“Le maree vennero con la notte, vorticando attorno al gigante. Le maree vennero e l’annegarono nel sonno. E l’acqua infiltrò minerali nella sua carne finché non divenne pietra, un’escrescenza nodosa sulla spiaggia. Poi, ogni notte per migliaia di anni, le maree tornarono a eroderne la sagoma, rubandogli la forma. Ma non del tutto.
Per riuscire a vederlo, oggi, bisogna guardare nell’oscurità. O socchiudere gli occhi alla luce splendente del sole: un’occhiata obliqua, oppure diretta ovunque tranne che sulla pietra stessa. Tra i doni di Padre Ombra ai suoi figli, questo si erge su tutti: guarda altrove, per vedere. Abbi fede, e sarai nell’Ombra, dove si nasconde ogni verità.”
Guarda altrove, per vedere. Ora.” (Maree di Mezzanotte – cap. 1)
L’incontro con STEVEN ERIKSON non è dei più semplici. La maggioranza degli scrittori fantasy ci accompagna quasi per mano attraverso i propri sentieri narrativi, mentre ciò che offre questo archeologo/antropologo canadese è un’epopea che impatta senza alcuna gentilezza con il lettore: non spiega, non dice, non aiuta; ma pone faccia a faccia con un affresco tale da evocare il sense of wonder in chiunque pensasse di aver già visto tutto.
La saga de “La Caduta di Malazan” prende il nome dall’omonimo regno, assolutista e decadente, le cui vicende campeggiano nei primi quattro volumi editi in Italia, tuttavia offre uno scenario assai vasto; l’intreccio di molteplici storie, legate tra loro attraverso dettagli spesso poco visibili, viene sviluppato con disinvoltura su più livelli: nel tempo e nello spazio, nel particolarismo di etnie inverosimili e divinità crudeli quanto fallaci, che incrociano i loro destini tra magie complesse, intrighi spietati e guerre eterne. In sostanza, una visione dimensionale più vasta di quella normalmente incontrata nel Fantasy: prendiamo MARTIN e moltiplichiamolo per MIÈVILLE, i due autori attualmente più rappresentativi.
La struttura classica e colossale del primo, unitamente alle visioni d’incubo del secondo, convergono e si dilatano con Erikson in un regno di orrori e meraviglie, scenari apocalittici e atmosfere cupe, passioni e violenza. Un universo multistrato dove i normali parametri di riferimento perdono il loro valore, ma anche un’analisi psicologica ricca di interrogativi etico-morali.
Tuttavia, a differenza di Martin, l’epica di questo autore non si focalizza sulla celebrazione di caste elitarie, bensì integra con pari opportunità le “stanze del potere” e gli strati più bassi: nobiltà e feccia, figure leggendarie e soldataglia. Se l’idea dell’opera è nata da un progetto di Gioco di Ruolo, in collaborazione con J.C. ESSLEMONT, da questa base l’immaginazione dell’autore ha spiccato il volo, dando vita a qualcosa di assolutamente originale.
Maree di Mezzanotte è il quinto pregevole atto di questa saga.
Trama e Personaggi
“…Ogni certezza è un trono vuoto.”
Maree di Mezzanotte (edito in Italia da ARMENIA nel gennaio 2008), costituisce un’evoluzione non solo narrativa ma anche di contenuti nell’ormai famosa saga. Un cambio netto di scenario accompagna questa diramazione inaspettata, che introduce personaggi nuovi, una terra finora sconosciuta, e riferimenti molto vicini al “nostro” mondo.
Gli eventi narrati si collocano nel “1161 dal Sonno di Burn”, quindi più o meno contemporanei a quelli de I Giardini della Luna. A fronteggiarsi nell’ennesima guerra, due popoli confinanti ma di cultura opposta. Legati al culto della tradizione, gli umanoidi Tiste Edur sono rigidamente racchiusi in una società tribale statica e severa, in cui i codici di onore e fedeltà sono considerati valori assoluti.
Quello dei Letherii, umani, è invece un regno aggressivo e decadente fondato sul profitto, sul potere dell’oro e sull’Indebitamento, meccanismo economico che coinvolge tutti gli strati sociali e può condurre alla perdita della libertà per generazioni. In questo tipo d’ottica il passo dal commercio alla conquista è breve: ogni territorio capace di offrire nuove risorse è visto come una preda di cui impossessarsi, a qualunque costo. E il regno degli Edur costituisce una tentazione troppo forte, se non un passo obbligato.
