Nathan Never

Nathan Never

Per me, parlare di un fumetto come Nathan Never non è come recensire un libro od un film, per due ragioni. La prima è di ordine “tecnico”: la produzione è articolata e si è sviluppata negli anni (dal 1991 ad oggi per un totale di 191 numeri, più gli speciali e gli spin off della collana) dando spazio a molti personaggi e svariati filoni narrativi, pertanto richiede un’analisi dettagliata e strutturata.

La seconda ragione è di ordine personale: l’albo n° 1 di Nathan Never, “Agente speciale Alfa”, non mi è capitato tra le mani per caso, è stato il primo che ho scelto di comprare, che ho voluto leggere e deciso di collezionare.

Forse sarà stato merito del geniale disegnatore Castellini, che si pregiò di illustrarlo poco prima di essere catapultato nell’olimpo dei fumetti, l’America della MARVEL; forse sarà stata la grande intuizione degli sceneggiatori Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna, capaci di mettere assieme un humus di fantascienza quanto mai fertile, digerendo le più disparate suggestioni cinematografiche e letterarie, armonizzandone l’aroma con sapienza. Perché in Nathan Never non c’è solamente un agente speciale esperto di arti marziali che lavora per un’agenzia privata, vi si trovano richiami a tutta la fantascienza, grande e piccola, che seminano germogli d’interesse per questo tipo di letteratura.

Per capire quanto vasto sia l’ambito fantascientifico fissato nelle tavole di questo fumetto, proviamo ad analizzarne alcuni filoni.

Nathan Never assomiglia all’Harrison Ford di Blade Runner (il film di Ridley Scott, datato 1982, tratto dal romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi – in originale Do Androids Dream of Electric Sheep? –, 1968) in parte per il look (cappotto lungo, barba incolta), in parte per l’umore e per il suo tipo di lavoro. Tuttavia accostare troppo i due personaggi sarebbe superficiale.

Nathan Never è un ex militare con un passato da Space Marine precedente al periodo in cui inizia la storia narrata. Nasce in campagna nei pressi di Gadalas, lontano dalle grandi città; maggiorenne, si arruola nella fanteria dello spazio (vedi il romanzo Fanteria dello spazio – in originale Starship Troopers – di Robert A. Heinlein, 1959). Tornato poi sulla Terra, entra a far parte della polizia e conosce Laura Lorring, divenuta in seguito sua moglie. Lo stile di vita e le avventure extraconiugali minano il matrimonio che finisce tragicamente con la morte della moglie e il rapimento della figlia Ann, ad opera del criminale psicopatico Ned Mace, proprio mentre Nathan è tra le braccia della sua amante, il procuratore Sara McBain. Il trauma spiega sia il carattere del personaggio, sia la comparsa del ciuffo di capelli bianchi che, come una firma, lo contraddistingue.

Per recuperare l’equilibrio e riuscire a rifarsi una vita, l’agente si rifugia sulla stazione orbitante Tersicore, presso un tempio di monaci dove apprende la disciplina e la filosofia del jeet-kune-doo. Qui viene rintracciato da Reiser, il presidente di una compagnia investigativa (l’Agenzia Alfa), che gli offre un ingaggio; Nathan, per soldi, accetta, spinto dall’esigenza di dover assicurare alla figlia Ann, diventata autistica dopo il rapimento, le migliori cure.

Qui comincia la storia descritta negli albi, che intreccia al filone narrativo principale, legato alle vicissitudini personali del protagonista (vedi ad esempio il n° 18, “L’abisso delle memorie”, e il n° 19, “L’undicesimo comandamento”), moltissime trame secondarie.

Nel primo numero viene affrontato il problema dei robot, degli androidi e delle leggi della robotica che ne disciplinano l’esistenza limitandone il libero arbitrio. Questo tema, ripreso più volte durante la serie (ad esempio nel n° 28, “Io, Robot” del 1993), raccoglie gli stimoli e le idee presenti in testi come Io, Robot (in originale Robbie, 1940) o L’uomo bicentenario (The Bicentennial Man, 1976) ambedue di Isaac Asimov, mettendo in luce tutti i dubbi morali che i grandi autori di fantascienza si sono posti sul concetto di identità e di individuo; concetto presente, se pure con una prospettiva leggermente diversa, anche in tutti i numeri dedicati ai “mutati” (vedi ad esempio il n° 7, “La zona proibita”, e il n° 10, “L’inferno”) dove vengono affrontati i problemi dell’integrazione e della ghettizzazione del diverso. Interessante, a questo riguardo, la corrispondenza tra stratificazione sociale e livelli della città. La megalopoli in cui Nathan Never vive e lavora è strutturata su sette livelli che ben rappresentano, dal basso verso l’alto, la gerarchia politico-economica delle persone che vi abitano. Così se il settimo livello, composto da lussuosi edifici ultramoderni, è occupato da cittadini di serie A i cui diritti superano di gran lunga i doveri, i mutati, necessari tanto quanto i robot per lo svolgimento dei lavori più umili, vengono relegati nei fatiscenti primi livelli della città o, peggio, se ritenuti pericolosi, ghettizzati in una specie di isola (Hell’s Island) che tanto somiglia alla Manhattan del film 1997: Fuga da New York (Escape from New York di John Carpenter, 1981).

