L'uomo Stocastico (The Stochastic Man | 1975) di Robert Silverberg

L’uomo Stocastico

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L’uomo Stocastico (The Stochastic Man | 1975) di Robert Silverberg

Anteprima testo

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Siamo venuti al mondo accidentalmente in un universo governato dal caso. Le nostre vite sono decise da combinazioni puramente fortuite di geni. Tutto quello che accade, accade per caso. I concetti di causa ed effetto sono sofismi.

Esistono solo cause “apparenti” che portano a effetti “apparenti”. Dal momento che niente dipende realmente da qualcos’altro, navighiamo ogni giorno in oceani di caos e non si può predire nulla, nemmeno quello che succederà tra un istante.

Voi ci credete?

Se è così, vi compiango perché la vostra deve essere una vita triste, spaventosa e sconsolata.

Mi sembra di aver creduto anch’io, un tempo, a qualcosa del genere.

Quando avevo circa diciassette anni e il mondo mi sembrava ostile e incomprensibile. Allora forse pensavo che l’universo fosse un colossale gioco ai dadi, senza scopo o disegno, in cui noi sciocchi mortali introduciamo il comodo concetto di causalità allo scopo di mantenere il nostro precario e fragile equilibrio. Mi pareva anzi una fortuna sopravvivere in questo cosmo accidentale e illogico di ora in ora, e addirittura di anno in anno, poiché in ogni momento, senza preavviso o ragione, il sole poteva spegnersi o il mondo trasformarsi in un’enorme bolla gelatinosa di petrolio. La fede e le opere buone non bastano, non hanno nessun valore. A chiunque potrebbe accadere qualunque cosa in qualsiasi momento. Perciò “Carpe diem”

senza badare al domani, perché il domani non si cura di voi.

Filosofia cinica, e anche infantile. Il cinismo giovanile è soprattutto una difesa contro la paura. Invecchiando, penso di avere trovato il mondo meno terribile e quindi sono diventato meno cinico. Ho riacquistato parte dell’innocenza tipica dell’infanzia e accettato, come ogni bambino, il concetto di causalità. Spingi il neonato e questi cade. Causa ed effetto. Calcia forte il pallone e questo vola nell’aria. Causa ed effetto, sempre causa ed effetto.

L’universo, questo potevo concederlo, può essere senza scopo, ma certamente ha un disegno. Così intrapresi i primi passi sulla strada che doveva condurmi prima alla mia carriera, poi in politica e di qui agli insegnamenti dell’onniveggente Martin Carvajal, quell’uomo oscuro e tormentato che ora riposa nella pace che tanto temeva. Fu Carvajal a portarmi al posto, nello spazio e nel tempo, che oggi io occupo.

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Mi chiamo Lew Nichols. Ho capelli biondo rossicci, occhi scuri, nessun segno particolare e sono alto due metri esatti. Sono stato sposato – con un matrimonio singolo – a Sundara Shastri. Non abbiamo avuto figli e al momento attuale siamo separati di fatto, non legalmente. Non ho ancora trentacinque anni. Sono nato a New York l‘1 gennaio 1966 alle 2,16 di notte.

Quella stessa sera, qualche ora prima della mia nascita, a New York si registrarono due avvenimenti contemporanei di grande importanza storica: l’investitura dell’affascinante e famoso sindaco John Lindsay e l’inizio del primo, immenso e catastrofico sciopero della metropolitana. Credete nella simultaneità? Io sì. Non esiste stocastica né equilibrio senza simultaneità.

Se consideriamo l’universo come un insieme di avvenimenti slegati, una evanescente e inutile trama di non causalità, siamo perduti.

Mia madre doveva partorire a metà gennaio, ma io arrivai in anticipo di due settimane, con grande disagio dei miei genitori che furono costretti a correre in ospedale nelle ore piccole della notte di Capodanno, in una città improvvisamente priva di trasporti pubblici. Se la loro abilità profetica fosse stata più raffinata, avrebbero potuto affittare una macchina quella sera.

