EXORCISM di ©WILLEM LOMBARD 500px.com/wwwillem

L’odore dell’ombra

I

Le smorfie di tua madre, la sua indignazione, le hai ancora stampate nella memoria.

«Lavati, santo cielo! Che figura mi fai fare? Vuoi che tutti pensino che tua mamma sia una sudiciona?»

Nel ricordo, l’ingiustizia brucia molto più dei suoi ceffoni.

«Usalo quel sapone, hai un odore terribile!»

Tu come potevi farle capire la verità? Con quali argomenti? La dialettica di un bambino di cinque anni è quello che è. Scarsa.

«Non è colpa mia, Mamma, è lei, la Cosa-che-puzza. Lei mi segue sempre. È lei che…»

Scrollone.

«Sì, è colpa sua! Non mi vuoi credere? Sei cattiva, Mamma!»

Schiaffo.

Invece era vero. Sacrosantissima verità.

Come tutti i bambini, non avevi una grande intesa con l’acqua e il sapone. Non ti cambiavi con troppo entusiasmo. Eppure avevi cura di te, anzi, col tempo avevi sviluppato un acuto, direi persino doloroso senso dell’igiene personale. Ti strofinavi la pelle fino a farla diventare rossa, ti riempivi di profumi.

Nulla di fatto. Il cattivo odore, quel pestilenziale olezzo di carogna, ti tallonava come un attaccante segue la palla a centrocampo. Il bello è che non eri tu. Non era davvero colpa tua.

Era lei, la Cosa-che-puzza.

II

È difficile poter spiegare un evento tanto elementare quanto assurdo. Sin da quando tu possa ricordare, sei sempre stato accompagnato da qualcosa. Un’entità invisibile, impalpabile, una compagna occulta che ti segue ovunque abbandonandoti solo per intervalli dalla periodicità irregolare.

Non l’hai mai vista, nessuno ha mai creduto alla sua esistenza, ma tu sai che c’è. Riesci a percepirla con la pelle della nuca. La senti.

E questa presenza invisibile puzza. Puzza in maniera rivoltante.

Tu ormai da tempo ci hai fatto l’abitudine e non la senti più, ma chi ti sta vicino ti evita, ti ritiene responsabile dell’odore tremendo che hai attorno.

Dati questi presupposti, si può immaginare come sia la vita di un ragazzo maleodorante. Nella migliore delle ipotesi significa rimproveri, insulti, scherzi pesanti, qualche volta botte.

Tutta roba facile.

Per un adulto maleodorante la faccenda è molto, ma molto più dura.

La Cosa-che-puzza ti devasta da anni l’esistenza intromettendosi nella tua vita privata, nei tuoi rapporti umani. Chi vuole essere amico di qualcuno circondato da un fetore pestilenziale? Chi mai lo abbraccerà?

I litri di deodorante che hai sempre usato non sono serviti a nulla. Hai provato con tutte le marche, ti sei rivolto a diversi medici perplessi e disgustati. Hai deciso pure di rivolgerti ad uno psichiatra… Ti ha mollato alla seconda seduta.

A questo punto l’ultima spiaggia restava il suicidio oppure un esorcista. Ma, proprio quando basta pochissimo perché tu impazzisca, questa presenza scompare.

Immotivatamente.

Inaspettatamente.

Di punto in bianco.

Descrivere il tuo stato d’animo è impossibile. Semplicemente non ci credi. Non puoi farlo. Prima ancora di gioire, passi i giorni col terrore di scoprirne un’eventuale presenza.

Potrebbe esserci una traccia minima di ricomparsa. Un alone, anche solo momentaneo.

Niente. Dio solo sa il perché, i mesi scorrono e non succede niente.

E allora finalmente vivi, esplodi, ami. È tutto talmente nuovo per te, questo passare inosservato, il poter avere una vita sociale, che recuperi anni d’isolamento sfogando un’esuberanza frenetica.

All’Università, la gente si siede accanto a te senza problemi. Puoi prendere pullman semivuoti senza doverti nascondere nella folla. Vai al cinema, frequenti locali. Ti laurei.

Così conosci Sonia.

Vi piacete. Vi fidanzate. La sposi nel giro di qualche mese. Hai fretta. Istintivamente sai benissimo che la pacchia non può durare in eterno.

Per un po’, tutto sembra andare bene. Puoi persino permetterti dei problemi. Roba comune, piccole contrarietà quotidiane. Ogni cosa sembrerebbe perfetta, la vita che avevi sempre desiderato, ma un pensiero nascosto continua a corroderti. Te lo sei già detto: la fortuna non è mai duratura.