Tramite la china delle tavole, grazie alla magia del fumetto, gli autori stimolano il lettore ponendogli interrogativi etici e morali di difficile soluzione, evitando di rispondere chiaramente, lasciando semmai intuire la loro posizione attraverso gli atteggiamenti e i pensieri del cupo e silenzioso protagonista.

Un altro tema di grande importanza all’interno della serie è quello delle organizzazioni corporative che, col loro potere economico, mediatico e militare, controllano in gran parte le sorti del pianeta. Si tratta di associazioni segrete, come la Fratellanza Ombra descritta a partire dal n° 8 (“Uomini Ombra”), o di sette religiose come quella guidata da Aristotele Skotos e da suo figlio Kal che utilizzano la religione per controllare ed influenzare la popolazione. Intrigante la scelta dell’oggetto di culto della setta di Skotos: il Monolito Nero (vedi n° 2, “Il Monolito Nero”); evidente, ancora una volta la citazione: il parallelepipedo nero di 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick, 1968).

Molta cura, sia per la varietà che per i temi ad essi correlati, viene riservata agli scenari descritti all’esterno della città. Si tratta sempre di spazi aperti e smisurati la cui desolazione contrasta in modo stridente con l’altissima densità di anime e cemento che avviluppano la megalopoli. Ad ognuno di questi ambienti è collegato un diverso filone narrativo.

Nei n° 14 e 15 (“Terra bruciata” e “I predoni del deserto”) è descritto l’ambiente desertico e radioattivo del Territorio (ripreso anche in altri albi, come il n° 17, “Sopravvivenza zero”) dove vige una sorta di statuto speciale. Le influenze del film Interceptor (Mad Max di George Miller, 1979) e dei sequel sono manifeste, tanto quanto quelle del romanzo Dune di Frank Herbert (1965) e della sua omonima trasposizione cinematografica (di David Lynch, 1984). Esse diventano ancor più esplicite nel n° 67, “L’enigma della caverna”, nel quale si svela per intero la similitudine tra i Vermi delle Sabbie di Herbert e i Centozampe di Nathan Never.

Nel n° 6, “Terrore sotto zero”, Nathan Never si trova catapultato tra i ghiacci in un sito produttivo che ricorda quello descritto nel film Atmosfera Zero (Outland di Peter Hyams, 1981), dove si affronta il problema dell’isolamento e dell’uso delle droghe sintetiche. Il tema della droga sembra interessare molto gli autori: impossibile citare tutti gli albi in cui compare come elemento centrale o secondario. Si passa dalle droghe assunte per migliorare le capacità di combattimento dei soldati, come nel n° 11, “Fanteria dello Spazio”, e nel n° 12, “L’ultima battaglia”, a quelle che gli sportivi prendono per eccellere, nel n° 16, “Il campione”, omaggio allo splendido film Rollerball (di Norman Jewison, 1975), alle redditizie “alghe” dell’albo n° 42, “Paura sul fondo”.

Usato per le più disparate sceneggiature, un discorso a parte va fatto per lo Spazio, che fa da sfondo a moltissimi albi. Nel n° 13, “Oltre le stelle”, per esempio, Nathan si reca su una stazione orbitante per indagare sulla morte misteriosa di uno scienziato, mentre nel n° 74, “L’orbita spezzata”, deve opporsi al tentativo di distruggere i raccolti della stazione orbitante Urania; nel n° 79, “Incubo nello spazio”, il nostro agente speciale vola sul laboratorio spaziale Nemesi per conto della Human Research. Ma Spazio non significa solamente stazioni orbitanti: nel n° 68, “Il pianeta rosso”, gli autori spediscono Nathan su Marte, mentre nel n° 63, “Il mare della desolazione”, lo fanno viaggiare su un volo per la Luna, dirottato dal Gruppo di Liberazione dei Mutati.

