Se vi capitasse di incontrare un Nano riverso sulla spiaggia, senza chiari ricordi del suo passato e misteriosamente avvezzo alle arti alchemiche, il consiglio che vi darebbe Capitan Capitone sarebbe quello di lasciare il naufrago dove sta e farvi una sana dose di fatti vostri. Ci sono momenti in cui l’altruismo fa male.
Fin dalle prime pagine de La Tomba Senza Nome, il povero Capitano percepisce misteriosamente che la sua buona azione gli porterà solo guai, e le sue vicissitudini successive non fanno che confermarlo a lui e a noi. Attacchi notturni, navi rubate, draghi con problemi di febbre, guaritori che usano aspirina e supposte giganti, briganti spaccaossa, corse di bighe truccate, elfe affascinanti…
Per un pirata che soffre sia il mal di mare sia le vertigini, star dietro a quel Nano millantatore, con lo scopo di rubargli l’oro alchemico che dice di aver fabbricato, si rivela una fonte continua di nuovi e interessanti modi per incontrare la Signora Morte. E non per un saluto veloce.
Se poi a questo si aggiungono le parole misteriose di un tanto noioso quanto insistente mostro notturno che rovina i sogni al Capitano forzandolo a cercare una misteriosa “tomba senza nome”, la frittata è fatta e ci si imbarca in un’avventura non richiesta e decisamente pericolosa.
Il nuovo romanzo di PAOLO VALLERGA edito dalla BRADIPOLIBRI prende il via utilizzando le ambientazioni del gioco di ruolo ConQuest (vincitore del LuccaGames 2001 come miglior gioco italiano, e ad Acquicomics come miglior gioco autoprodotto) dopo il primo romanzo, Il Congegno Traslante, edito dalla ROSE&POISON. Maggiori dettagli sull’autore sono celati, la biografia che viene offerta da Vallerga dimostra quanto a fondo si sia spinto nel mondo fantastico che ha creato. Di sé ci racconta solo le sue origini tarantine, dipingendosi come un viaggiatore della fantasia con un sempiterno dado da gioco in mano.
ConQuest si basa su un mondo vergine e un po’ immaturo, ancora privo di una vera storia e di grandi eroi, in cui avventure a volte davvero semplici concorrono a creare legami facendo solo da preludio all’eventuale nascere di grandi cose. Proprio per questo l’umorismo la fa da padrone.
Seguendo la scia del gioco di ruolo, il romanzo si ritrova a fare equilibrismo tra il Fantasy tradizionale tratto dalle quest e la novità di uno stile palesemente assurdo, comico e impostato sulla ricerca della gag.
Il progredire della storia ricalca il tipico cammino di un’avventura giocata: incontri fatti al momento giusto, aggressioni di briganti, ricerca di luoghi e oggetti misteriosi, genti ostili o pronte a offrire cibo e cure. L’unica cosa certa è la sfortuna che perseguita i “nostri”. L’autore stesso ironizza sul fatto che i personaggi, mentre cavalcano sotto la pioggia, si chiedono se le loro disavventure non siano da imputare all’indifferente lancio di dado di qualche nume che non li ha in simpatia.
La trovata però è vecchia e logorata dall’uso.
I dialoghi, poi, sono incentrati su una parlata che ondeggia tra un volgare del quindicesimo secolo e una sfilza di termini riecheggianti espressioni gergali di dubbio gusto (per fare un esempio: il guaritore incontrato dal Capitano si chiama Erminchio…), sempre con lo scopo di strappare una risata. Di certo, giocare a ConQuest con l’obbligo di creare frasi arzigogolate e parecchio allusive ogni volta che si apre bocca scatena l’ilarità dell’intera compagnia, ma lo stesso elemento trasportato in forma scritta perde di freschezza. Anzi, l’ostinazione nell’usare quel gergo rallenta la lettura e il procedere di una storia a conti fatti molto semplice.
Il risultato di questo costante sforzo umoristico, purtroppo, non è sempre condivisibile.
Usare la comicità nel Fantasy è un’arte difficile che, quando riesce, dà luogo a capolavori quali i romanzi di WALTER MOERS (Rumo e i Prodigi nell’Oscurità, Le Tredici Vite e mezzo del Capitano Orso Blu). Ne La Tomba Senza Nome, la perenne ricerca della gag finisce per stancare, e presto non fa più ridere. Peggio, annoia. La battuta riuscita diventa un piccolo lume di speranza che ogni tanto sfavilla brevemente.
Inoltre, il testo è costellato di errori sintattici che avrebbero avuto bisogno di una revisione più accurata.
Le illustrazioni a completamento del libro sono molto discutibili, sia dal punto di vista dell’utilità sia come valore artistico. Si tratta dei tipici schizzi che ogni giocatore appassionato crea. I disegni compaiono qua e là, ritraendo personaggi scontati e dal tratto incerto, del tutto superflui.
In fondo al romanzo spuntano appendici riguardanti la scansione temporale e la stirpe dei Re, che forse intendevano essere una citazione comica degli allegati a Il Signore degli Anelli di Tolkien. È un “tocco in più” che in realtà non aggiunge nulla.
In breve, per godersi la lettura di questo romanzo occorre essere sulla stessa lunghezza d’onda (parlando d’umorismo, è chiaro) dell’autore. Non è una storia che piacerà a tutti. Rappresenta comunque un modo facile e non impegnativo per trascorrere un pomeriggio noioso e fa venire voglia di tentare una sortita nel mondo di ConQuest.
Vivendole, certe avventure sono molto più divertenti.