Anteprima testo
L’Equazione di Dio (Calculating God, 2000) Robert J. Sawyer
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Lo so, lo so… pareva pazzesco che l’alieno fosse giunto a Toronto. Certo, la città attira il turismo; ma si penserebbe che una creatura di un altro mondo punti sulle Nazioni Unite o forse su Washington. Klaatu non andò a Washington, nel film di Robert Wise, Ultimatum alla Terra?
Naturalmente si potrebbe anche ritenere pazzesco che il regista di West Side Story abbia fatto un buon film di fantascienza. In realtà, ora che ci penso, Wise ha fatto tre film di fantascienza, ciascuno meno appassionante del precedente.
Ho divagato. Mi accade spesso, negli ultimi tempi, e mi scuso. No, non sono i primi segni di demenza senile: ho cinquantaquattro anni appena, santo cielo. Ma a volte il dolore rende difficile concentrarsi.
Parlavo dell’alieno.
E del perché giunse a Toronto.
Ecco tutta la storia…
La navetta dell’alieno atterrò davanti all’ex planetario McLaughlin, che si trova proprio accanto al Royal Ontario Museum, dove lavoro io. Ho detto “ex” perché quel taccagno di Mike Harris, premier dell’Ontario, ha tagliato i finanziamenti per il planetario. Ha deciso che i ragazzi canadesi non devono sapere niente dello spazio: un vero progressista, Harris. Una volta chiuso, il planetario fu affittato per un’esposizione pubblicitaria di Star Trek, con una copia del classico ponte dell’astronave posta nella sala d’osservazione delle stelle. Per quanto mi piaccia Star Trek, non riesco a immaginare un peggiore commento alle priorità educative canadesi. In seguito quell’area era stata presa in affitto da varie imprese del settore privato, ma in quel momento era deserta.
Forse era ragionevole che un alieno visitasse un planetario, ma in realtà quella creatura voleva proprio andare al museo. Un bene, in fin dei conti: pensate alla brutta figura che avrebbe fatto il Canada se l’ambasciatore extraterrestre, stabilito il primo contatto sul nostro territorio, avesse bussato alla porta e non avesse trovato nessuno in casa. Il planetario, con la bianca cupola che lo fa assomigliare a un gigantesco igloo, sorge di parecchio rientrato rispetto alla via, quindi ha davanti un vasto spiazzo di cemento… perfetto, per l’atterraggio di una piccola navetta spaziale.
Non ho assistito di persona all’atterraggio, anche se ero proprio nell’edificio accanto. Ma tre turisti e un mio concittadino hanno registrato su videocassetta l’avvenimento e le televisioni lo hanno trasmesso in tutto il mondo per parecchi giorni. La navetta era a forma di cuneo, sottile come la fetta di torta che prende chi finge di stare a dieta. Tutta nera, non aveva sistemi di scarico visibili ed era scesa silenziosamente dal cielo.
Era lunga forse trenta piedi. (Sì, lo so, in Canada si usa il sistema metrico decimale, ma io sono nato nel 1946: non credo che quelli della mia generazione, anche se scienziati come me, si siano facilmente adattati alla novità; cercherò di correggermi.) Lo scafo della navetta, anziché essere coperto di automatismi assortiti, come ogni nave spaziale di ogni film da Guerre stellari in poi, era completamente liscio. Appena la navetta si posò al suolo, nella fiancata si aprì un portello. Rettangolare, più largo che alto. Scivolò in su… immediato indizio che l’occupante quasi certamente non era umano: gli esseri umani fanno di rado portelli di quel tipo, considerando quant’è vulnerabile la testa.
Dopo qualche secondo uscì l’alieno. Pareva un gigantesco ragno bruno-dorato; aveva corpo sferico, delle dimensioni di un grosso pallone da spiaggia, e arti che sporgevano da tutte le parti.
Davanti al planetario, una Ford Taurus tamponò una Mercedes marrone: i rispettivi guidatori erano rimasti a bocca aperta davanti allo spettacolo. C’erano diversi passanti, che parvero stupefatti, più che atterriti, anche se alcuni si precipitarono giù per le scale della stazione della metropolitana, che ha due uscite davanti al planetario.
