La Valle di Aldur (Magician’s Gambit, 1983) David Eddings
INTRODUZIONE
La decadenza, si potrebbe dire, sono pulci che si agitano domandandosi a che cosa possano servire i leoni.
Alain De Benoist
A mano a mano che ci si inoltra nel cuore della vicenda, il ciclo dei Belgariad, questa potente ed appassionante saga che giunge oggi al suo terzo capitolo, svela sempre più la propria struttura letteraria tipicamente epica. Attraverso una tecnica che potremmo forse definire di «sovrapposizione progressiva degli orizzonti» Eddings infatti amplia in senso circolare il respiro d’insieme della vicenda, introducendo il lettore ai segreti di un universo sempre più vasto e sempre intrinsecamente coerente. In questo senso, in questa struttura cosmica del narrare, attraverso questo «ordine» che contraddistingue il narrato e che gli conferisce i connotati d’un universo esemplare, in cui non c’è spazio per il caso, Eddings si svela narratore epico e, nella propria ispirazione, come nel proprio atteggiamento, profondamente tolkieniano.
In un suo recente studio il grande filosofo e semiologo francese Paul Ricoeur ha evidenziato come l’atto umano del narrare, dalla più complessa narrazione storica sino al puro parto dell’immaginazione, assolva prima di tutto ad una precisa funzione di carattere psichico e, per altro verso, metafisico: mettere l’uomo in condizione di rappresentare a se stesso in maniera «ordinata» quell’esperienza del vivere che, appunto in quanto pura esperienza, risulta invece caotica e confusa. La ricomposizione dell’esistenza e dell’agire umano intorno al filo conduttore di un ‘escatologia, di uno scopo superiore che a sua volta s’inscrive nelle armonie d’un grande disegno di sostanza cosmica, ancora una volta s’impone all’osservatore attento come l’istanza primaria e la necessità più urgente dell’uomo. Per questo motivo la narrazione mitica, nel suo pieno fulgore, o travestita da romanzo in tempi di decadenza, mantiene comunque la sua funzione «esemplare»; rappresentare al narratore e al lettore un mondo ordinato, un mondo «come dovrebbe essere», che funga non tanto da utopia consolatoria, quanto da ispirazione, da «modello» di ciò che è realizzabile o a cui comunque è giusto aspirare.
In questo senso il ciclo dei Belgariad si conferma vicenda epica ed esemplare, non a caso edificata intorno ad un tema tipico del mito come quello della «quest». In questo terzo romanzo Eddings introduce, accanto a quelli di Garion (il giovane adolescente per cui il «viaggio iniziatico» costituisce una sorta di rito di passaggio verso un altro e diverso «stato dell’essere»), nonché di Polgara e di Belgarath, l’Uomo Eterno, che ha vinto la morte rigenerando e nobilitando la propria sostanza corporea, il personaggio della principessa Ce’Nedra. Si tratta, come rivelerà appieno il prosieguo della narrazione, del vero elemento «femminile» della saga. La giovane principessa orgogliosa, ma ricca di cuore, che quasi controvoglia inizia ad amare Garion, di cui pure l’infastidisce il basso «status» sociale, costituirà vieppiù il modello ideale della componente femminile di un perfetto equilibrio, organico e spirituale, di un superiore concetto di coppia che rappresenta simbolicamente la ricomposizione degli opposti principi dell’universo in quell’unità increata che gli indù chiamano «Brahman» e che gli antichi alchimisti rappresentavano nel simbolo dell’androgino. Seguite dunque, passo passo e col fiato sospeso, il viaggio di Garion e dei suoi compagni verso la torre maledetta che sorge nel cuore delle terre orientali, ma senza mai perdere di vista l’armonia fondamentale del narrare, il lucido sogno ad occhi aperti che fa d’ogni avventura una nota di uno spartito complesso ed incantevole.
Alex Voglino
Anteprima testo
PROLOGO
Dove si racconta di come Gorim cercò un dio per il suo Popolo e di come trovò UL, sulla sacra Montagna di Prolgu.
