Anteprima testo
PARTE PRIMA
Ognuno dovrebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che siano impiccati. Heinrich Heine
1. La Grande Livellatrice
Dannata nebbia. Offusca tutto e ti limita la visuale, ti tappa le orecchie rendendoti sordo, e anche se cogli un rumore non riesci a capire da dove arriva; peggio ancora, ti si infila su per il naso e non ti fa fiutare altro che umidità e pioggia. Dannata nebbia. È una vera sciagura per un esploratore.
Avevano attraversato il Fiume Bianco qualche giorno prima, per lasciarsi il Nord alle spalle ed entrare nell’Angland, e Mastino aveva avuto i nervi a fior di pelle sin da allora. Esplorare questa terra strana, devastata da una guerra che non aveva niente a che vedere con loro. Tutti i ragazzi erano un po’ tesi all’idea, anche perché, a parte Tretronchi, nessuno di loro era mai uscito dal Nord. Forse solo il Cupo, che però non ne parlava.
Avevano superato alcune fattorie bruciate e un villaggio abbandonato, pieno di grossi edifici squadrati dell’Unione. Di tracce di carri e stivali ce n’erano molte, ma di uomini ancora niente. Mastino, però, sapeva che Bethod non era lontano e che il suo esercito era sparso per quella terra in cerca di città da bruciare, cibo da rubare, gente da uccidere. Ogni tipo di atrocità da commettere. Aveva senz’altro disseminato esploratori ovunque, perciò meglio non farsi beccare, altrimenti sarebbero tutti tornati alla terra, e neanche troppo velocemente: torture, teste sulle picche e tutto il resto, su cui Mastino preferì non soffermarsi.
Comunque, con ogni probabilità, se li avesse presi l’Unione sarebbero morti lo stesso. C’era la guerra, dopotutto, e la gente non ha le idee molto chiare in guerra. Mastino sapeva che non avrebbero aspettato di capire se erano amici dell’Unione o gente di Bethod, prima di farli fuori. Dunque il pericolo era sempre in agguato e ciò bastava per innervosire chiunque, tanto più che Mastino era un tipo nervoso di suo.
Quindi si può capire perché la nebbia era come il sale su una ferita, per così dire.
Tutto questo procedere alla cieca gli aveva fatto venire sete, così si fece strada nel sottobosco viscido seguendo il mormorio del fiume e si inginocchiò sulla sponda. Era pieno di fango e foglie marce, ma Mastino pensò che un po’ di melma non avrebbe fatto la differenza, perché più lurido di così non poteva diventare. Dunque raccolse l’acqua nelle mani a coppa e bevve. Tirava un alito di vento laggiù, oltre gli alberi, che prima portava la nebbia ad addensarsi attorno a lui e poi la sospingeva lontano, diradandola. E fu attraverso la nebbia meno fitta che lo vide.
Era steso a faccia in giù con le gambe dentro l’acqua, mentre la parte superiore del corpo stava riversa sulla riva. Si fissarono per un po’, entrambi scioccati e stupefatti, poi Mastino vide che c’era un lungo bastone che gli spuntava dalla schiena, una lancia spezzata, e quello fu il momento in cui comprese che era morto.
Sputò l’acqua e si diresse guardingo verso di lui, controllando con attenzione che non ci fosse nessuno pronto a conficcargli una lama nella schiena. Il cadavere era quello di un uomo di neanche venticinque anni, biondo, con del sangue rappreso sulle labbra cineree. Portava addosso una giubba imbottita, gonfia d’acqua, di quelle che in genere si indossano sotto le cotte di maglia. Un soldato, dunque. Magari era rimasto indietro, aveva perso di vista il gruppo e ci aveva rimesso la pelle. Era uno dell’Unione, questo era sicuro, ma da morto non sembrava poi tanto diverso da lui o da chiunque altro, perché i cadaveri si somigliano tutti.
«La Grande Livellatrice», sussurrò tra sé e sé, d’umore meditabondo. Così gli uomini delle colline chiamavano la morte, dato che essa livellava tutte le differenze, Nominati e gente ordinaria, sud e nord. Alla fine tocca a tutti e tratta ciascuno allo stesso modo.
Questo qua sembrava morto da non più di due giorni, pertanto chiunque l’avesse ucciso poteva essere ancora vicino, e ciò fece preoccupare Mastino. Adesso, la nebbia gli parve carica di suoni, che potevano essere cento Scagnozzi in agguato oppure solo il fiume che sciabordava contro le rive. Lasciò il corpo dov’era e tornò di soppiatto in mezzo agli alberi, nascondendosi dietro i tronchi man mano che gli venivano incontro nella nebbia.
Per poco non inciampò su un altro cadavere mezzo sepolto da un mucchio di foglie, steso di schiena con le braccia spalancate; passò davanti a un uomo morto in ginocchio, trafitto al fianco da due frecce, con la faccia nel fango e il culo per aria. Non c’è dignità nella morte, è un dato di fatto. Ora Mastino stava cominciando a sbrigarsi, troppo ansioso di ritornare dagli altri e dire loro che cosa aveva visto. Troppo ansioso di allontanarsi da quei cadaveri.
Ne aveva visti un bel po’, ovviamente, più di quanti gli sarebbero bastati per tutta la vita, ma non si era mai sentito molto a suo agio quando ne era circondato. È facile fare di un uomo una carcassa, e lui conosceva mille modi di farlo, ma una volta che l’hai ammazzato non si torna più indietro. Un attimo prima è un uomo, pieno di speranze, pensieri e sogni, un uomo con degli amici, una famiglia, un posto che chiama casa. E il minuto dopo è terra. Questo lo spinse a pensare a tutte le schermaglie in cui era stato coinvolto, a tutte le battaglie e gli scontri cui aveva preso parte, e capì che era fortunato se ancora respirava. Stupidamente fortunato. E temeva che la sua fortuna potesse avere i minuti contati.
