Anteprima testo
L’Uomo che non Sbagliava Mai (The Man Who Never Missed, 1985) di Steve Perry
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La morte venne a cercarlo tra gli alberi.
Gli si parò dinanzi sotto forma di una pattuglia tattica: erano in quattro e camminavano con la classica disposizione a punta di freccia, uno davanti e tre dietro. Un numero ottimale per ottenere la massima sicurezza.
Si diceva spesso che la Confederazione addestrava i suoi uomini per combattere l’ultima guerra. Ma di ultime guerre ce n’erano state talmente tante che la disponibilità di truppe scelte da impiegare sui ghiacci o nel deserto, o nelle boscaglie, era infinita. I quattro di questa pattuglia erano specializzati nel condurre operazioni antiguerriglia nella giungla. Indossavano” una tuta modello-uno, con computer viral-molecolari capaci di adeguarsi all’ambiente circostante in meno di un quarto di secondo, ed erano armati di Parker calibro 177, una micidiale carabina a canna corta con un caricatore che conteneva fino a 500 colpi esplosivi. Con due scariche automatiche di quell’arma un uomo era in grado di abbattere da solo un albero con il tronco di mezzo metro di diametro. I quattro erano inoltre dotati di rivelatori per le fonti di calore, di ricetrasmittenti, di dispositivi Doppler e di armi bianche personali. Attrezzati al meglio, avanzavano in silenzio in mezzo alla foresta pluviale, attenti a ogni più piccolo rumore che segnalasse la presenza di uomini della Feccia Shamba. Erano pronti a crivellare di colpi qualunque cosa vedessero muoversi.
Khadaji avvertì nelle viscere il morso gelido e familiare della paura. Aveva imparato a conviverci, dal momento che non c’erano alternative, ma non era comunque una sensazione piacevole. Inspirò a fondo e si appiattì contro la corteccia ruvida di un grosso albero. Era abituato a cercare nascondigli sicuri. Anche senza il dispositivo di disorientamento che aveva azionato, gli uomini della pattuglia non avrebbero mai potuto vederlo e nemmeno individuarlo con i Doppler direzionali o con i rivelatori per le fonti di calore, protetto com’era dalla compatta massa legnosa di un tronco spesso tre metri.
Attese che la pattuglia passasse oltre. Le foglie di felce frusciarono appena contro le tute degli uomini e lo strato di humus vecchio più di mille anni si appiattì sotto i loro passi con un rumore quasi impercettibile. Tanto bastò perché Khadaji, sbucando all’improvviso da dietro il suo riparo, conoscesse perfettamente la posizione della pattuglia.
Si trovava alle loro spalle, alto, rivestito di semplice ortopelle scura e con un lanciadardi fissato al dorso di ciascuna mano. Trattenne il fiato per regolare l’equilibrio e infine alzò le braccia, come se stesse sollevando un bambino. Tese gli indici e i lanciadardi fecero fuoco una prima volta, con un rumore sordo e contenuto, andando a forare le tute leggere dei due Confed più arretrati e mettendoli subito fuori combattimento.
Gli altri due dimostrarono di avere ottimi riflessi, ben allenati e acuiti da speciali dosi batteriche appositamente somministrate. In ogni caso, erano stati istruiti male. Invece di lasciarsi cadere subito al suolo, tentarono di girarsi con le carabine puntate per uccidere gli aggressori.
Khadaji fece fuoco di nuovo con entrambi i lanciadardi, e i due proiettili colsero i soldati a metà di quella infelice piroetta, sul fianco invece che nella schiena. L’uomo in posizione più avanzata fece in tempo a sparare un paio di colpi prima di cadere. Gli spari rimbombarono alti nella foresta e l’odore acre e penetrante dell’esplosivo elettrochimico impregnò l’aria rendendola quasi irrespirabile.
I quattro rimasero immobili tra le felci e le piante rampicanti, congelati in posizioni assurde dai proiettili chimici ionizzanti che prendevano il nome dall’effetto che producevano: Spasmo. Non sarebbero morti ma avrebbero avuto bisogno di sei mesi di terapia psicofisica intensiva prima di poter tornare alla normalità. Per questo il lanciadardi era un’arma tanto preziosa alla guerriglia. Ciascuna delle vittime avrebbe richiesto assistenza continua e cure prolungate; in pratica, sarebbe costata alla Confederazione mille volte più di un soldato morto.
Khadaji lanciò un’ultima occhiata al gruppetto. Doveva andarsene al più presto. Qualcuno di loro poteva aver fatto in tempo ad azionare la ricetrasmittente e forse i soccorsi stavano già arrivando. Tuttavia, una macchia scura sulla gamba di uno dei soldati attirò la sua attenzione. La distingueva a fatica, anche perché la tuta mimetica era dello stesso colore del suolo, ma gli sembrava sangue.
Si avvicinò di qualche passo. Non si era sbagliato. Nel disperato tentativo di difendersi il soldato più avanzato aveva colpito uno dei compagni.
Khadaji si affrettò a raggiungere l’uomo ferito. Anzi, la donna. Non che la differenza avesse qualche importanza. Il proiettile le aveva praticato nella coscia un cratere grosso come un pugno e la ragazza rischiava di morire dissanguata nel giro di pochi minuti.
