La Vera Vittoria è un cortometraggio fantasy realizzato dalla Dream Factory, casa di produzione indipendente fondata nel 2006 da Matteo Paglierani, Roberto Naccari e Carlo Grotti, quest’ultimo meglio noto come Carlo Trevisan. Scritto, diretto e interpretato dallo stesso Trevisan, è stato concepito come prequel di un lungometraggio da realizzarsi, La Vera Vittoria 2: Swords of Freedom.
È una sorta di pilot della durata di circa 21 minuti, a cui partecipa l’attore Samuele Sbrighi, affiancato da altri seri professionisti, tra i quali spiccano Lucia Ceracchi e Mike Cimini. Le location dei set sono curate, i costumi e le armature sono molto appariscenti, e vengono addirittura impiegati cavalli! Malgrado sia una produzione indipendente, La Vera Vittoria ha pertanto alle spalle un’equipe con competenze ben precise e spiccato senso della spettacolarità.
Dal punto di vista formale, il video è una vera gioia per l’occhio, rispetto alla qualità media dei corti, soprattutto se amatoriali e di genere fantastico. In questo caso Trevisan ha fatto le cose in grande: i movimenti della macchina da presa, il montaggio e la sincronizzazione presuppongono attrezzature professionali e capacità che non si improvvisano. Ogni sequenza è studiata e ben costruita, e le riprese sono state montate con perizia. Il suono che accompagna le immagini è ben sincronizzato: tra l’altro i dialoghi sono abbondanti e il regista evita la comoda opportunità di sostituire al parlato una facile colonna sonora.
Al momento opportuno intervengono poi i programmi per il ritocco, a conferire alle sequenze la necessaria uniformità cromatica. La tecnologia si affianca ai protagonisti in carne e ossa, senza sostituirsi ad essi; sostiene le loro imprese e consente di dare risalto ai combattimenti, messi in scena secondo coreografie di sicuro impatto.
La trama sfrutta stereotipi amati dal grosso pubblico, amalgamati e rivisitati con un pizzico di sana ironia. Protagonista è Ledge, un ex mercenario alla ricerca di nuovi ideali, che si guadagna da vivere combattendo nei tornei. Un giorno viene sconfitto da un nobile, il quale poi lo assolda per farsi accompagnare in una pericolosa missione….
Basta uno sguardo, e tornano subito in mente le prodezze dell’ingegnoso William Tatcher, scudiero che si fa artefice della propria sorte ne Il Destino di un Cavaliere: Ledge lo ricorda per il l’aspetto (un giovane biondo equipaggiato alla meno peggio), e per il nome, che sembra omaggiare Heath Ledger, compianto interprete di quel film. Come nella più celebre pellicola, la colonna sonora del corto prevede musiche rock.
La citazione hollywoodiana è simpatica, anche se sminuisce un protagonista a cui il regista ha donato un vissuto, e che potrebbe godere di vita propria. Ledge non è il clone povero di William Tatcher; piuttosto è un personaggio che dà il meglio quando si distacca dai modelli e segue l’estro del suo creatore. È un eroe destinato a compiere un percorso che lo porterà a maturare, a scoprire valori profondi per i quali combattere.
Sulle prime, lo spettatore rimane forse perplesso, non sapendo se aspettarsi un film in costume realizzato sull’eco del titolo più famoso, oppure un fantasy vero e proprio. L’ambiguità dura per un paio di duelli: il tempo necessario per notare l’abbigliamento del pubblico seduto davanti alla lizza, e vedere incrociare armi provenienti da epoche diverse. Siamo trasportati in una sorta di passato alternativo, o piuttosto in quel tempo al di fuori del tempo che è proprio delle fiabe. Mancano le stregonerie, nel mondo in cui Ledge vive; ignoriamo se esistano poteri sovrannaturali, magari nelle mani di individui eccezionali. Gli incanti e i mostri sono sostituiti dal “sense of wonder”: come nelle saghe di Maciste, o di Fantaghirò, ciascun personaggio rivendica la sua appartenenza a un universo strabiliante, popolato da gladiatori e pirati, da crociati, ancelle in guepiere, e soldati, dame e damerini, in un pastiche che niente sottrae al divertimento.