Il ragno gigante percorse la breve distanza che lo separava dal museo; il planetario era una sezione del ROM e perciò i due edifici erano collegati da un camminamento soprelevato all’altezza del primo piano, mentre al livello stradale erano separati da un vicolo. Il museo fu costruito nel 1914, molto tempo prima che si cominciasse a parlare di problemi d’accessibilità. Nove larghi gradini portano alle sei porte a vetri principali; solo molto più tardi è stata aggiunta una rampa per disabili. L’alieno si fermò un momento, come per decidere quale via d’accesso prendere. Scelse la scalinata: le ringhiere della rampa erano un po’ troppo vicine per consentirgli un comodo passaggio, visto quanto sporgevano i suoi arti.
In cima alla scalinata, rimase di nuovo perplesso. Probabilmente viveva in un tipico mondo fantascientifico, pieno di porte che si aprono da sole. Adesso aveva di fronte la fila di porte a vetri; per aprirle, bisogna tirare, usando le maniglie tubolari, ma l’alieno pareva non capirlo. Subito dopo il suo arrivo, però, un ragazzo uscì dal museo e sulle prime non si rese conto di che cosa accadeva; poi, nel vedere l’extraterrestre, lanciò un grido di stupore. L’alieno, con calma, bloccò con un arto il battente aperto (adoperava sei arti per camminare e due, adiacenti, come braccia) e riuscì a entrare nel vestibolo. Si trovò davanti, a breve distanza, una seconda serie di porte a vetri: una intercapedine simile alle camere d’equilibrio, che permetteva un certo controllo sulla temperatura interna del museo. Capito ormai il funzionamento delle porte terrestri, l’alieno aprì una di quelle interne ed entrò nella Rotonda, l’ampio atrio ottagonale del museo caratteristico del ROM, tanto che la rivista trimestrale riservata agli operatori del museo era chiamata “Rotonda” in suo onore.
Sul lato sinistro della Rotonda c’era la sala d’esposizione Garfield Weston, usata per mostre speciali; al momento ospitava la mostra di fossili del Burgess Shale, alla cui organizzazione avevo collaborato. Le due migliori raccolte mondiali di scisti fossiliferi si trovavano al ROM e allo Smithsonian Institute; i due musei però di norma non le esponevano al pubblico. Avevo combinato di metterle insieme temporaneamente per esibirle prima qui, poi a Washington.
L’ala del museo a destra della Rotonda era stata un tempo la nostra rimpianta sala Geologia, ma ora ospitava negozi di articoli da regalo e una gastronomia Druxy… uno dei tanti sacrifici fatti dal ROM, sotto la direzione di Christine Dorati, per divenire un’”attrazione”.
L’alieno comunque andò rapidamente in fondo alla Rotonda, tra il banco delle ammissioni e quello di assistenza per i soci. Non ho visto di persona neppure questa parte, ma la scena fu registrata da una telecamera della sicurezza; per fortuna, perché altrimenti nessuno ci avrebbe creduto. L’alieno arrivò, camminando di sghembo, davanti all’agente della sicurezza in blazer blu (Raghubir, un sikh brizzolato e affabile, da una vita alle dipendenze del ROM) e disse in perfetto inglese: — Mi scusi, vorrei vedere un paleontologo.
Raghubir sgranò gli occhi, ma si riprese in fretta. Più tardi disse d’avere pensato a uno scherzo. A Toronto girano molti film e, per chissà quale motivo, una quantità enorme di serie televisive di fantascienza, comprese, negli anni, cose come Gene Roddenberry’s Earth: Final Conflict, Ray Bradbury Theater e la rinata Twilight Zone. Raghubir pensò che fosse una comparsa in costume o un aggeggio scenico animato. — Che tipo di paleontologo? — disse, impassibile, per stare allo scherzo.
Il corpo sferico della creatura ballonzolò. — Un paleontologo piacevole, immagino — rispose l’alieno.
Nel video si vede il vecchio Raghubir tentare, senza riuscirci appieno di tenere a freno un sorriso. — Volevo dire, vuole un invertebrato o un vertebrato?
— Non tutti i vostri paleontologi sono umani? — domandò l’alieno. Parlava in modo curioso, ma ci arriveremo. — Ci sarebbero quindi anche i non vertebrati?
Lo giuro, è tutto nel video.
— Sono tutti umani, naturalmente — disse Raghubir. Intanto si era radunata una piccola folla di visitatori e un altro gruppo, per quanto non inquadrato, di sicuro guardava dalla galleria interna del piano superiore la scena che si svolgeva sul lucido pavimento di marmo della Rotonda. — Alcuni però si specializzano in fossili di vertebrati e altri di invertebrati.
