Nirvana

Nirvana

Mancano pochi giorni a Natale. Nel lussuoso appartamento fornitogli dalla multinazionale per cui lavora, situato nei quartieri alti di un imprecisato e cupo “Agglomerato del Nord”, Jimi (CHRISTOPHER LAMBERT) sta completando “Nirvana”, il nuovo videogioco che la Okosama Star metterà in vendita il 25 dicembre.

Durante un test di routine, Jimi scopre che, a causa di un virus informatico, Solo (DIEGO ABATANTUONO), il protagonista del gioco, ha sviluppato una coscienza autonoma che gli fornisce consapevolezza della propria condizione di “marionetta” nel teatro virtuale imbastito dal suo creatore. Instaurando un dialogo con Jimi che si protrarrà per tutto il film, Solo chiede di essere “terminato”.

Turbato, Jimi decide di assecondare la richiesta; per cancellare il gioco è però costretto a spingersi nelle pericolose periferie dell’agglomerato, alla ricerca di un abile hacker, Joystick (SERGIO RUBINI), un “Angelo” in grado di volare nel cyberspazio e di accedere al database della Okosama aggirandone le difese. A motivare il programmatore nell’impresa è anche il desiderio di rivedere Lisa (EMMANUELLE SEIGNER), la donna di cui è innamorato e che lo ha misteriosamente lasciato fuggendo proprio in quelle turbolente zone della città.

Con l’aiuto di Corvo Rosso (CLAUDIO BISIO), taxista-spacciatore, Jimi raggiunge così il quartiere di Marrakech dove trova Joystick, il quale accetta l’incarico.

Afflitto dal deterioramento dei suoi occhi artificiali – che si è fatto innestare dopo aver venduto i propri al mercato nero degli organi –, l’hacker ha urgente bisogno di soldi e, convinto di poter mettere le mani su alcuni fondi neri nascosti dalla Okosama, chiede a sua volta l’aiuto di un’esperta informatica di nome Naima (STEFANIA ROCCA) che dovrà fargli da navigatore durante il pericoloso “volo” nel database della multinazionale infestato dai “Devil”.

I tre si spostano in un’altra periferia dell’agglomerato, Bombay City, dove acquistano un virus speciale che dovrebbe agevolare il compito di Joystick. Intanto, nel fumoso e multicolore underground del quartiere, Jimi scopre che Lisa è morta lasciandogli un chip contenente tutti i suoi ricordi, chip che Naima è in grado di “leggere” grazie a un apposito congegno innestato nella sua testa.

Recuperati virus e attrezzature, i tre si mettono all’opera allestendo in una camera d’albergo una sorta di laboratorio per il viaggio nel cyberspazio. Alla fine sarà Jimi (e non Joystick) a volare nella rete, affrontando uno ad uno tutti i sistemi di difesa della Okosama Star e superandoli indenne grazie all’aiuto di Naima, in una curiosa battaglia che si svolge su due piani di esistenza paralleli, quello virtuale della rete e quello fisico nella camera d’albergo. Giunto nell’ultima “stanza”, Jimi riesce a recuperare i fondi neri e a cancellare Nirvana, ma la sua posizione viene individuata. Mentre Joystick e Naima fuggono mettendosi in salvo, Jimi rimane ad attendere la squadra armata della Okosama Star, scegliendo così di morire subito dopo aver liberato il personaggio di Solo, e liberando con la morte anche se stesso.

Nirvana è un raro esempio di film di fantascienza italiano, tanto interessante quanto ambizioso, realizzato con un budget decisamente superiore alla media (si tratta infatti di una coproduzione europea). L’utilizzo degli effetti speciali per creare ambienti e situazioni suggestivi – capaci di evocare citazioni sia letterarie che cinematografiche – è solamente uno dei punti di forza di questa pellicola, unica nel suo genere all’interno del panorama del cinema nostrano.

Il nucleo principale del film è la tematica dell’identità da riscoprire tramite il viaggio, da intendersi contemporaneamente come percorso nello spazio (Jimi attraversa l’agglomerato, dal centro protetto e regolato dalle multinazionali alle caotiche periferie fuori controllo) e come cammino interiore dalla propria verità a quella degli altri (i punti di vista che si alternano nella ricostruzione della storia d’amore fra Jimi e Lisa). Originale la scelta del regista, di far scaturire questo moto di corpo e coscienza dal contrasto tra lo stato depressivo in cui Jimi è sprofondato (da quando Lisa lo ha abbandonato) e gli interrogativi di Solo, gli stessi che si poneva l’amante perduta (“Chi sono io?”). L’incontro tra il creatore e la creatura costituisce un parallelo tra i contesti fisico e virtuale in cui essi rispettivamente si muovono: Solo rappresenta la scintilla che risveglia la coscienza del protagonista riportandolo alla vita attraverso il recupero del valore di scelta del proprio destino, mentre Jimi rivela al proprio alter ego virtuale la “natura” del mondo in cui vive.

Numerosi i richiami alla metafora buddista: il nome del videogioco, il virus informatico definito “virus indiano”, i precetti yoga di Naima, Lisa e la filosofia zen ecc… Indovinata l’idea di una “memoria performante” che consente a Naima, nel momento in cui innesta nel proprio cervello i ricordi di Lisa, di non limitarsi a immagazzinarli come semplici dati, ma di viverli in prima persona, attraverso il proprio modo di vedere e di sentire, quasi una sorta metempsicosi cyber ottenuta attraverso la trasmigrazione della memoria.