Senza rimpianti o mezze misure, il regista decide di privilegiare l’intrattenimento. E la scelta risulta gradevole e opportuna, dal momento che sarebbe stato molto difficile mettere in scena un’epoca lontana rispettandone con fedeltà usi e costumi, e divertendo al tempo stesso.
I dialoghi stessi sono coerenti con la preferenza di rivedere e correggere il passato, immaginandolo con grande libertà. Ad esempio, il “tempo scaduto” sussurrato dal nobile cavaliere morente sottintende una maniera tutta contemporanea di percepire lo scorrere delle ore, scandite da rintocchi d’orologio.
Volentieri ci immergiamo in un Medioevo da fiera o da fiaba, deliberatamente fittizio.
Duelli dall’esito prevedibile, rivalità tra mercenari, personaggi schierati con il Bene o il Male, belle dame che attendono i loro guerrieri, imboscate nel folto dei boschi, missioni di vitale importanza, orazioni pronunciate in punto di morte… Stereotipi ai quali il cinema e la letteratura di genere ci hanno abituato. Tuttavia la conclusione de La Vera Vittoria che crea i presupposti per il seguito, aperta e forse tragica, esce dai cliché. Si abbandonano le citazioni, e la vicenda acquista un suo spessore. Ledge cresce, affronta la responsabilità e si eleva da umile soldato a Cavaliere, scegliendo il proprio destino. Ha vinto la sua battaglia personale, ed è pronto ad affrontare il Fato a testa alta.
Nessuno ci narra come e se mai sopravvivrà all’assedio annunciato nel finale, ma conoscere il domani dell’eroe non ha importanza.
Ledge compie un percorso godibile se visto con l’occhio dello spettatore del terzo millennio, abituato a cambiamenti sociali rapidi. Il protagonista ha la sensibilità di un uomo d’oggi: è un ex mercenario e gira il mondo partecipando a giostre; lasciata la compagnia di ventura, non deve più obbedire agli ordini del suo Capitano o comandare un manipolo di pendagli da forca. Sa leggere e scrivere, è fedele a una sola donna, usa bende candide e indossa camicie immacolate, perfino durante i duelli al posto di protezioni o armature. Il suo stile di combattimento scontenta gli irriducibili appassionati della scherma antica, mentre esalta quanti sono cresciuti a pane e videogiochi. Ledge è insomma il figlio degli eroi del terzo millennio, quelli fatti di pixel.
Il nostro mercenario pare essere famoso, quasi fosse un acclamato calciatore anziché un soldataccio. Rinuncia allo scudo, ai guanti d’arme, alla creatività e forse anche al buonsenso… ma non esita a trasformare ogni scontro in uno spettacolo, con tanto di piroette.
Solo quando accetta di partecipare a una vera missione e attraversa un bosco minacciato da cupi avversari, si ricopre di rumoroso, lucido acciaio: proprio nel momento in cui passare inosservato sarebbe stata l’arma più preziosa! Anche questa scelta deriva dal voler rappresentare la trasformazione di Ledge, il conseguimento dello status di Cavaliere.
Gli appassionati di rievocazione storica non si scandalizzino per le scelte narrative e coreografiche: si tratta di un fantasy con tanta spada e nessuna stregoneria, in cui gli scontri sono sì il pezzo forte, ma realizzati secondo l’estetica del cinema hollywoodiano e dei giochi per consolle, ovvero seguendo criteri di puro intrattenimento. Senza voler far torto a messeri come Fiore de’ Liberi e Filippo Vadi, autori di celebri trattati di scherma antica, il regista semplicemente ha deciso di sacrificare ogni credibilità “storica” al desiderio di coinvolgere l’emotività dello spettatore. Ha enfatizzato tutti gli aspetti che possono accattivare simpatie, un po’ come avviene per gli sgangherati pistoleri degli spaghetti-western, o per le innocue risse di Bud Spencer e Terence Hill.
La scelta è ovviamente discutibile: l’importanza attribuita alla verosimiglianza nei combattimenti è questione di gusto personale, e di contesto. Si può amare e rispettare le arti marziali, e ridere di cuore con Ranma ½ oppure con gli strampalati eroi di Dragonball, senza avvertire disagio.
Lame lucenti volteggiano per il campo di battaglia, i guerrieri si combattono a capo scoperto, Ledge fa piroette degne di un ballerino. I protagonisti si esibiscono in una coreografia accurata, che fa incrociare sottili spade da nobili del tardo Cinquecento con spadoni medievali… E ci si diverte, a patto di mettere da parte il rigore della Storia e lasciarsi abbracciare dalla Leggenda.
