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Come aghi piantati in un simulacro di cera, le immagini lo trafiggevano.
Durante l’estate, c’era da mangiare in abbondanza. La volpe evitava il luogo dove il suo mondo veniva invaso; i misteri sferraglianti, gli odori di fumo, i bipedi urlanti. Finì l’estate. Per qualche tempo ci fu il fango. La pioggia le infradiciava il manto, e rendeva più tagliente lo spirare del vento. Con i primi geli, il suolo si indurì, e vi fu una successione di rombi e di lampi fetidi. La volpe tornò indietro, ritraendosi furtivamente tra l’erba alta ed i cespugli. L’erba diventò arida e giallastra, gli arbusti spiccarono spogli, come incisi sullo sfondo del cielo.
La neve portò la scarsità di cibo.
La volpe finì per rassegnarsi a quella cosa nuova del suo mondo. Era un mutamento che non comprendeva, ma non poteva neppure modificarlo.
Lasciando le impronte sulla neve, spezzando la sottile crosta ghiacciata con il suo peso, sebbene la mancanza di cibo la rendesse di giorno in giorno più leggera, giunse al confine e si soffermò… non per riflettere, ma perché un complesso equilibrio di impulsi istintuali altalenava tra fame qui ed ignoto là.
Incominciò il rombo. Automaticamente, la volpe corse avanti. Fu la sua penultima azione.
Poi, quando ebbero rimosso il relitto ed i corpi, compreso quello della volpe, vennero uomini armati di fucili e batterono la zona. La compagna della volpe ed i cuccioli furono sterminati. Sulla nuova strada, le macchine procedevano cautamente, poiché l’inverno aveva rivestito il cemento di un velo invetriato di ghiaccio.
Gemeva nella tenebra. Umida, viscida, ripugnante, e c’era qualcosa di viscoso sul suo volto, sul petto, sulla parte anteriore delle gambe. Disteso nella polvere, lottava contro gli spettri.
L’uomo — c’era in lui qualcosa di familiare — in un luogo illuminato da candele, senza finestre, con la porta chiusa a chiave e sbarrata per tener fuori gli intrusi… lavorava. Ma si soffermava quasi ad ogni secondo per guardarsi intorno nervosamente.
Sappiamo così poco di loro. Una piega sarcastica delle labbra. Sappiamo, senza ombra di dubbio, che sono in grado di fare esplodere materiale fissionabile a distanze indefinite, perché lo abbiamo scoperto nel modo più atroce.
(No, non era divertente.)
Un’altra occhiata nervosa, e poi di nuovo al lavoro. La conoscenza è la prima arma. La gente, di solito, dice che combatte al buio, ma non si può parlare di combattere, quando non sai chi è il tuo nemico, e neppure se ti considera suo nemico. È questo che dobbiamo scoprire!
(È stato un rumore? Un passo? Non si vede nulla… naturalmente.) Dopo una pausa impietrita, la conclusione che si era trattato di uno scherzo dell’immaginazione sovreccitata. Qualcosa di nuovo da osservare, adesso, qualcosa che richiedeva tutta l’attenzione e generava un’eccitazione così forte da far battere il cuore. Possibile che…?
Giaceva solo nell’oscurità, intriso di fango liquido, e si contorceva violentemente, come se il colpo fosse stato fisico, in quell’istante.
Bestemmia! Venne l’ululato, e poi il colpo, e poi le risa di trionfo. (Non permetterai che una strega rimanga in vita.) Cerca di frugare tra i segreti di ciò che è nascosto non già nella conoscenza, ma nella fede! Bestemmiatore!
Sputi in faccia. Come animali impazziti, tutto intorno. Una bocca dai denti simili a tronchi d’albero, enorme, che si estende da un orizzonte all’altro e pronuncia i dogmi. Se vuoi entrare nella città santa, tra gli angeli splendenti, procedi in umiltà e non in arroganza, bestemmiatore e ribelle!
E poi, stivali che sferravano e sferravano calci.
