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CAPITOLO PRIMO
Diceva di chiamarsi Arthur Hidders. Indossava abiti tipicamente terrestri e, fatta eccezione per i capelli e i baffi, che portava molto lunghi, sembrava un perfetto abitante della Terra. Era alto circa un metro e settanta, magro e con dei lineamenti delicati che contrastavano con la grossezza della testa.
Voltate le spalle all’oblò che si apriva sull’immensità dello spazio, fissò il vecchio Eli Pianza con uno sguardo talmente ingenuo da sembrare quasi infantile. «Tutto questo è molto interessante… ma non vi sembra, come dire, inutile?»
«Inutile?» ripeté Pianza in tono decisamente serio. «Temo di non capire.»
Hidders fece un gesto d’impazienza. «Negli ultimi cinquecento anni, nell’arco di ogni generazione, la Terra ha sempre inviato una Commissione sul Grande Pianeta. Alcune di questa Commissioni riuscivano a fare ritorno, ma delle altre, la maggioranza, si perdevano le tracce. Ad ogni modo, comunque andassero le cose, non si è riusciti a concludere nulla. Numerosi agenti hanno perso la vita, si sono spesi un mucchio di soldi, gli abitanti del Grande Pianeta sono andati su tutte le furie e le cose sono rimaste come prima.»
Pianza rispose, assolutamente serio. «Quanto dite è vero, ma forse stavolta le cose andranno diversamente.»
Hidders corrugò la fronte e allargò le braccia. «Forse il Grande Pianeta è cambiato? O è cambiata la Terra?»
Pianza si guardò attorno con aria inquieta, abbracciando con lo sguardo tutto l’arcata del ponte. Era completamente deserto, fatta eccezione per una Sorella del Soccorso, seduta immobile come una statua, con il volto pallido e magro assorto nella meditazione.
«Le condizioni, oggi, sono diverse,» ammise. «Molto diverse. In passato, i terrestri inviavano le Commissioni per… beh, diciamo, per placare le proprie coscienze. Sapevamo che sul Grande Pianeta si verificavano ogni sorta di delitti e perversità; e sapevamo che non era possibile ignorare tutto questo.» Sorrise tristemente. «Ora sul Grande Pianeta c’è qualcosa di nuovo; vale a dire il Bajarnum del Beaujolais.»
«Già, è vero… mi è capitato spesso di viaggiare attraverso i suoi territori.»
«Ebbene, è probabile che sul Grande Pianeta esistano altri dominatori altrettanto crudeli, arroganti e prepotenti, ma il Bajarnum, come avrete avuto modo di constatare, sta allargando il suo impero e la sua sfera d’influenza, anche aldilà del Grande Pianeta.»
«Capisco,» disse Hidders. «Dunque voi siete venuti per indagare sul conto di Charley Lysidder?»
«Sì, in un certo senso è così. E stavolta abbiamo il permesso di agire come riterremo opportuno.»
In quel momento, sul ponte dell’astronave, comparve un uomo non molto alto e dalla carnagione scura. Sotto la pelle risaltava la tensione dei muscoli scattanti; i movimenti erano agili e decisi. Era Claude Glystra, Presidente della Commissione.
Glystra si guardò rapidamente attorno con aria indagatrice, scrutando ogni particolare con i suoi occhi di ghiaccio. Quindi raggiunse Hidders e Pianza all’oblò, e indicò loro un sole fiammeggiante, che splendeva non lontano dall’astronave. «Quello è Phaedra. Tra qualche ora saremo sul Grande Pianeta.»
Suonò un gong. «Il pranzo,» disse Pianza, con un sospiro di sollievo. Glystra sì incamminò per primo, ma, giunto sulla porta, si fermò un attimo per cedere il passo alla Sorella del Soccorso, che sparì in fretta avvolta nel suo saio nero.
«Una creatura davvero strana,» mormorò Pianza.
Glystra sorrise. «Sul Grande Pianeta c’è solo gente strana; sono lì proprio per questo. E se lei vuole convertirli, oppure semplicemente unirsi alla stranezza degli altri, è affar suo. Ad ogni modo, qualunque pianeta invidierebbe gente strana come lei.»
Hidders annuì vivamente. Le Sorelle del Soccorso, come le antiche Suore della Carità, godevano di un’ottima reputazione, ampiamente meritata, in tutti i mondi civilizzati. «Sul Grande Pianeta vige una perfetta democrazia, vero Mr. Glystra?»
Pianza ascoltava attento; Glystra era sempre schietto, e anche stavolta non lo deluse.
«Direi piuttosto una perfetta anarchia, Mr Hidders.»