Intervista a Carlo Trevisan
L’Autore ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande. Ringraziandolo, riportiamo il testo dell’intervista.
Cuccu’ssétte – Come è nato Ledge?
Carlo Trevisan – Ledge nasce ispirandosi ai miti attuali. Serve a far riflettere i giovani… Se vivesse ai giorni nostri, Ledge sarebbe un cantante senza grandi ideali che punta solo alla gloria, alla fama e al denaro. Tuttavia, come spesso accade nel corso della vita, incontra delle persone che lo cambiano tirando fuori da lui il lato positivo. Tutti abbiamo delle luci e delle ombre: l’importante è far prevalere le prime. Un po’ come la forza in Guerre Stellari.
C – È un’impressione tutta mia, o il fantasy in Italia ha poca dimestichezza con la magia?
CT – Il fantasy ha poca dimestichezza con l’Italia… Altrimenti, viste le potenzialità di tanti registi che si cimentano con questo genere, saremmo già stati tutti prodotti. In televisione per parlare di fantasy dobbiamo tornare indietro a Fantaghirò, al cinema si va a finire agli anni Ottanta al mitico Ladyhawke, quasi interamente girato nel nostro Paese.
C – Ammesso esista questa carenza, dipende da un problema di budget, insufficiente per pagare effetti speciali credibili, oppure è una maniera di “sentire”?
CT – Un regista, come un pittore, ha bisogno dei colori per poter lavorare. Purtroppo questi colori, in ambito di regia, sono molto più cari che in ambito di pittura!
C – Quanti e quali professionisti hanno lavorato con te per mettere insieme il corto?
CT – La Vera Vittoria è stato reputato un “corto epico” in quanto tantissime persone vi hanno preso parte. La stessa produzione è stata in realtà una coproduzione, per poter affrontare i costi alquanto elevati.
C – Ci sono stati intoppi durante le riprese?
CT – Il mio direttore di produzione, Roberto Naccari, il primo giorno di riprese – nuvoloso – sottintendendo il rischio pioggia disse: “vediamo se sei fortunato…” Passò una settimana e la pioggia si verificò solo quando girammo negli interni! Quindi, diciamo niente intoppi… è stato tutto un colpo di fortuna, filato liscio come l’olio.
C – Le nuove tecnologie quanto ti hanno aiutato?
CT – Il digitale aiuta tantissimo. Prima, con la pellicola, i costi erano molto alti; ora è possibile riprendere a lungo senza curarsi di sbagliare, non essendoci consumo di pellicola. Per non parlare delle nuove macchine da presa, che permettono di ottenere una qualità vicina a quella della pellicola ma senza dover spendere un patrimonio.
C – Quali arti marziali hai praticato?
CT – Ho praticato principalmente il kickboxing, ma anche il taekwondo, il karate e so usare diverse armi, fra cui il bo (bastone medio-lungo) e la katana (la spada giapponese).
C – Quali sono stati i tuoi maestri e modelli?
CT – Nella vita, il mio modello principale è Gesù Cristo, l’esempio che dovrebbero prendere tutti. Poi le persone come madre Teresa di Calcutta, Papa Karol, Gandhi, e tutti coloro che hanno dedicato la propria vita al prossimo. Cinematograficamente, i miei registi preferiti sono: Steven Spielberg, George Lucas, Stephen Sommers (La Mummia), Paul W.S. Anderson (Mortal Kombat).
C – A che punto stiamo con i nuovi progetti?
CT – Ci diamo molto da fare. Ultimamente abbiamo completato il promo del progetto Il Ciondolo della Luce, ma manca sempre il budget per poter produrre il film intero. La storia è incentrata su Karin, interpretata da mia moglie Rita. È un po’ la nostra storia, lei è una ragazza timida e insicura, che incontra un principe di un regno in pericolo. I due salvano questo regno, unendo le loro forze, e si innamorano.
C – Il sequel de La Vera Vittoria: a quando? Puoi anticiparci qualcosa?
CT – Il sequel è già scritto, ma in termini di produzione preferisco concentrarmi ora su Il Ciondolo della Luce.
C – Grazie infinite, e a risentirci per il prossimo lavoro!