Tentò di trascinarsi via, ed aprì gli occhi. Per qualche tempo non vide nulla e pensò di essere cieco. Poi rotolò su se stesso, e il fango schioccò; ne aveva in bocca il sapore acido. L’uomo, la corona del creato (ironia), giaceva nel sudiciume, come il porco nel brago.
La collera esplose e fiorì dentro di lui come una sfera di fuoco, rischiarando il paesaggio della sua mente con uno splendore bellissimo e mortale.
Chi l’aveva messo lì, nel sudiciume? Chi l’aveva gettato in un fosso, come un cane morto?
Lui.
L’uomo incominciò a tirarsi su, aggrappandosi ai fianchi del fossato per cercare un appiglio. Sentiva l’orribile fanghiglia che gli riempiva lo spazio tra le unghie e i polpastrelli, immonda come sterco. I suoi arti erano come pali di legno, incontrollabili. Era morto per tre quarti, ma la sua mente era viva d’odio.
Tenebra… notte… tenebra… notte…
Oltre il ciglio del fossato vide le luci e pensò alle luci che aveva visto prima. Desiderava avviarsi in quella direzione. Aggrappandosi, spingendo, dibattendosi, cercò di issarsi su e fuori, a forza. Non riuscì e ricadde. Come un uomo ammanettato in una cella, in attesa del ritorno dei torturatori, imprecò contro l’argilla scivolosa, il suo corpo debole, la sua impotenza. Incandescente, l’odio disintegrò la sua umanità come la lava può sgretolare la casetta di un contadino sulle pendici dell’Etna.
Inumano… per lui il tempo e lo spazio non costituivano una barriera insuperabile come i fianchi di quel fossato profondo.
Quando la figura apparve nel ristorante, tutto si fermò. Solo per un momento, un’acuta voce d’uomo si levò nel silenzio agghiacciante, concludendo l’accordo con una donna per quella notte. Poi nulla. Il ricordo del chiacchiericcio e della musica aleggiava nell’aria come polvere.
La sua sola presenza era come uno schiaffo. Guardarlo significava rammentare che cos’era, e ricordare che l’intera umanità era stata atrocemente insultata. Né la maschera della Morte Rossa, né Naaman sbiancato dalla lebbra, avrebbe potuto agghiacciare i presenti come la vista di quell’uomo.
Gli abiti laceri gli pendevano addosso come gli stracci sventolanti d’uno spaventapasseri. La lurida fanghiglia bruna luccicava umida sul viso, sul petto e sulle gambe. Lasciava orme sudice mentre avanzava sul pavimento del ristorante.
Trascorsero alcuni secondi. Vi furono alcune grida poco convinte; ma dall’intensità concentrata dello sguardo ardente dell’uomo, si vedeva che mirava ad un individuo, tra tutti i presenti. Perché? Per vendetta? Era impossibile esserne certi. Nell’Era dei Miracoli, non si poteva essere certi di nulla.
Cerca qualcuno, pensò Den Radcliffe. Sembrava un’idea vagamente sciocca, come le intuizioni illusone di un sogno pieno di assurdità surreali.
Me. Sta venendo direttamente verso di me.
Il ticchettare dei battiti del cuore gli diceva che il tempo passava; e lo confermava il lento avanzare dello sconosciuto. Null’altro. Come se fosse prigioniero entro un blocco di plastica trasparente, rimaneva seduto rigido a tavola, accanto ai suoi compagni. Tra lui e l’intruso c’era almeno l’ampiezza del tavolo.
La distanza si ridusse a dodici passi, dieci, otto. All’improvviso la ragazza alla sua sinistra — lui la conosceva soltanto come Maura — urlò e balzò in piedi, ed altri l’imitarono. L’incantesimo si spezzò. Den Radcliffe poté muoversi, fare qualcosa per scacciare quell’orrore, spezzarlo, schiantarlo… quell’oscenità che camminava come un uomo!