In silenzio scesero la scaletta a chiocciola che conduceva alla sala mensa, e si sedettero ognuno al suo posto. Uno alla volta, fecero il loro ingresso gli altri membri della Commissione. Il primo ad entrare fu il grosso e loquace Roger Fayne; quindi fu la volta di Moss Ketch, scuro di carnagione, alto, magro e piuttosto timido, simile a un «prima della cura» nella pubblicità di un energetico. Dopo di lui entrò Steve Bishop, il membro più giovane della Commissione, dal volto simile al muso di una pecora e liscio come la pelle di una foca, con un cervello pieno di informazioni di ogni genere e un’innata tendenza all’ipocondria. Viaggiava quindi con un’intera biblioteca in microfilm, e una cassetta piena di medicinali. Dietro di lui, ultimo, arrivò Bruce Darrot, ritto in un atteggiamento quasi militaresco, con i suoi capelli color carota. Teneva le labbra serrate, come per frenare un imminente scoppio di collera.
Consumarono il pasto con calma, ma si sentiva nell’aria una certa tensione, che persistette e aumentò nel corso del pomeriggio, man mano che la sagoma del Grande Pianeta cominciò a delinearsi all’orizzonte.
Improvvisamente si sentì una scossa, un sobbalzo, e quindi un sensibile mutamento di direzione. Glystra, che si trovava accanto al finestrino, si voltò di scatto. Le luci tremarono, si spensero, quindi si riaccesero, con un debole barlume. Glystra risalì di corsa la scala a chiocciola che conduceva al ponte. In cima agli scalini c’era un individuo basso e tarchiato, in uniforme; era Abbigens, economo e radiotelegrafista di bordo.
«Cosa succede?» domandò in tono concitato Glystra. «C’è qualcosa che non va?»
«Non so, Mr Glystra. Ho cercato di entrare nella cabina di pilotaggio, ma ho trovato la porta chiusa.»
«Sembra che l’astronave sia priva di controllo, e che rischiamo di schiantarci da un momento all’altro!»
«Per questo non c’è motivo di preoccuparsi, Mr Glystra. Esiste un dispositivo di emergenza per l’atterraggio; si tratta di un dispositivo automatico. Magari sarà un atterraggio un po’ brusco, ma se ce ne rimarremo seduti qui in mensa, non correremo alcun pericolo.»
Quindi prese gentilmente Glystra per un braccio. Questi però si liberò e tornò verso la porta; era solida come una parete.
Discese di corsa la scaletta, imprecando contro se stesso per non aver preso precauzioni per una simile eventualità. Atterrare in un punto del Grande Pianeta diverso dalla Colonia Terrestre, infatti, avrebbe voluto dire tragedia, disastro, cataclisma. Arrivato sulla porta della sala, si fermò sulla soglia; nel mezzo del vociare confuso, i volti pallidi si voltarono verso di lui. Fayne, Darrot, Bishop, Ketch, Hidders e la Sorella… erano tutti lì. Si diresse di corsa verso la Sala Macchine, e, una volta arrivato, sentì la porta aprirsi sotto la sua spinta. Asa Elton, l’ufficiale di macchina, lo spinse indietro.
«Dobbiamo prendere le scialuppe di salvataggio,» ringhiò Glystra.
«Non ci sono più scialuppe di salvataggio.»
«Non ci sono più! E dove sono finite?»
«Sono state lanciate nello spazio. Dobbiamo rimanere sull’astronave. Non abbiamo altra scelta.»
«Ma… il capitano, l’ufficiale in seconda?»
«Non rispondono al telefono. Ma cosa è successo?»
La risposta di Elton si spense nel suono della sirena che, con il suo fragore, contribuì a rendere minacciosa l’atmosfera già incupita dal continuo spegnersi e accendersi delle luci.
Abbigens fece il suo ingresso nella sala. Si guardò attorno con aria trionfante, quindi fece un cenno d’intesa a qualcuno. A chi? Glystra voltò il capo di scatto. Troppo tardi; vide soltanto delle facce inespressive e delle bocche semiaperte. E poi… una scena che non avrebbe più dimenticato: la porta si spalancò, e l’Ufficiale in seconda fece il suo ingresso nella sala, con una mano stretta intorno alla gola. Puntò un dito accusatore verso Abbigens, quindi il sangue gli gorgogliò nei polmoni, le ginocchia cedettero ed egli stramazzò a terra.
Glystra fissò negli occhi l’uomo grasso e tarchiato dai capelli biondi.
Dietro le feritoie della sala passarono veloci delle ombre scure. Fu un istante, mostruoso, poi il pavimento della sala si sollevò di colpo.
Mentre riprendeva coscienza, si sentiva come un pezzo di legno in mezzo alla corrente. Aprì gli occhi; il cervello riprese a registrare le immagini.