… basato sul Libro di Ulgo e di altri frammenti.
Al principio dei tempi, il mondo venne sospinto fuori dalle tenebre da sette dèi, che crearono anche bestie ed uccelli, serpenti e pesci e, infine, l’Uomo.
Ora, dimorava nei cieli uno spirito noto con il nome di UL, che non partecipò a questa creazione, e poiché UL non contribuì con il suo potere e con la sua saggezza, molto di ciò che fu creato risultò imperfetto. Molte creature erano di aspetto disgustoso e strano, e gli dèi più giovani cercarono di cancellarle dalla creazione, in modo che sul mondo tutto fosse bello.
Ma UL protese una mano e li trattenne dicendo:
«Non potete disfare ciò che avete creato. Voi avete lacerato il tessuto e la pace dei cieli per realizzare questo mondo, come oggetto di gioco e di divertimento. Sappiate, tuttavia, che qualsiasi cosa abbiate creato, per quanto mostruosa, continuerà a vivere come rimprovero alla vostra follia. Il giorno in cui disferete qualcosa tutto sarà disfatto.»
Gli dèi più giovani si adirarono, e ingiunsero ad ogni cosa strana o mostruosa da essi creata:
«Andate da UL e lasciate che sia lui il vostro dio.»
Poi ciascun dio scelse fra le razze degli uomini il popolo che più gli piaceva, e quando rimasero altri popoli che ancora non avevano un dio, le divinità più giovani li scacciarono dicendo:
«Andate da UL, e sia lui il vostro dio. E UL non parlò.»
Per molte, amare generazioni, i Senzadio vagabondarono nelle desolate e selvagge terre dell’Occidente, levando grida di supplica che non ricevevano risposta.
Poi apparve fra loro un uomo degno e giusto chiamato Gorim, che raccolse le moltitudini intorno a sé e dichiarò:
«Avvizziamo e cadiamo come le foglie, per i rigori dei nostri vagabondaggi. I nostri bambini e i nostri vecchi muoiono. È meglio che muoia uno solo. Di conseguenza, rimanete qui e riposate su questa pianura. Io andrò in cerca del dio chiamato UL, in modo che possiamo adorarlo ed avere un posto in questo mondo.»
Per vent’anni Gorim cercò UL, invano, e con il passare del tempo i capelli gli s’ingrigirono e lui si stancò di continuare le ricerche. In preda alla disperazione, salì su un’alta montagna e gridò a gran voce, rivolto al cielo:
«Basta! Non cercherò più! Gli dèi sono una beffa e un inganno, e questo mondo è uno sterile deserto. UL non esiste, ed io sono stanco della maledizione e della sofferenza che affliggono la mia vita.»
Lo Spirito di UL lo udì, e gli rispose.
«Perché sei tu adirato con me, Gorim? La tua creazione e la forma che hai non sono dipese da me.»
Gorim ebbe paura, e cadde prono, nascondendo il viso. E UL gli parlò ancora.
«Alzati, Gorim, perché io non sono il tuo dio.»
Gorim non si alzò.
«Oh, mio dio, non nascondere il viso al tuo popolo, che soffre grandi patimenti perché è stato scacciato e non ha un dio che lo protegge.»
«Alzati, Gorim» ripeté UL, «e abbandona questo luogo. Poni fine alle tue lamentele, cercati un dio altrove e lasciami in pace.»
Ma Gorim non si alzò.
«Oh, mio dio» continuò «io rimarrò qui. Il tuo popolo ha fame e sete, cerca la tua benedizione e un luogo dove dimorare.»
«Le tue parole mi stancano» ribatté UL, e se ne andò.
Gorim rimase sulla montagna, e le bestie dei campi ed i volatili del cielo gli portarono di che nutrirsi. Rimase là per più di un anno, poi le creature brutte e mostruose che gli dèi avevano creato vennero a lui e sedettero ai suoi piedi, guardandolo.
Lo Spirito di UL era turbato, e alla fine riapparve a Gorim.