Afferrò ciò che la sua mano incontrò sul tavolo: una pesante caraffa di vetro piena d’acqua. La scagliò, e colpì l’uomo alla spalla, costringendolo a rallentare il passo per un secondo, mentre l’acqua rimuoveva un po’ di fanghiglia dalla sua guancia.
Una bottiglia, impugnata per il collo, per usarla come una clava. Den Radcliffe, che adesso si era alzato in piedi, sentiva tutti i nervi riprendere vita cantando, pungenti, come formicolano gli arti quanto la circolazione si riattiva dopo un crampo che li ha attanagliati come un legaccio. Con la bottiglia levata, mentre il liquore sgorgava dall’imboccatura e gli scorreva giù per la manica, attese nella vana speranza di ricevere aiuto.
L’uomo parlò. La voce stridula, nauseante, riempì la sala come aria uscita violentemente nel vuoto. «Maledetto!» ululò. «Maledetto maledetto maledetto! Sei stato tu a ridurmi così, bastardo!»
La superstizione, contro la sua volontà, mandò in frantumi l’autocontrollo che Radcliffe aveva già indebolito bevendo. Roteò la bottiglia e la lanciò. Si spezzò sulla fronte dell’uomo, lacerando la pelle, e i frantumi si sparsero tintinnando sul pavimento, e poi vi fu il panico represso fino a quel momento.
Le sedie si rovesciarono, le tovaglie vennero strappate via, inavvertitamente, da uomini e donne che fuggivano, lottavano, si agitavano all’impazzata, sparpagliando posate e piatti che tintinnavano e si spaccavano. I camerieri fuggirono insieme al resto; e anche gli orchestrali, che adoperavano gli strumenti come clave; e cento persone si precipitarono verso la porta d’uscita, larga un metro, prima che il direttore aprisse le docce antipanico inserite nel soffitto, e l’oblio scendesse lievemente, come neve.
La figura orrenda stava ancora ritta, di fronte a Radcliffe. Lui le scagliò contro oggetti raccattati alla rinfusa, come palle di legno contro un bersaglio da baraccone… bottiglie, bicchieri, quello che…
Tit. originale: Age of Miracles (revisione di The Day of the Star Cities)
Anno: 1965/1973
Autore: John Brunner
Edizione: Libra Editrice (anno 1978), collana “Slan – Il Meglio della Fantascienza” #39
Traduttore: Roberta Rambelli
Pagine: 322
Dalla copertina | Il primo segno della presenza degli alieni sul nostro pianeta è clamoroso, e terribile: le riserve nucleari della Terra vengono annientate, nello spazio di un respiro, e solo in quel momento giunge la consapevolezza che una presenza venuta da ‘altrove’ è giunta sul nostro mondo. È solo il primo segno. Per la Terra, per i suoi popoli, per il mondo prodigioso che conosciamo, è iniziata una nuova epoca: e il sospetto, il dramma, il terrore, l’incredulità, sono le radici di qualcosa che forse avrà una spiegazione diversa da quella che ognuno sospetta. Qual è il posto dei terrestri sul loro mondo, e cosa significano i segni della presenza aliena? Quale potere rimarrà agli uomini, e come sarà la manifestazioen degli stranieri… nemici da combattere, amici da accogliere, o forse qualcosa di diverso? L’èra dei miracoli è l’èra del nostro contatto con una realtà diversa. E in quest’opera drammatica e avvincente, ricca di suggestioni e condotta con la maestria tipica di uno scrittore sempre imprevedibile e sempre abile come John Brunner, abbiamo una nuova e indimenticabile visione di un futuro che potrebbe scuotere profondamente le nostre convinzioni, e cambiare il senso della battaglia di sopravvivenza che l’uomo conduce sul suo pianeta dagli albori del tempo… sotto l’occhio attento e freddo delle stelle, che testimoniano dell’esistenza di infiniti mondi, di altri spazi e altre civiltà! in un universo troppo grande perche noi possiamo realmente affermare di conoscerlo…