Era disteso su un basso letto all’interno di una casa di legno. Con uno scatto febbrile, si tirò su, poggiandosi su un gomito, e, guardando fuori della porta aperta, ebbe l’impressione di contemplare la visione più bella della sua vita. Vide un verde pendio cosparso di fiori gialli e rossi, e in cima ad esso una foresta. Tra gli alberi, si intravedevano i tetti di un villaggio. Degli strani tetti di legno scuro e tutti scolpiti. L’intero paesaggio era immerso in un chiarore bianco-dorato, che rendeva ogni colore simile alla sfaccettatura di una gemma.
Tre ragazze in abiti da contadine attraversarono il suo campo visivo; ballavano un’allegra danza campestre. Gli giungeva il suono della musica, gli accordi di una fisarmonica, di un mandolino e di una chitarra.
Trasalì all’udire un improvviso rumore di passi. Da sotto le palpebre semichiuse, vide entrare Pianza e Roger Fayne: il primo tranquillo, perfettamente in ordine e padrone di sé; l’altro ansimante, rosso in volto e accaldato. Dietro di loro veniva una ragazza con delle lunghe trecce bionde; aveva in mano un vassoio.
Glystra si sforzò di nuovo di tirarsi su sui gomiti e Pianza disse, con voce calma, «Rilassati, Claude. Non stai ancora bene.»
Glystra domandò, «È rimasto ucciso qualcuno?»
«Alcuni uomini dell’equipaggio. Erano andati a nascondersi. Anche la Sorella del Soccorso. Pare sia entrata nella sua cabina un attimo prima dell’impatto. Adesso tutta quella parte dell’astronave si trova a una profondità di sei metri. Ovviamente sia al Capitano che all’Ufficiale in Seconda è stata tagliata la gola.»
Glystra chiuse gli occhi. «Quanto tempo è passato?»
«Circa quattro giorni.»
«Qual è la situazione?»
«L’astronave è andata completamente distrutta,» disse Fayne. Prese una sedia e vi si sedette. «Spaccata in tre tronconi. È un miracolo che qualcuno sia riuscito a sopravvivere.»
La ragazza poggiò il vassoio sul letto, si inginocchiò e si preparò ad imboccarlo. Glystra alzò gli occhi verso i compagni, preoccupato. «Sono ridotto così male?»
«Qualcuno doveva pur curarti,» disse Pianza. Accarezzò la testa della ragazza. «Questa è Natilien-Thilssa, Nancy per gli amici. È un’ottima infermiera.»
Fayne gli fece l’occhiolino. «Il solito fortunato.»
Glystra si ritrasse dal cucchiaio già pronto davanti a sé. «So mangiare da solo.» Alzò lo sguardo verso Pianza. «Dove ci troviamo, Eli?»
Pianza corrugò leggermente la fronte. «Siamo nel villaggio di Jubilith… da qualche parte nell’estremità nord-est del Beaujolais.»
Glystra strinse le labbra. «Peggio di così non poteva andare. Mi stupisce che non ci abbiano già catturato.»
Pianza guardò istintivamente verso la porta. «Siamo in un posto piuttosto isolato, e poi qui, come sai, non…
Tit. originale: Big Planet
Anno: 1952/1957
Autore: Jack Vance
Ciclo: Il Grande Pianeta (Big Planet) #1
Edizione: Mondadori (anno 1958), collana “Urania” #177
Traduttore: Hilja Brinis
Pagine: 128
Dalla copertina | Jack Vance, una delle firme più apprezzate dai nostri lettori, e a ragione, torna gli onori della ribalta. Per questa sua Odissea di Glystra, la fantasia dell’autore ha creato un affascinante pianeta, sconvolgente per la sua immensità, misterioso e terribile per la complessità della sua natura e dei suoi abitanti. Ha dato vita a un simpatico personaggio, il terrestre Claude Glystra, vivo e vero con le sue debolezze, i suoi errori, il suo prudente coraggio. Cosa fareste voi, trovandovi a dover affrontare un mondo sconosciuto ma che sapete pericoloso e ostile? Cosa fareste, rendendovi improvvisamente conto che fra i vostri compagni di avventura si nasconde un traditore al quale non sapete però dare un nome e un volto? Sul Pianeta Gigante, Glystra si trova esattamente in queste condizioni, e deve affrontarle da solo perché non può più tornare indietro, perché la Terra è ormai troppo lontana, perché la Colonia Terrestre, l’unico posto dal quale gli potrebbero arrivare aiuti, si trova sull’altro emisfero del pianeta ed è all’oscuro di tutto, e lui non ha modo di informarla. La maniera in cui Jack Vance sviluppa e conduce la trama del suo romanzo è fra le più abili e le più convincenti. E alla fine della lettura, molti sogneranno di poter vivere in una città simile alla favolosa Kirstendale del Pianeta Gigante.