Lo scontro tra i due popoli può essere visto attraverso le vicende di due famiglie: Sengar, Tiste Edur della tribù dominante Hiroth, e Beddict, di Lether, entrambe legate, in un modo o nell’altro, alle rispettive casate reali.
Un attacco degli Edur a navi corsare letherii – apparentemente una scaramuccia di confine – mette in moto un meccanismo le cui conseguenze nessuno, da ambo le parti, sa prevedere, fornendo al monarca assoluto dei clan Edur, il Re Stregone, l’opportunità di evocare forze antiche e terribili. Ne segue un massacro del nemico senza lotta e senza onore, che sconvolge i princìpi su cui la nobiltà Edur fonda il suo credo. Trull (già incontrato come il fratello terzogenito Binadas ne La Casa delle Catene) è l’unico dei Sengar a palesare dubbi, mentre il fratello Fear, Maestro delle Armi, trova forza nell’obbedienza cieca agli ordini; terribile e imprevista sarà inoltre la sorte/metamorfosi del minore, Rhulad.
Parallelamente, a Lether, una strana profezia si avvicina al suo compimento: la “Settima Chiusura” porterà la fine di un regno e l’ascensione di un Imperatore. L’inquietudine legata a questo nuovo inizio viene percepita diversamente tra i personaggi vicini al trono: Hull Beddict, un tempo Sentinella del re, ha rigettato il proprio ruolo a favore dei popoli distrutti da Lether; Brys Beddict, Finnad e Campione del Re, retto e letale fino all’ultimo, è immerso suo malgrado negli intrighi di palazzo; ma soprattutto colpisce la raffigurazione Bugg-Theol Beddict, la coppia servo-padrone, presente in miriadi di storie – fantasy e non –, qui caratterizzata con un umorismo tale da diventare l’asse portante e la vera novità di questo romanzo. Theol, grande mago della finanza apparentemente in rovina, vive una voluta povertà assieme all’esilarante Bugg, servo dalle mille potenzialità. E trama per la distruzione economica del suo stesso Paese.
Attorno a loro, altre figure che definire minori sarebbe riduttivo: Udinaas, schiavo letherii della famiglia Sengar, nella cui ombra vive lo spettro di un antico incantatore; la giovane Strega Piumata, veggente delle Mattonelle; Mayen, nobile sposa edur vittima delle sue stesse seduzioni. Ma non solo…
Nel mondo cupo e sanguinario di Erikson ci sono molti stadi tra la vita e la morte, e altrettante sfumature a definirne i confini: gli dei stessi possono soffrire e morire, ascendere o precipitare, dominare o cadere in catene. O nascondersi nei panni più insospettabili. Gli Spettri costituiscono formidabili eserciti e invincibili guardie del corpo. I Non Morti camminano per le strade e interagiscono con i vivi: come Kettle, bambina uccisa per ignoti motivi, e ora sanguinario guardiano della Fortezza dell’Azath; o Shurq Elalle, misera ladra condannata all’Annegamento e adesso al servizio di chi può restituirle un aspetto abbastanza attraente da soddisfare ancora qualche svago sessuale.
E ancora, gli Acchiapparatti, misteriosa corporazione che domina le fogne e comanda (più che catturarle) orde di famelici roditori.
Lo scontro finale tra Edur e Letherii avverrà ribaltando ogni previsione, con una deflagrazione apocalittica di magia e distruzione in cui il lettore avrà la sensazione di annegare. Niente sarà come previsto, e i sopravvissuti dovranno fare i conti con un futuro denso di cupe prospettive.