Intrigante la figura chiastica tramite la quale Salvatores mette in relazione Jimi, Lisa, Solo e Maria (AMANDA SANDRELLI). Quest’ultima è la metafora dello stesso Jimi: sul piano del videogioco, Maria si rifiuta di credere a ciò che Solo le mostra (la struttura stessa del gioco, nascosta dietro un armadio dell’appartamento in cui si trovano), su quello della realtà, similmente, Jimi non vuole comprendere le parole di Lisa che descrivono la loro storia in modo diverso da come lui desidera ricordarla.

Sono le menzogne che Jimi racconta a se stesso a costituire i “diavoli”, i programmi anti intrusione che, sfruttando i suoi pensieri, cercano di tenerlo bloccato il più a lungo possibile nel database della Okosama Star. E l’ultimo scontro sarà proprio quello che opporrà la Lisa che vive solo nei ricordi soggettivi di Jimi a quella le cui reali sensazioni ed idee si disgelano nella testa di Naima, man mano che questa prende possesso della sua memoria. Diversamente da Maria, che opta per una volontaria cecità, le certezze di Jimi allora si sgretolano. Gli eventi come li ricorda s’infrangono di fronte alla ben diversa prospettiva che ne serbava Lisa: costretto a osservarli attraverso il doloroso sguardo della compagna, perderà per sempre l’idea che di essi si era abilmente costruito.

Dal canto suo, Solo oppone alla falsità della realtà in cui vive – che lo condanna ad agire secondo i comandi di un giocatore – la verità del poter scegliere, del dare autenticità alla propria esistenza attraverso la decisione di come e quando concluderla. Per tutto il film insiste con Jimi su questo punto: mentre il programmatore può smettere di giocare (e per questo a suo parere è libero), lui no, ed è quindi schiavo, prigioniero di una non-vita.

Ma ciò che Solo dice riferendosi a se stesso vale identicamente anche per il suo creatore. Anche Jimi deve fare i conti con numerose forme di schiavitù: quella verso la Okosama Star che ne controlla ogni singolo passo impedendogli di svincolarsi dal ruolo sociale che gli è stato cucito addosso; quella verso la propria idea della realtà, alimentata da false convinzioni e dalla necessità di credere che la storia che Jimi “si racconta” coincida con quanto realmente avvenuto; quella che lo rende incapace di trovare gioia se non nel desiderio di ricongiungersi – qualsiasi sia il prezzo da pagare – alla donna che ama; quella verso l’agglomerato, il mondo-limite di cui si possono esplorare le periferie, ma di cui non è possibile individuare (e varcare) i confini.

Così come, durante il film, Solo si sposta da un livello a un altro del gioco, Jimi lo fa da un quartiere all’altro dell’agglomerato. Non esiste per Jimi un luogo “altro” rispetto all’agglomerato, così come per Solo non esiste niente al di fuori del videogioco. Solo e Jimi sono dunque l’alter ego l’uno dell’altro, concetto che il regista esplicita sequenza dopo sequenza: mentre Jimi si sposta sul furgone, Solo viaggia in macchina, e quando Solo parla con Jimi il suo volto prende colore stagliandosi su uno sfondo in rigoroso bianco e nero. Il mondo di Solo è l’allegoria del mondo di Jimi, ed entrambi incarnano, l’uno per l’altro, la rispettiva condizione di schiavitù.

Quando creatore e creatura “rompono” l’isolamento, varcando attraverso il dialogo e il reciproco scambio di prospettive i confini delle due realtà, si creano le condizioni di autenticità della loro esistenza. Emblematico non è perciò il fatto che decidano entrambi di morire, ma la scelta autonoma che essi compiono in un mondo che li condannerebbe ad una “falsa libertà”.

Emerge così con forza dal film l’idea che la libertà non dipenda dal luogo in cui si viva, ma da ciò che si faccia di se stessi.

Solo non è prigioniero per il fatto di appartenere ad un mondo di circuiti: anche immerso in quel contesto, una volta smascheratolo, riesce a trovare la sua forma di libertà. Jimi al contrario non sarà mai libero, perché schiavo del ricordo di una storia, di una vita, di un mondo che non sono realmente esistiti.

Comprendere questo significa cominciare il lento e doloroso cammino verso l’unica libertà che meriti davvero di essere perseguita, quella che ognuno racchiude dentro di sé, nel solo luogo in cui è possibile muoversi senza sentirsi manovrati. La libertà è un luogo interiore.

Molto bella la metafora che Jimi usa per descrivere la morte a Solo, spiegandogli che la sua essenza si trasformerà in una sorta di fiocco di neve elettronico fondendosi con la rete; proprio come Lisa, che sciogliendosi nell’acqua della vasca, avrebbe voluto scomparire con essa nello scarico e ricongiungersi con il grande flusso.

Molto divertente il personaggio di ANTONIO CATANIA, che compare nel gioco facendo il venditore di paranoia – non a caso un modo per rompere l’ordine. Se la realtà non può essere compresa con la sola ragione, forse può esserlo attraverso la paranoia.

Si sprecano le citazioni letterarie e cinematografiche: gli occhi cyber di Joystick presi da DICK, i cacciatori di organi presenti nel videogioco che ricordano Mad Max, il furgone-ristorante cinese di Blade Runner, gli innesti celebrali di GIBSON…

Doveroso ricordare che questo film, uscito nel 1997, porta su pellicola alcune immagini tecnologiche splendide, anticipando titoli decisamente più noti quali Matrix, Minority Report ecc. A questo proposito ricordo il suggestivo mouse di luce che Jimi usa per muoversi nel proprio computer quasi fosse un creatore, un demiurgo che come un artigiano manipolasse il suo manufatto. Clamorosa la descrizione della rete: una rappresentazione coerente della matrice e del suo contenuto. Geniale dipingere le location cyber e i dispositivi anti intrusione come ambienti e persone fatti della stessa sostanza dei ricordi dell’intruso.