Hai ragione da vendere.

III

La Cosa-che-puzza si ripresenta in grande spolvero, più asfissiante di quanto sia mai stata, proprio nel momento meno opportuno della tua relazione.

Dopo poco più di un anno e mezzo, tu e Sonia siete giunti a un bivio, quel genere di momenti che distruggono o rinforzano la coppia. Chiamiamola crisi.

È ancora l’inizio.

La freschezza dei sentimenti, l’educazione, tengono le vostre divergenze su un piano di discussione piuttosto civile.

Siete misurati. Onesti. Avete un ragionevole rispetto di voi stessi e dell’altro.

L’arrivo del tuo accompagnatore invisibile vira tutto verso il pessimo. Ci sono litigi, squallide confessioni, ancora altri litigi e poi una spirale di cose più deprimenti come autocompassione, alcool e così via.

Ti ritrovi solo, buttato fuori di casa.

Non avendo nulla di valido da controbattere, senza una buona copertura economica e con la tara di questo coinquilino che mette in fuga qualsiasi interlocutore, diventi barbone.

Una fine logica. Anche pratica, se vogliamo.

In quanto clochard hai diritto di puzzare quanto vuoi. Quello è, anzi, il tuo segno distintivo. Una sorta di status professionale del quale non avresti più dovuto rispondere a nessuno.

Senza avere l’impegno di rendere produttivo il tuo tempo, a gambe all’aria sui giardinetti fuori della Stazione Termini, cominci a riflettere sulla natura del tuo problema.

Se diamo per assunto che la Cosa-che-puzza esista – e senza dubbio esiste davvero – bisogna farsi un’idea di chi o cosa sia in realtà.

Le speculazioni intellettuali, le fantasticherie, ti hanno sempre lasciato indifferente. Un tempo eri ingegnere, la razionalità strutturava i tuoi pensieri. Il meglio che ti riesca di inventare è la somma di alcune ipotesi per arrivare a una conclusione plausibile.

Tesi complottistica: per scopi ignoti, l’Esercito ha manipolato geneticamente alcuni neonati della tua generazione. L’esperimento è fallito e ha reso i bambini degli acceleratori viventi dei processi di decomposizione. L’aria che circonda questi infelici si corrompe e marcisce.

Debole. Stupida. Da foglio scandalistico.

L’altra teoria è che l’invisibile aura Kirlian esista. Di qualunque natura essa sia, nel tuo caso è un’aura energetica che deflette e imprigiona cattivi odori. Una sorta di effetto arbre magique al contrario.

Questa ti sembra migliore. Ci ridi su per una notte intera.

Poi piangi.

IV

Trovarlo, un esorcista.

Innanzitutto un barbone non può essere indemoniato. A chi è mai saltato in mente che il diavolo riesca a perdere tempo coi suoi fratelli più poveri? Difficile da dimostrare a qualcuno che i tuoi problemi vadano oltre la mancanza di soldi e una buona doccia.

E poi c’è da dire che neanche tu ci credi granché, a questa specie di ordalie medievali. Al massimo pensi che l’acquasanta possa avere un buon odore e per una settimana ti possa graziare dallo schifo.

Nelle tue condizioni, comunque, c’è poco da scartare e a questo punto cominci a intravedere dietro l’angolo il suicidio.

Perciò cerchi un prete.

Non è stato facile. I preti sono sempre vicini ai poveri diavoli ma gli esorcisti un po’ meno, forse perché corrono dietro ai diavoli più ricchi. Il miglior espediente che hai trovato è quello di chiedere una doccia a un francescano.

È bastato biascicare che non ce la facevi da solo, fingere un tremore che non hai mai provato.

Roba da attore consumato. Repertorio da strada.

Il difficile era stato individuare il più santo, quello che mostrasse maggiori sensi di colpa. Di solito gli altri preti ti evitavano sdegnosi, ma quel ragazzo della mensa pareva davvero un agnellino.

La tua disperazione ha fatto il resto.

Eri coperto di croste che parevano placche tettoniche, e in quelle docce tristi dell’ostello accanto alla mensa Caritas il giovane francescano iniziava a prenderci gusto a staccartele in un tripudio di parassiti. Forse trovava più semplice mondare i corpi che le anime, e ricordi di aver pensato come fosse difficile dargli torto. Comunque ha fatto un lavoro perfetto, tanto da guadagnarsi un paio di oscenità urlate dalla doccia accanto: l’invidia di un tizio grassissimo che si trascinava maestoso sulla sua stampella e non riusciva a spidocchiarsi senza scivolare.