«Dimori ancora qui? Gorim si prostrò.»
«Oh, mio dio» rispose, «il tuo popolo grida a te nella afflizione.»
Lo Spirito di UL fuggì, ma Gorim rimase sulla montagna per un altro anno. I draghi gli portarono carne e gli unicorni gli diedero acqua. E di nuovo UL tornò a lui.
«Dimori ancora qui?» chiese.
Gorim si prostrò.
«Oh, mio dio» gridò. «Il tuo popolo perisce per l’assenza delle tue cure.» E UL fuggì dinanzi a quell’uomo giusto.
Un altro anno trascorse, durante il quale cose senza nome e mai viste portarono cibo e acqua a Gorim. E lo Spirito di UL venne sull’alta montagna e ordinò:
«Alzati, Gorim.»
«Oh, mio dio, abbi pietà» implorò l’uomo, rimanendo prostrato.
«Alzati, Gorim» ripeté UL, poi si protese e lo sollevò con le sue stesse mani. «Io sono UL… il tuo dio. Ti ordino di alzarti, al mio cospetto.»
«Allora sarai il mio dio?» chiese Gorim. «E il dio del mio popolo?»
«Io sono il tuo dio e il dio del tuo popolo» rispose UL.
Gorim abbassò lo sguardo, dall’alta vetta su cui si trovava, e contemplò tutte le orrende creature che lo avevano aiutato durante la sua travagliata attesa. «Che ne sarà di queste creature, o mio dio? Sarai anche il dio del basilisco e del minotauro, del drago e della chimera, dell’unicorno e delle cose senza nome, del serpente alato e delle cose invisibili? Perché anch’essi sono fuoricasta, ma vi è bellezza in ciascuno. Non distogliere il tuo viso da loro, o mio dio, perché grandi sono i loro pregi. Sono stati inviati a te dagli dèi più giovani. Chi sarà il loro dio se tu li rifiuti?»
«È stato fatto contro la mia volontà» dichiarò UL. «Queste creature sono state inviate a me per coprirmi di vergogna, poiché io avevo rimproverato gli dèi più giovani. Non sarò assolutamente il dio dei mostri.»
Gli esseri raccolti ai piedi di Gorim gemettero, e lui tornò a sedersi per terra.
«Allora rimarrò ancora qui, o mio dio» affermò.
«Rimani, se ti fa piacere» rispose UL, e se ne andò.
Accadde come in precedenza. Gorim dimorò sulla montagna e le creature gli portarono di che nutrirsi, e UL rimase turbato. Dinanzi alla santità di Gorim, il grande dio si pentì, e tornò ancora.
«Alzati, Gorim, e servi il tuo dio.» UL si protese e fece alzare Gorim. «Porta al mio cospetto le creature che siedono ai tuoi piedi e io le prenderò in considerazione. Se ciascuna possiede bellezza e pregi, come tu hai detto, allora consentirò ad essere anche il loro dio.»
E Gorim condusse le creature dinanzi a UL. Esse si prostrarono e gemettero, implorando la sua benedizione. UL si meravigliò di non aver mai notato prima la bellezza che era in ciascuno di loro, sollevò le mani e le benedisse.
«Io sono UL, e vedo bellezza e pregi in ciascuno di voi» dichiarò. «Io sarò il vostro dio, e voi prospererete, e fra voi vi sarà la pace.»
Gorim gioì in cuor suo e diede al luogo in cui questo era accaduto il nome di Prolgu, che significa «Luogo Santo». Poi partì e tornò alla pianura, per condurre il suo popolo al cospetto del dio. Ma esso non lo riconobbe, perché le mani di UL lo avevano toccato e ogni traccia di colore lo aveva abbandonato, lasciando il corpo e i capelli candidi come la neve. Il popolo ebbe paura e scagliò pietre per allontanarlo.
«O mio dio» gridò Gorim, rivolto a UL, «il tuo tocco mi ha mutato e il mio popolo non mi riconosce.»
UL levò la mano e le moltitudini divennero incolori come Gorim, poi lo Spirito di UL parlò loro a gran voce.