Ambientazione
Paesaggi spettrali. Albe livide e tramonti cremisi. Gli infiniti colori del ghiaccio e fiumi rosso sangue. Quello di Erikson è un mondo pieno di colori, anche nella descrizione dei personaggi: la pelle scura degli Edur, il pallore, per contrasto, dei Letherii, i mantelli dei grandi draghi Soletaken, grigio ferro, nero, bianco, oro. Colori, odori, visioni quasi tattili, magari ripugnanti nella loro crudezza e a volte ossessivamente ripetitive, ma capaci di una potenza evocativa travolgente. I riferimenti a realtà conosciute si svelano tra le pieghe dell’ambientazione: la struttura sociale Edur, le decorazioni tribali di ossa, conchiglie e perline nelle loro abitazioni, l’abbigliamento e i nomi delle loro etnie (Arapay, Hiroth, Merude) fanno pensare a un collage ancestrale di nativi americani calati nelle fredde regioni canadesi, che calzano mocassini e cacciano foche al confine dell’estremo Nord. È quindi evidente il significato della carnagione chiara dei Letherii, i conquistatori dal viso pallido, dotati di armi più avanzate e memorie di un Primo Impero oltremare da cui sarebbero fuggiti.
Indiani buoni e yankees cattivi? La divisione netta tra positivo e negativo non esiste nell’opera di Erikson, ma è presente un’indiscutibile, umana coerenza, di situazioni e personaggi: il giusto e l’ingiusto si mescolano in un relativismo privo di figure dominanti. Il male è ovunque, nel desiderio di entrambe le fazioni, incarnato nel Potere donato dall’oro o dalla supremazia fisica, dalla magia o dallo scontro d’ideali, dall’astuzia o dal valore. Il bene lo affianca, nei piccoli gesti dei singoli e nelle conseguenze delle grandi azioni.
La magia
“…magic powerful enough to drive gods to their knees, soldier.”
Il potere magico in Erikson non è un semplice strumento bensì un personaggio vero e proprio, anzi, il Protagonista: un’entità quasi autonoma che prevale su chi la usa, animando tutti gli infiniti rivoli della trama. Magia umana, non-umana e divina, capace di far viaggiare, attraverso tempo e spazio, nel proprio o in altri mondi; di mostrarsi fisicamente in Mazzi di Carte e Mattonelle; di confluire in luoghi tangibili come Case o Fortezze (abitazioni/prigioni di dei e creature a loro asservite); di generare molteplici Sentieri e Canali, ovvero flussi magici dalle infinite implicazioni concrete. Tuttavia non si abbassa mai al ruolo di deus ex machina, bensì costituisce un elemento primordiale contro la cui forza tutti devono venire a patti e spesso subirne le conseguenze.
Le forze arcane che compaiono in Maree di Mezzanotte sono, rispetto ai volumi precedenti, più grezze e primordiali, sia per gli Edur che per i Letherii.
Presso i Tiste Edur troviamo tracce del Kurald Emurlahn, il “Canale Antico dell’Ombra”, il “Canale Spezzato”, infranto durante antiche lotte, dalle cui schegge è ancora possibile attingere potere, che si manifesta per esempio tra i millenari alberi magici del palazzo-tempio del Re Stregone. Uno dei suoi frammenti forma addirittura un lontano, sconosciuto continente: il Nascent.
La magia è profondamente diversa tra maschi e femmine di questa etnia: le donne possiedono conoscenze profonde, ma sembrano impotenti di fronte alla struttura patriarcale della tribù. Il loro intervento si limita a tessere incantesimi d’invisibilità attorno agli accampamenti oppure asservire spettri isolati attraverso rituali ingannevoli. Nel caso di Uruth, matriarca Sengar, la magia è tale da consentirle di sondare violentemente gli animi altrui alla ricerca di poteri ostili, o aprire Canali verso mondi demoniaci. Tra gli uomini Edur, Binadas è un mago tra i più forti, potente guaritore e capace di convogliare spettri-ombra nella lancia del fratello Trull.
L’arte di lavorare i metalli è primitiva presso i Tiste Edur, ma essi possiedono il Legnonero, intessuto di magia e robusto come il ferro. Altre forze in gioco vengono evocate dal Re Stregone, il despota che ha riunito tutte le tribù Edur in un’alleanza coatta; i suoi apprendisti negromanti sono i K’risnan, servi e ostaggi allo stesso tempo, primogeniti di ogni capoclan soggiogato e legati con incantesimi di fedeltà assoluta.