Se il sindaco Lindsay avesse usato delle tecniche profetiche migliori, penso che quel pover’uomo avrebbe dato le dimissioni al momento del giuramento e si sarebbe risparmiato anni di grattacapi.

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La causalità è un principio decoroso e lodevole ma non possiede tutte le risposte. Se vogliamo che ogni cosa abbia un senso dobbiamo andare oltre questo principio. Dobbiamo riconoscere che molti importanti fenomeni non possono essere catalogati e incasellati come semplici prodotti causali ma possono, invece, essere interpretati solamente con metodi stocastici.

Un sistema in cui gli eventi si verificano secondo una legge di probabilità ma non sono individualmente determinati in base al principio di causalità è un sistema stocastico. Il quotidiano sorgere del sole non è un processo stocastico: esso è inflessibilmente e invariabilmente determinato dalle relative posizioni, nel cielo, della terra e del sole, una volta quindi capito il meccanismo causale, possiamo predire senza rischi che il sole sorgerà domani, dopodomani e il giorno seguente. Possiamo anche prevedere l’ora esatta dell’aurora, e questa non è una “supposizione” ma una “conoscenza anticipata”.

Neppure il fenomeno dell’acqua che scorre verso valle è un processo stocastico: esso è una funzione della forza di gravità che sappiamo essere una costante. Esistono, tuttavia, molti campi in cui la causalità non è più sufficiente e allora ci viene in aiuto la stocasticità.

Per esempio, siamo incapaci di predire i movimenti di ogni singola molecola di un litro di ossigeno, ma con una certa conoscenza della cinetica possiamo tranquillamente anticipare il comportamento dell’intero litro.

Non abbiamo nessun modo di prevedere il momento in cui un particolare atomo di uranio perderà il suo potere radioattivo, ma possiamo calcolare con precisione come innumerevoli atomi in un blocco di U-235 si disintegreranno nei prossimi diecimila anni. Non sappiamo quale numero uscirà al prossimo giro di roulette, ma la direzione del casinò ha una idea più che approssimativa del suo probabile incasso nel corso di una serata. Qualsiasi tipo di processo, per quanto imprevedibile possa sembrare su una base individuale di minuto-per-minuto o caso-per-caso, è prevedibile con le tecniche stocastiche.

“Stocastico”. Secondo l’Oxford English Dictionary questo termine venne coniato nel 1662 ed è oggi “raro” o “dis.”.

Non credeteci. È l’OED a essere “dis.”, non il termine “stocastico” che diventa meno “dis.” ogni giorno che passa. Il termine viene dal greco e in origine vuol dire “bersaglio” o “punto di mira”; di qui i greci derivarono un verbo che significava “mirare a un bersaglio” e, in senso metaforico, “riflettere, pensare”. Questo termine inizialmente diventò nella lingua inglese un modo originale di dire “concernente una congettura”, come nel commento, del 1712, di Whitefoot su Sir Thomas Browne: “Ancorché non fosse profeta… pur tuttavia in quella facoltà che vi è molto vicina, egli eccelleva, cioè la stocastica, nella quale raramente si sbagliava, nei confronti degli eventi futuri”.

Nelle parole immortali di Ralph Cudworth (1617-1688): “È necessario usare il metro di giudizio stocastico nei confronti della verità e falsità della vita umana.”

Coloro che hanno un “modus vivendi” stocastico sono accorti e giudiziosi e non generalizzano mai basandosi su un misero esempio. Come Jacques Bernouilli dimostrò all’inizio del XVIII secolo, un avvenimento isolato non anticipa niente, ma quanto più numerosi sono gli avvenimenti considerati tanto maggiori sono le probabilità di indovinare la reale distribuzione dei fenomeni presi a esempio.

Questo, per quanto riguarda la teoria delle probabilità.