«Ascoltate le parole del vostro dio. Questi è colui che voi chiamate Gorim, e che mi ha convinto ad accettarvi come mio popolo, a proteggervi, a provvedere a voi e ad essere il vostro dio. D’ora in avanti voi sarete chiamati Ul-Go, in ricordo di me e come simbolo della sua santità. Farete ciò che lui comanda e andrete dove vi guiderà. E chi si asterrà dal seguirlo o dall’obbedirgli verrà da me condannato ad avvizzire ed a morire, e non esisterà più.»
Gorim ordinò alla sua gente di raccogliere le proprie cose e di radunare le bestie, e di seguirlo verso le montagne. Ma gli anziani non gli credettero, e non credettero che la voce da loro udita fosse stata quella di UL. Parlarono a Gorim con disprezzo:
«Se sei il servitore del dio UL, compi un prodigio per provarcelo.»
«Contemplate la vostra pelle e i vostri capelli» rispose Gorim. «Non è questo un prodigio sufficiente, per voi?»
Essi rimasero turbati e se ne andarono. Ma poi tornarono ancora da lui, dicendo.
«Il marchio che è su di noi è dovuto alla pestilenza che tu hai portato da qualche luogo immondo, e non è una prova del favore di UL.»
Gorim levò le mani, e le creature che lo avevano nutrito vennero a lui come agnelli al pastore. Gli anziani ebbero paura e si allontanarono, per qualche tempo. Ma poi tornarono ancora.
«Quelle creature sono mostruose e assurde» dichiararono. «Tu sei un demone inviato ad attirare il popolo verso la distruzione, non un servitore del grande dio UL. Ancora non abbiamo avuto una prova del favore di UL.»
E Gorim si stancò di loro, e gridò a gran voce:
«Io dico al popolo che esso ha udito la voce di UL. Ho molto sofferto per voi. Ora andrò a Prolgu, al Luogo Santo. Chi mi vuole seguire, lo faccia. Chi non vuole, rimanga qui.» Si volse e si avviò verso la montagna.
Alcune persone andarono con lui, ma la maggior parte del popolo rimase, disprezzando Gorim e quanti lo avevano seguito.
«Dov’è questa meraviglia che dovrebbe dimostrare il favore di UL? Noi non seguiamo Gorim, né gli obbediamo, eppure non stiamo avvizzendo né morendo.»
Allora Gorim li guardò con grande tristezza e parlò loro per l’ultima volta.
«Avete preteso da me un prodigio. Contemplate dunque questa meraviglia. Proprio come ha predetto la voce di UL, siete già avvizziti come un ramo tagliato dall’albero. Invero, oggi voi siete periti. E condusse verso le montagne e verso Prolgu i pochi che lo avevano seguito.»
La moltitudine del popolo si fece beffe di lui e tornò alle proprie tende per ridere della follia di quanti lo avevano ascoltato. Ma poi non…
Tit. originale: Magician’s Gambit
Anno: 1983
Autore: David Eddings
Ciclo: Belgariad (The Belgariad series) #3
Edizione: Editrice Nord (anno 1987), collana “Fantacollana” #76
Traduttore: Annarita Guarnieri
Pagine: 298
Dalla copertina | Continua nella magica terra di Maragor, ai limiti dell’impero di Tolnedra, la cerca di Garion e compagni per riportare l’Orb, la magica gemma che protegge i regni d’Occidente, nella reggia dei re di Riva. Ora Garion deve raggiungere una torre arcana, nel cuore di terre considerate maledette, per fronteggiare un temuto e misterioso mago. Ma anch’egli sta imparando a servirsi della magia e sta scoprendo in sé insospettate risorse e strani poteri. È forse per questo che Ce’Nedra, principessa di Tolnedra, si sente sempre più attratta da questo giovane, che resta pur sempre solo un garzone di stalla? O i suoi zii sono veramente maghi senza tempo? Continua fra mille avventure e mirabolanti magie l’irresistibile saga dei Belgariad.