Anche i Letherii possiedono la magia, organizzata in modo più ordinato: Kuru Qan è il Ceda (Primo Mago), l’unico a vedere il destino del suo popolo tra le righe della Profezia della Settima Chiusura, nonché Custode e Lettore della Cedance, la stanza in cui si manifestano le simbologie dominanti.
Se nei precedenti volumi le Carte e i loro Mazzi interpretavano le forze in gioco, in Maree di Mezzanotte lo stesso ruolo è affidato alle Mattonelle. Grandi come finestre o piccole da gettare come dadi, rivelano la scacchiera ultraumana a chi possiede il potere di leggerle: oltre al Ceda, la Strega Piumata, schiava letherii presso gli Edur. Le Mattonelle sono la voce delle Fortezze, torri senzienti create dall’Errante già nel Primo Impero, sorte laddove “il potere libero da ogni catena minaccia la vita”, che possono morire trasformandosi in altro; in sostanza, sono prigioni per gli dei. Una di queste, la morente Fortezza dell’Azath, si trova nel cuore della capitale letherii, solitaria e abbandonata da tutti tranne Kettle, che nutre la torre uccidendo “tante volte ottanta”.
In mano al potere della magia, e non della spada, sarà anche l’ultimo atto: nella terribile battaglia finale non abbiamo scontri tra eserciti immensi, bandiere erette su cumuli di corpi straziati, lamenti di feriti, o sciacalli che violano i caduti. Tutto è pulito, chirurgico: ossa e metallo. Ciò che si abbatte su ogni cosa, senza alcuna discriminazione, ricorda armi reali e tristemente note. Nessun sangue e nessun onore. Tranne, forse, per i vinti.
“La magia era l’arma della battaglia prossima a scoppiare. Forse era il futuro di tutte le battaglie del mondo. Annientamento assurdo, la distruzione di un numero infinito di vite. La guerra come scontro di volontà, un conflitto indifferente ai costi, interessato solo a scoprire chi avrebbe battuto le palpebre per primo.”
Dei e Ascendenti
“Il bianco era il simbolo del male…lo splendore dell’osso, l’odiosa luce di Menandore all’alba.”
Le “entità superiori” di Erikson sono fortemente zonali, ciascuna legata a un popolo, a un territorio, a un Canale. Di conseguenza, nel continente in cui si svolgono le vicende del quinto volume, troviamo entità per lo più sconosciute, che mantengono tuttavia la caratteristica di rispecchiare, nella potenza della loro magia, pregi e difetti umani. Le loro guerre vedono sconfitte e vittorie epocali, con divinità trionfanti nelle loro menzogne o sprofondate nelle viscere di oscure prigioni come angeli caduti. Gli dei mentono, ingannano e uccidono per conservare l’adorazione dei loro proseliti, senza la quale vengono dimenticati e perdono i loro troni.
Maree di Mezzanotte mostra un pantheon semplificato rispetto a quello dei precedenti volumi, ma dominato da figure memorabili. Non compaiono solo Gods (Hood, presente in qualche imprecazione delle Guardie Cremisi, e il famigerato Dio Storpio, la presenza oscura che tesse mille trame e rappresenta quanto più si avvicina al male assoluto) ma anche Elder Gods: primo fra tutti, seppure ben nascosto, Mael, il Dio Antico del mare, figura di profondo spessore e fondamentale nella vicenda; solo una volta egli svelerà, per amicizia, il suo immenso potere, ma in quell’attimo “dall’altra parte del mondo, l’avevano sicuramente sentito. Le teste si erano girate di scatto e i cuori immortali avevano accelerato.”
Le divinità Tiste sono Eleint Soletaken, ovvero mutantropi (soletaken) con duplice forma di uomo e drago (eleint). Silchas Ruin è Padre Oscurità dei Tiste Andii, sconfitto con tutto il suo popolo nelle ere antiche da Scabandari Occhio di Sangue (Padre Ombra) il dio supremo Edur. Venerata quanto temuta, la sua progenie: Menandore, L’Alba a cavallo del suo destriero di ossa bianche e fuoco dorato nella prima luce del mattino, avvolta in un candore accecante;
Sheltatha Lore, la più amata, al cui potere è consacrata l’ora del Crepuscolo, il momento dell’Ombra “quando tutte le cose diventano incerte, sporcate dal ritirarsi della luce”, e a lei vanno le preghiere del tramonto, all’approssimarsi dell’Oscurità; infine, Sukul Ankhadu, detta Inganno o la Screziata, che si annida nelle infide chiazze di luce residua al calare del giorno.