Il francescano. Quel ragazzo aveva occhi azzurri e limpidi, gli occhi di una bestia sacrificale.

Non dimenticherai facilmente il momento in cui, convinto di aver finalmente fatto il suo dovere, li ha sollevati dalla tua pelle rossa e congestionata dalle setole di una vecchia spazzola, e li ha piantati felice nei tuoi.

Sai perfettamente che ha compreso in un attimo, allora e solo allora, quel che i suoi sensi già protestavano da qualche minuto. E mentre il ciccione ghignava e piagnucolava, hai consolato l’agnello francescano come potevi, sorridendo e chinando il capo, mentre Lei prendeva il sopravvento.

Sono occorsi diversi giorni.

Il piccolo le ha provate tutte assaporando l’ora del martirio nel tentativo di mondare e mondarsi. Ma alla fine ha ceduto.

Vada per l’esorcista.

V

La notte buia e tempestosa che ti circonda è pura olografia tardo-romantica, non il risultato di un banale meteo.

Sei seduto. Dietro di te c’è un cimitero monumentale che incombe. Intorno a te, la cattedrale di San Lorenzo, tenebrosa e opprimente di incenso.

Davanti a te, un mostro.

Il corpo è informe, o, meglio, ha in sé tutte le forme della notte, ed è nascosto pietosamente dal saio scuro su cui risalta una splendida croce di metallo. Il capo è glabro, ornato di efelidi e dominato da orecchie a sventola, lunghe e spaventose.

Un perfetto tributo alla tradizione.

Colorato di nere pozze e tenui riflessi di candele, un viso arcigno si barrica dietro occhiali. Dietro le pozze intuisci due occhi d’incubo. Occhi da esaltato, occhi da guerriero. Sai che andrà fino in fondo, e cominci a pensare che non sarà piacevole.

Sussurri cercando di apparire sicuro:

«Lasciamo perdere, ora sto bene.»

«Dicono tutti così» ti risponde l’esorcista. «Iniziamo.»

Tira fuori i suoi arcani arnesi. Tu ti fai piccolo piccolo, ma Lei non soccombe.

«Davvero, ora è tutto a posto. Sa, padre, io sono un po’ pazzerello…»

E lui non risponde, dipanando aggeggi dalla valigetta che porta con sé.

Cerchi di correre ai ripari, dirgli che ti sei inventato tutto. Spiegargli che sei un mitomane.

Niente.

«Sono schizofrenico!» urli.

Niente. Apre un gran libro nero. Fa davvero paura.

«La verità è che puzzo dalla nascita, solo questo, mi capisca…» Piangi. «Non c’è bisogno di…»

Ecco l’aspersorio.

«Non è legale quello che fa!» sbotti. Gli gridi che non è affatto legale. È un sequestro di persona.

Si ferma. Grazie al cielo.

«Pensi di farmi paura?» chiede.

Ti guarda con sorpresa.

«Puoi tranquillamente passare alle armi pesanti, essere perduto! Io ti combatterò fino in capo al mondo, bestia immonda!»

Continua a guardare fisso e pare lui l’indemoniato.

«Lascia questo povero innocente!»

Cambia tono, ora, e sembra che parli commiserevole ad un vecchio amico in miseria. «Coi barboni te la prendi, adesso!»

Poi, si rivolge a qualcuno dietro di te, lo rassicura che sarà difficile ma che ce la farete. Ti volti. Dietro c’è l’agnello sacrificale e pare davvero poco agnello, duro e freddo come non mai. Lo supplichi di aiutarti.

E lui, rivolto all’esorcista: «Vada avanti e non si fermi per nessun motivo.»

Allora si comincia.

Mentre piangi e strepiti, il mostro parla in latino, declama versi antichi che rimbombano nelle navate, ti cammina intorno e le catene che ti serrano le braccia ti schiacciano sulla sedia. Sudi anche se è inverno, le parole prendono forma e il significato, incomprensibile, ti si incolla alla faccia.

Qualcosa pare muoversi nelle tenebre, condensando il vapore e l’incenso.

Intorno a te tutto turbina e ti ritrovi a perdere bava dalla bocca mentre un urlo strazia la scena.

Non lo sai e mai lo saprai, ma ad urlare è il giovane francescano, inorridito da quel che tu non puoi vedere, ormai svenuto e in preda a convulsioni irrefrenabili.