Per un attimo, Khadaji ebbe la tentazione di lasciare le cose come stavano. Non aveva ucciso nessuno, fino a quel momento, e non avrebbe avuto sulla coscienza nemmeno quella ragazza dato che non era stato lui a colpirla. Inoltre, i soccorsi stavano probabilmente per arrivare.
Scrollò la testa. Non poteva lavarsene le mani, doveva tener fede a ciò che si era proposto fin dall’inizio.
Con uno strattone deciso staccò dalla cintura della ragazza la scatoletta del pronto soccorso. L’aprì in fretta, cercò il cerotto a pressione e lo schiacciò sulla ferita. I margini si incollarono rapidamente ai lembi di carne lacerata, chiudendo il foro e creando una giusta pressione all’interno. Al di sotto, il cervello rudimentale del cicatrizzatore provvedeva a fermare l’emorragia, legando le vene e le arterie strappate dal proiettile. Se i soccorsi erano davvero in arrivo, la ragazza non aveva più nulla da temere. In ogni caso, una volta lontano da lì, lui stesso si sarebbe preoccupato di dare l’allarme. Quanto al resto, sul pianeta Greaves non esistevano predatori; dunque, la cosa più terribile che potesse succedere a quei quattro era di venire inzuppati dalla pioggia prima che li trovassero e li portassero al riparo.
Khadaji si alzò, guardò la pattuglia per l’ultima volta e poi scomparve con un balzo nel fitto della giungla. L’improvviso calo di adrenalina lo aveva lasciato stanco e svuotato. “La Feccia Shamba ha colpito ancora” pensò con un ghigno. Secondo le stime ufficiali, i ribelli ammontavano a un numero imprecisato, tra i seicento e gli ottocento uomini. Lui sogghignò. Se i quattro della pattuglia appena neutralizzata fossero stati un po’ più veloci, la Feccia Shamba al completo avrebbe rischiato di essere eliminata. Nessuno sapeva che la resistenza sul pianeta Greaves era Emile Antoon Khadaji. Da solo.
Si trovava a sei klick di distanza dal luogo della missione successiva. Avanzò senza fretta, prestando attenzione a ogni rumore per evitare di farsi sorprendere da altre pattuglie o da una squadra di soccorso. Tutto tranquillo. L’aria sapeva di funghi e di terra bagnata, e il sentiero era scivoloso a causa della pioggia della notte prima.
Anche l’aspetto logistico stava diventando sempre più complicato con il passar del tempo. All’inizio era tutto diverso. La macchina militare della Confederazione era venuta a occupare Greaves come aveva già fatto senza colpo ferire in un’altra dozzina di mondi altrettanto pacifici. Non c’erano eserciti sul pianeta, e nemmeno focolai di resistenza nella popolazione costituita in massima parte da artigiani e contadini. Si era ribellato solo qualche gruppetto di studenti, nei primi mesi, inscenando manifestazioni di protesta che non avevano mai provocato nulla di serio. Poi, all’improvviso, i soldati avevano incominciato a cadere vittima di micidiali proiettili chimici ionizzanti, al ritmo di dieci o venti al giorno. La paternità di quelle azioni era stata rivendicata con un unico messaggio, misteriosamente registrato sul computer del comandante Garrison, da parte di una fantomatica Forza di Liberazione Shamba, subito ribattezzata “Feccia Shamba” dagli uomini della Confederazione.
Khadaji sogghignò ancora, affrettandosi lungo il sentiero. Era stata una bella trovata scegliere quel nome in onore di Lord Thomas Reserve Shamba, eroe di guerra del ventiduesimo secolo. Peccato che nessuno, oltre a lui, potesse apprezzarne la finezza. Tutto derivava dal messaggio di risposta inviato da Lord Thomas alle forze della Confederazione che, con un esercito cinquanta volte superiore al suo, gli avevano intimato la resa prima della battaglia di Mwanamamke, nel sistema di…
Tit. originale: The Man Who Never Missed
Anno: 1985
Autore: Steve Perry
Ciclo: Matador #1
Edizione: Mondadori (anno 1986), collana “Urania” #1035
Traduttore: Maura Arduini
Pagine: 144
Dalla copertina | Quando una Confederazione Galattica che da più di cento anni governa su un quandrante di universo ampio mille anni luce deve fare ricorso sempre più spesso alla forza per fronteggiare ogni segno di inquietudine o malcontento, è ovvio che la decadenza è vicina. Ma l’apparato militare della Confederazione costituisce ancora una minaccia quotidiana, come sa benissimo Emil Khadaji, ex-membro delle forze speciali antisommossa e attualmente gestore della taverna Fiore di Giada sul pianeta Greaves. Una minaccia che, tuttavia, proprio su Greaves, un gruppo armato noto come Forze di Liberazione Shamba è disposto ad affrontare un giorno dopo l’altro, con repentini attacchi di sorpresa che lasciano paralizzati per lunghi mesi molti soldati della guarnigione. Nessuno ha mai visto gli attaccanti, nessuno conosce la loro forza reale, ma c’è chi giura che sono centinaia, anzi migliaia, e solo Emil Khadaji potrebbe smentirli, perché suo è il sorprendente piano destinato a mettere finalmente in ginocchio l’odiata Confederazione.