Fra i molti piani di lettura de La Svastica sul Sole ce n’è uno particolarmente interessante che sembra chiedere a chi legge: in che cosa il nazismo ha vinto, e in cosa ha perso? Per batterlo abbiamo adottato, almeno in parte, i suoi metodi e le sue idee?
I Sessanta erano anni di guerra fredda e di minacce atomiche ma anche, negli USA del trentenne Dick, di confuse speranze nel ‘sogno’ kennediano. Meno di due anni dopo la pubblicazione del romanzo, però, il primo dei fratelli Kennedy viene assassinato, e all’altro toccherà la stessa sorte nel 1968. Intanto l’America s’immerge nella guerra più ‘sporca’ della sua storia e al potere arriva Nixon, che Dick – e con lui molti altri – considera il peggior bugiardo in circolazione e un fascista quanto meno potenziale.
Una delle riflessioni suggerite dal romanzo è quella sulla confusione o contaminazione che regna fra nazisti e antinazisti nella ‘realtà’ (scenica e non). Vale la pena ricordare allora alcuni dati storici, accertati, verificabili eppure così inquietanti che molti preferiscono ignorarli. La guerra non era ancora finita che già gli USA si preoccupavano di arruolare non solo scienziati tedeschi (in testa Wernher Von Braun) ma anche militari nazi-fascisti (fra loro pure Junio Valerio Borghese della Xa Mas). Appena si capì come il conflitto sarebbe finito, dentro il Vaticano – con la complicità di vari servizi segreti – si mise in piedi una rete per consentire ai capi nazisti di fuggire, con le valigie piene di soldi e documenti, perlopiù verso Paesi ‘amici’ in America Latina: infatti è qui che anni dopo verrà scovato Adolf Eichmann.
Sulla base del Freedom of Information Act è possibile accedere ai documenti segreti – declassificati, cioè resi pubblici dopo un certo numero di anni – degli Stati Uniti, perciò chiunque può verificare che queste complicità tra Alleati, Vaticano e alti esponenti del nazismo non rappresentarono casi isolati (o addirittura calunnie) ma una organica strategia.
Certamente non pianificata ma incoraggiata e persino ovvia in un certo senso fu l’amnistia per i criminali di guerra: in Germania e in Giappone pochissimi finirono sotto processo, in Italia ancor meno. Solo dopo il processo Eichmann (nel 1961 a Gerusalemme) giudici coraggiosi ascolteranno in Germania testimoni vecchi e nuovi, e altri processi prenderanno corpo, soprattutto legati ai campi di sterminio; ne racconta L’Istruttoria (un’opera teatrale in forma di oratorio) di Peter Weiss, che è stata tradotta – e messa in scena – anche in Italia, un Paese dove invece i processi ai nazi-fascisti sono rimasti chiusi nei cassetti e in un particolare ‘armadio della vergogna’ (chi vuole saperne di più inizi a leggere i libri di Franco Giustolisi).
Questi pochi esempi sono evidentemente un primo piano di certezze che dà risposte inquietanti alle domande di Philip Dick su chi davvero abbia vinto la guerra. Ma da questa ‘confusione’ fra vincitori e vinti, fra democrazie e regimi totalitari, nascono interrogativi di ogni tipo. Quello più terribilmente concreto è quanto il mancato approfondimento delle radici – economiche, politiche, sociali e persino psicologiche – del nazi-fascismo ne faciliti la rinascita. “Il ventre è ancora fecondo” scrisse Primo Levi. E purtroppo aveva ragione.
Si ringrazia La Bottega del Barbieri
Tit. originale: The Man in the High Castle
Anno: 1962
Autore: Philip K. Dick
Edizione: Fanucci (anno 2014)
Traduzione: Maurizio Nati
Pagine: 316
ISBN-13: 9788834724477
La quarta di copertina:
Le forze dell’Asse hanno vinto la seconda guerra mondiale e l’America è divisa in due parti, l’una asservita al Reich, l’altra ai Giapponesi. Sul resto del mondo incombe una realtà da incubo: il credo della superiorità razziale ariana è dilagato a tal punto da togliere ogni volontà o possibilità di riscatto. L’Africa è ridotta a un deserto, vittima di una soluzione radicale di sterminio, mentre in Europa l’Italia ha preso le briciole e i Nazisti dalle loro rampe di lancio si preparano a inviare razzi su Marte e bombe atomiche sul Giappone. Sulla costa occidentale degli Stati Uniti i Giapponesi sono ossessionati dagli oggetti del folklore e della cultura americana, mentre gli sconfitti sono protagonisti di piccoli e grandi eventi. E l’intera situazione è orchestrata da due libri: il millenario I Ching, l’oracolo della saggezza cinese, e il best-seller del momento, vietato in tutti i paesi del Reich, un testo secondo il quale l’Asse sarebbe stato sconfitto dagli Alleati…