Una simbologia, quindi, che ribalta i cliché generalmente “solari” di molte dottrine religiose: queste divinità, o meglio Ascendenti secondo la classificazione di Erikson, interpretano gli archetipi Ombra, Luce e Oscurità mutandone il significato tradizionale. Nell’Ombra si nascondono tutte le verità: questo il fondamento del culto Edur. La notte è invece il regno dell’antico nemico Padre Oscurità, quindi da aborrire, ma solo fino al sorgere della Luna, capace di ristabilire l’equilibrio. Infatti l’Ombra necessita di Luce, ma la tenebra è la negazione di entrambe.
Anche la Luce è odiata, e s’identifica nel bianco, il colore della morte: se viene temuto il momento del sorgere del sole, il tramonto è al contrario desiderato. Anche quest’aspetto della mitologia eriksoniana è retaggio di un’antica battaglia Edur contro un’altra stirpe Tiste: i Liosan, i Figli della Luce, il cui Padre è stato imprigionato nella Luna da Scabandari Occhio di Sangue.
Accanto ai Draghi Tiste, in Maree di Mezzanotte troviamo altre divinità mutaforma come quella degli Jhek: questi feroci alleati degli Edur sono uomini-lupo, e quindi Soletaken, ma il loro dio è un D’ivers, ovvero una singola entità simil-umana capace di trasformarsi in più copie dello stesso animale (cat-lizards in questo caso), dando vita ad un branco o uno sciame. Oppure divinità riunite in “famiglie” come i cinque Sereghal del popolo Tarthenal, imprigionati (in buona compagnia) nella Fortezza dell’Azath, e non molto amati dai loro devoti. “Sai perchè preghiamo i Sereghal?… li preghiamo per farli stare lontani”, dice di loro il gigantesco Ublala Pung.
Infine, L’Errante, il creatore delle Fortezze nell’era del Caos, che osserva lo svolgersi delle vicende dal suo posto insospettabile accanto al trono, “sotto gli occhi di chiunque avesse voluto vedere”. Considerando che questa già complessa cosmogonia costituisce solo un frammento del vasto panorama umano, alieno e divino presente nella Saga di Malazan, è comprensibile come l’autore stia lavorando ad una “Encyclopaedia Malazyca” per aiutare il lettore a districarsi tra nomi, soprannomi, etnie, genealogie eccetera.
Conclusione
I lettori di Steven Erikson sono ben allenati a improvvisi cambi di scena, flashback apparentemente slegati dal contesto, personaggi che rispuntano dopo centinaia di pagine, non necessariamente nello stesso volume e magari con un nome nuovo. Quindi, il quinto capitolo de “La Caduta di Malazan” non li coglie impreparati, anche se – almeno inizialmente – resta una certa curiosità insoddisfatta per le vicende precedenti. Tuttavia, questa sensazione dura poco. Il libro è affascinante, privo forse di personaggi-fulcro come lo sono stati Iktovian, Coltaine o Karsa Orlong nei volumi precedenti, ma dotato di un inaspettato sense of humor, graffiante come feroce è il contesto in cui si sviluppa, e di una sottile tristezza al pensiero di quanto facilmente possano essere spezzate piccole e grandi vite, nel gioco eterno della sorte. A differenza di altri nomi noti nel panorama letterario fantasy, Erikson sa bene dove e come vuole arrivare: ogni dettaglio ha un’utilità precisa, e il suo stile non abbassa mai la tensione narrativa, nonostante le nuove complessità di trama. Certo non gioca a suo favore la sconcertante traduzione, in cui si notano mani esperte poco amalgamate ad altre indubbiamente mediocri; e la copertina, totalmente priva di qualità estetiche, fa rimpiangere l’opera di altri eccellenti disegnatori. Tuttavia, alla casa editrice va riconosciuto il grande merito di aver colto la genialità di questo autore, permettendo ai lettori italiani di godere delle sue opere. Maree di Mezzanotte si dimostra in tutto e per tutto all’altezza delle aspettative.