«Non si spaventi, padre, stiamo vincendo!» grida feroce l’esorcista. Un vecchio guerriero temprato da mille battaglie, pronto a morire nella lotta e mai disposto a darla vinta al suo nemico.

«Sta uscendo! Abbandona il posseduto!» ringhia trionfante.

Il trionfo svanisce e lascia il posto a qualcos’altro.

Tutto appare confuso. Tu sei vicino all’altro mondo e non te ne accorgi, ma qualcosa fuoriesce dalla tua pancia.

L’esorcista, sospettoso, infila dentro una mano e tira. Subito una nuvola di mosche ti si leva dal ventre e sciama irritata per la chiesa. L’odore aumenta fino a divenire insopportabile.

Il vecchio prete porta istintivamente l’altra mano alla bocca, eppure non demorde: tira e tira con forza sovrumana, le vene del collo in rilievo e rosso in volto per la fatica.

Il francescano continua a urlare, perché l’esorcista sta stringendo una mano bluastra e coperta di vermi bianchi. Uno strattone più forte e il vecchio finisce per terra, due grosse dita in mano. Le guarda sorpreso per un attimo, poi si rialza e le getta lontano. Stavolta è davvero arrabbiato.

«È questo che vuoi?» ruggisce. «È questo che vuoi, bestia immonda?»

Poi si scaglia contro quel che resta della mano, si puntella sulla sedia e riprende a tirare con forza decuplicata. Ciò che hai in grembo deve essere enorme, e minuto dopo minuto ne è già venuto fuori un braccio purulento, la pelle bucata in più punti ove banchettano cose inimmaginabili.

E il francescano dagli occhi azzurri urla e urla, e l’esorcista risponde stizzito stillando sudore: «Mi aiuti, padre! Dio non rende merito ai vigliacchi!»

Ma l’altro non fa un passo e piange a dirotto.

La notte avanza a passi pesanti e viscidi, e, a un’ora imprecisata di lavoro muscolare e afrori innominabili, una spalla perfora il tuo ventre come quello di una donna incinta. Il francescano sviene battendo forte la testa sulle panche più vicine, perché la spalla è coperta da un morbido piumaggio bianco insozzato dai liquidi della decomposizione.

E dietro la spalla – scopre l’esorcista inarrestabile – c’è un’ala, e l’ala è ornata da piume che un tempo dovevano essere state meravigliose, imponenti e lucide, mentre ora si perdono tristemente sul pavimento o turbinano lontano nelle navate sulle brezze della notte.

Passano ancora minuti che potrebbero essere ore, e sul pavimento della cattedrale, accanto al francescano singhiozzante, sveglio ma prono e con la fronte a terra, giace un corpo grande tre volte quello di un uomo.

Le ali distese ronzanti di mosche, i capelli lunghissimi appiccicati al cranio velato di pelle morta, il petto un tempo possente ora coperto di bubboni in rapido movimento. Più in là il vecchio prete, inginocchiato su una panca a pregare, cupo e inconsolabile.

La notte si avvia verso un’alba ancora incerta ma incombente. Qualcosa si dovrà pur fare, perché una simile blasfemia non reggerà ai capricci del giorno.

E tu dormi sulla tua sedia, sollevato.

VI

Il vecchio esorcista non l’hai più rivisto. Incontri ancora il giovane francescano ma non vi parlate, vi evitate con gli occhi e passate oltre. Tu sei sempre un barbone anche ora che non puzzi più, e dunque passi dalla mensa, mangi veloce e riprendi le tue strade che portano al nulla.

Nessuno ti guarda, nessuno ti vede. Alle volte ti pare d’essere al di là del bene e del male.

Sai che qualcosa è accaduto, quella notte, qualcosa di terribile e che deve essere taciuto. Il giorno dopo il francescano ha provato a parlarti serio di angeli custodi e passi biblici, della fede che vince tutto e di immortalità.

Tu lo hai ascoltato obbediente ma non hai capito nulla, lui invece ha capito tutto e non è andato avanti nelle spiegazioni. Ora, semplicemente, condividete ai due angoli della strada un segreto di cui non vuoi sapere niente.

Hai un sacco di cose da fare nella tua nuova vita, anche se la notte ti svegli senza fiato nel sonno, immerso nelle ombre più nere che rantolano e bestemmiano, e provi la sensazione inconsolabile di non avere alcuna protezione.

Ma questo la notte, e la notte è sempre lontana.

Di giorno ti senti solo più leggero.