L’evidente spirito “citazionista” si manifesta al di là del genere fantascientifico: la pellicola L’ultima onda (The Last Wave di Peter Weir, 1977) ha ispirato l’omonimo n° 29, e il giallo descritto nel n° 72, “Il sogno della farfalla”, conserva il retrogusto de Gli occhi di Laura Mars (Eyes of Laura Mars di Irvin Kershner, 1978); ma la citazione più esemplare tra tutte è probabilmente quella presente nel n° 27, “Cuore di tenebra”, nel quale Nathan si addentra nella Natura da cui, in un certo qual modo, proviene, proprio come accade al protagonista del film Apocalypse Now (di Francis Ford Coppola, 1979) e prima di lui a Marlow la cui incredibile avventura è descritta in modo magistrale da Joseph Conrad nell’indimenticabile romanzo Heart of Darkness, pubblicato nel 1906 (non a caso la guida che accompagna Nathan nella sua ricerca si chiama Marlowe).

Gli argomenti trattati negli ormai quasi 200 numeri di questa collana sono ancora moltissimi, basti citare il Cyberspazio (vedi il n° 62, “Discesa agli inferi”), oppure le capacità psicocinetiche degli Shine (vedi il n° 5, “Forza invisibile”, il n° 30, “L’enigma di Gabriel”, il n° 31, “Il canto della balena”, il n° 45, “Progetto mortale” ecc.), che possono appartenere ad esseri umani, alieni, animali e persino computer.

Altre tematiche, pur comparendo in maniera più spiccata in alcuni numeri, restano “fil rouge” trasversali a tutta la produzione. Particolarmente interessanti quelle relative all’ambiente e alla cultura. Se è vero che nei n° 34, 35 e 60 (“Buffalo Express”, “Le terre morte”, “Sfida negli abissi”) Nathan combatte apertamente per la difesa dell’ambiente, il suo amore per tutto ciò che è naturale ed ecologico, tanto quanto l’attaccamento alla cultura, è testimoniato attraverso pensieri e piccoli gesti quotidiani presenti in tutta la collana.

Vincente la scelta degli autori di creare un personaggio che ami la lettura e il cibo. Nathan deve toccare i libri, odorarne la carta, perché questo semplice gesto gli regala un piacere simile a quello della buona cucina; tra mangiare e gustare c’è la stessa differenza che passa tra il leggere da un asettico schermo e lo sfogliare un buon libro.

Menzione finale per lo spaziotempo ed i biodroidi, due temi spigolosi ed ostici di cui la fantascienza è costellata e che in questo fumetto sono intrecciati indissolubilmente (vedi, tra gli altri, il n° 46, “La Fratellanza Ombra”, e il n° 47, “Exodus”). È questa a mio avviso la nota dolente, il punto morto della storia, il motivo che mi ha spinto ad interromperne dopo tanti anni la lettura. Trattare argomenti relativi allo spaziotempo, al “futuribile” (inteso come porta temporale del domani sull’oggi), in maniera approssimativa porta a contraddizioni, in alcuni casi potenziali in altri evidenti. Gli autori, invece di prendere spunto da pellicole ineccepibili come L’esercito delle dodici scimmie (Twelve Monkeys di Terry Gilliam, 1995) o Philadelphia Experiment (The Philadelphia Experiment di Stewart Raffill, 1984), si sono lasciati affascinare dalla trilogia di Terminator (The Terminator di James Cameron, 1984) la cui coerenza scricchiola sempre di più, bobina dopo bobina.

Difetta di approssimazione anche l’argomento “biodroidi”, non tanto in merito al contenuto quanto per il linguaggio inefficace con cui lo si è proposto. L’ibridazione tra uomo e macchina, tra bios e tecnos, avrebbe meritato ben altro stile narrativo, meno lineare, meno banale di quello utilizzato dagli autori di Nathan Never. Come sosteneva De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana, tra forma e contenuto non deve esistere dissociazione palese perché essi sono l’uno nell’altro. Pensiamo a un film come eXistenZ (1999) e a come il regista Cronenberg sia riuscito a parlare dell’ibrido con un linguaggio affascinante e visionario, in perfetta sintonia col tema… Purtroppo in Nathan Never questa sintonia cala appena entrano in gioco biodroidi e viaggi nel tempo.

Le debolezze sopraccitate, tuttavia, non intaccano più di tanto la validità complessiva di un fumetto che, da più di quindici anni, è presente in tutte le edicole d’Italia e il cui principale merito resta quello di attrarre un pubblico giovane verso il meraviglioso mondo della fantascienza.