— Oh — disse l’alieno. — Una distinzione artificiosa, a mio parere. Uno qualsiasi andrà bene.
Raghubir prese il telefono e compose il numero del mio interno. Su nel Centro Amministrativo, nascosto dietro l’orripilante nuova Galleria Inco Limited di Scienze Terrestri (la quintessenza del modo in cui Christine vede il ROM) risposi all’apparecchio. — Jericho.
— Dottor Jericho — disse Raghubir, con la sua particolare inflessione — c’è qui un tale che desidera vederla.
Rivolgersi a un paleontologo non è come chiedere un incontro con un alto dirigente, certo, e preferiremmo che si prendesse un appuntamento, ma siamo dipendenti pubblici, lavoriamo per quelli che pagano le tasse. Tuttavia… — Chi è?—domandai.
Raghubir esitò. — Penso sia meglio che venga a vedere di persona, dottor Jericho.
Bene, il cranio di Troodonte che Phil Curie ci aveva spedito dal museo Tyrrell aveva aspettato pazientemente settanta milioni di anni; poteva aspettare ancora qualche minuto. — Arrivo — dissi. Lasciai l’ufficio e scesi, passando davanti alla Galleria Inco… Dio, quanto la odio, con gli insultanti murales a fumetti, il gigantesco vulcano finto e il pavimento che vibra… e attraversai la Galleria Currelly, entrai nella Rotonda e…
Oddio.
Oh, Cristo!
Rimasi impietrito.
Forse Raghubir non riconosceva la differenza fra la carne vera e un costume di gomma, ma io sì. La creatura ferma accanto al banco d’ammissione era un’autentica entità biologica. Non ne avevo il minimo dubbio. Era una forma di vita…
Avevo studiato la vita sulla Terra fin dalle origini, nel cuore del precambriano. Avevo visto spesso fossili che rappresentavano nuove specie o nuovi generi, ma non avevo mai visto alcun animale di grandi dimensioni che rappresentasse un phylum del tutto nuovo.
Fino a quel momento.
La creatura era indubbiamente una forma di vita e, altrettanto indubbiamente, non si era mai evoluta sulla Terra.
Ho già detto che pareva un grosso ragno; così l’avevano descritta quelli che per primi l’avevano vista, dal marciapiede. Ma era molto più complessa di un ragno. Malgrado la superficiale somiglianza con gli aracnidi, l’alieno aveva chiaramente uno scheletro interno. Gli arti erano coperti di pelle piena di bolle, che rivestiva la muscolatura rigonfia: non erano certo le sottili zampe dell’esoscheletro di un artropode.
Ogni moderno vertebrato terrestre ha quattro arti (oppure, come nel caso dei serpenti e dei cetacei, si è evoluto da una creatura che li aveva) e ogni arto termina in non più di cinque dita. Gli antenati di quella creatura erano chiaramente sorti in un altro oceano, su un altro pianeta: l’alieno aveva otto arti, disposti radialmente intorno al…
Tit. originale: Calculating God
Anno: 2000
Autore: Robert J. Sawyer
Edizione: Mondadori (anno 2001), collana “Urania” #1414
Traduttore: Gaetano Staffilano
Pagine: 314
Dalla copertina | Come si sono estinti i dinosauri? Domanda vecchia, per il lettore di fantascienza. E che ha avuto mille risposte. Nel caso di questo brillante romanzo, tuttavia, l’interrogativo è molto più complesso e andrebbe riformulato così: provata scientificamente l’esistenza di Dio, perchè ci ha fatto come ci ha fatto? E soprattutto, perchè ha deciso di estinguere periodicamente le forme di vita superiori su tutti i mondi abitati? E’ l’assillo che tormenta Hollus, un ragno intelligente venuto dallo spazio che un bel giorno entra nel Royal Museum, a Toronto, e chiede di parlare con uno scienziato. Lo portano da Thomas Jericho, paleontologo, e l’aracnide rivela importanti informazioni sulle origini della vita. Non solo, ma propone alle menti migliori della Terra di unirsi in una ricerca che altri pianeti hanno già cominciato per loro conto, e che solo lo sforzo di tutte le intelligenze potrà coronare di successo. La domanda è infatti: che intenzioni ha il Creatore?