Sorvolo rapidamente e con un certo disagio sulle distribuzioni di Poisson, sul Teorema del Limite Centrale, gli assiomi di Kolmogorov, gli schemi di Ehrenhaft, le catene di Markov, il triangolo di Pascal e tutto il resto. Intendo risparmiarvi tutti questi intrichi matematici. (Sia “p” la probabilità del verificarsi di un evento in un unico processo e “s” il numero delle volte in cui l’evento si verifica in “n” processi…) La mia opinione è semplicemente che il puro stocastico impara da solo a osservare ciò che al Centro per i Processi Stocastici abbiamo finito per chiamare l’Intervallo di Bernouilli, una pausa, cioè, in cui noi chiediamo a noi stessi: “Possiedo veramente dati sufficienti per trarre una conclusione valida?”.

Io sono il segretario del Centro che è stato fondato quattro mesi fa, agosto 2000. Le spese vengono pagate con il denaro di Carvajal. Per ora occupiamo una casa di cinque stanze in un’area rurale del New Jersey settentrionale, e non voglio precisare di più la sua posizione. Il nostro scopo è quello di trovare i modi per ridurre l’Intervallo di Bernouilli a zero: cioè, fare delle previsioni sempre più esatte sulla base di un campione statistico sempre minore; oppure, per dire la cosa in altri termini, passare dalla probabilistica alla predizione assoluta; o, con un’altra formula ancora, sostituire le congetture con la chiaroveggenza.

Quindi, il nostro lavoro ha come fine i poteri poststocastici. Ciò che Carvajal mi ha insegnato è che la stocasticità non è la meta di quest’attività: è solamente una fase, rapidamente superabile, dei nostri sforzi diretti alla completa rivelazione del futuro, della nostra lotta per liberarci dalla tirannia del caso. Nell’universo assoluto tutti i fenomeni possono essere considerati rigidamente deterministici, e se non riusciamo a cogliere le strutture più vaste, questo dipende dalla nostra percezione che è difettosa. Se la nostra nozione di causa ed effetto fosse solo passabile, riusciremmo a ottenere la conoscenza assoluta del futuro. Diventeremmo onniveggenti.

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Carvajal ormai è morto, esattamente quando e dove lui sapeva che sarebbe accaduto. Io sono ancora qui, invece, e penso di sapere anch’io come morirò, anche se non ne sono completamente sicuro, e la cosa, comunque, non sembra avere per me lo stesso peso che ebbe per lui. Carvajal non trovò mai la forza necessaria per sopportare le sue visioni. Era solo un piccolo uomo senza linfa, dagli occhi vuoti e il sorriso esangue, con un talento troppo grande per la sua anima, e fu questo dono a ucciderlo più di qualunque altra cosa. Se davvero io ho ereditato questa dote naturale spero di farne un uso migliore del suo.

Carvajal è morto, ma io sono vivo e lo sarò ancora per diverso tempo.

Intorno a me ondeggiano le torri che sorgeranno a New York tra venti anni, grattacieli rilucenti nella pallida luce delle aurore non ancora nate.

Guardo l’opaca volta di porcellana del cielo invernale e vedo immagini del mio viso, molto più vecchio. Quindi non è ancora arrivato il mio momento di sparire. Ho davanti a me un…

L'uomo stocstico - Copertina

Tit. originale: The Stochastic Man

Anno: 1975

Autore: Robert Silverberg

Edizione: Mondadori (anno 1976), collana “Urania” #687

Traduttore: Lella Cucchi

Pagine: 192

Dalla copertina | Stocastico: voce dotta, dal greco stochastikos, congetturale, dovuto al caso, aleatorio. Questo dice il dizionario. Ma Robert Silverberg dice di più. Dice che uno specialista di indagini conoscitive e di statistiche previsionali, un professionista della congettura, un mago del calcolo delle probabilità, può tutto a un tratto scoprire la vera natura del suo talento. E questo talento non ha niente a che fare con la scienza dei numeri, col buon senso, con il fiuto commerciale e politico.
È un dono naturale che, coltivato opportunamente, permette all’uomo stocastico di “vedere” come in una sfera di cristallo, il futuro. Chi vincerà la terza corsa all’ippodromo? Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti? Come e quando arriverà la nostra morte? Mai come in questo romanzo l’antico sogno dell’umanità è stato presentato con tanta acutezza psicologica, con un così vivo senso di ciò che potrebbe essere, in concreto, la vita di un autentico veggente.