Perciò ora stava praticamente correndo, senza curarsi del fatto che brancolava nella nebbia come un ragazzino inesperto, senza prendersi tempo, senza annusare l’aria né tendere le orecchie. Un Nominato come lui, un esploratore che aveva percorso tutto il Nord, avrebbe dovuto essere più accorto, ma non si può stare attenti per tutto il tempo. Così non lo sentì arrivare.
Qualcosa gli si fiondò dritto contro un fianco in velocità e lo scaraventò per terra. Mentre Mastino cercava di tirarsi in piedi, un calcio lo ributtò nel fango; lui lottò, ma chiunque fosse questo bastardo era paurosamente forte. Senza accorgersene, si ritrovò steso per terra, e la colpa di questa situazione era soltanto sua. Sua, dei cadaveri e della nebbia. Una mano gli si strinse attorno al collo, cominciò a chiudergli la trachea.
«Argh», rantolò artigliando quelle dita, colto dal timore che il suo momento fosse giunto e che tutte le sue speranze si sarebbero trasformate in terra. Eccola finalmente, la Grande Livellatrice, era venuta a prenderlo…
Poi le dita smisero di stringere all’improvviso.
«Mastino?», gli disse qualcuno all’orecchio. «Sei tu?»
«Argh».
Non appena la mano lo mollò, lui risucchiò un’agognata boccata d’aria, poi si sentì prendere per la giubba e sollevare da terra. «Porca puttana, Mastino! Potevo ammazzarti!» Quella voce la conosceva bene: era Dow il Nero, quel bastardo. In parte, a Mastino rodeva di essere stato quasi strangolato, ma era anche stupidamente felice di essere ancora vivo. Sentiva Dow che gli rideva in faccia, e la sua risata era ruvida come il richiamo di una cornacchia. «Stai bene?»
«Ho avuto accoglienze più calorose», gracchiò lui, mentre ancora cercava di riprendere fiato.
«Considerati fortunato, perché potevo dartene una ancora più fredda. Molto più fredda. Ti avevo scambiato per uno degli esploratori di Bethod. Pensavo che tu fossi dall’altra parte, sopra la valle».
«Come puoi vedere», sussurrò, «no. Dove sono gli altri?»
«In cima a una collina, al di sopra di questa nebbia di merda. Danno un’occhiata in giro».
Mastino fece un cenno della testa verso il punto da cui era venuto. «Ci sono cadaveri laggiù. A mucchi».
«A mucchi, dici?», domandò Dow. Lo guardava come se Mastino non avesse idea di cosa fosse un mucchio di cadaveri. «Ah!»
«Sì, parecchi, comunque. Uomini dell’Unione, mi pare. Sembra ci sia stato uno scontro laggiù».
Dow il Nero scoppiò a ridere di nuovo. «Uno scontro? Sembra?» Mastino si chiese che cosa volesse dire.
–
«Cazzo», disse.
Si trovavano sulla cima della collina, tutti e cinque. La nebbia s’era diradata, ma Mastino quasi rimpiangeva la poca visibilità di prima. Ora capiva che cosa avesse voluto dire Dow, lo capiva eccome, perché tutta la vallata era piena di morti. Costellavano i pendii fino in alto, incastrati tra i massi o buttati sui cespugli di ginestrone, sparsi sul fondo della valle erbosa come chiodi caduti da un sacco bucato, a centinaia, spezzati, ritorti, lasciati a marcire sulla via di terriccio bruno. In particolare, ce n’era un grosso mucchio sull’argine del fiume. Braccia, gambe e pezzi d’equipaggiamento spuntavano dagli ultimi brandelli di nebbia. Erano ovunque, trafitti dalle frecce, infilzati dalle spade, trucidati dalle asce. I corvi saltellavano da un pasto a un altro, gracchiando gioiosi come se per loro fosse festa. Era passato parecchio tempo da quando Mastino aveva visto un campo di battaglia vero e proprio, e questa veduta gli riportò alla mente brutti ricordi. Ricordi orribili.
«Cazzo», ripeté, non sapendo che altro dire.
«Credo che quelli dell’Unione stessero marciando su questa strada», fece Tretronchi con un profondo solco sulla fronte. «Credo anche che andassero di fretta, per cercare di prendere Bethod alla sprovvista».
«Ma non hanno esplorato a dovere, sembra», ruggì Tul Duru. «Perché è stato Bethod a prendere alla sprovvista loro».
«Magari c’era nebbia», azzardò Mastino, «come oggi».
Tretronchi si strinse nelle spalle. «Forse. Capita spesso in questa parte dell’anno. In ogni caso, procedevano in colonna sulla strada, stanchi dopo una lunga giornata di marcia. Bethod li ha attaccati da qui, e da lassù, sulla cresta. Prima le frecce per sparpagliarli, poi la carica degli Scagnozzi dall’alto, una valanga di uomini urlanti e assetati di sangue. C’è voluto poco per disperdere i…
Tit. originale: Before They Are Hanged
Anno: 2007
Autore: Joe Abercrombie
Ciclo: Trilogia La Prima Legge (The First Law) #2
Edizione: Gargoyle Books (anno 2013)
Traduttore: Benedetta Tavani
Pagine: 703
ISBN-13: 9788898172191
Dalla copertina | Come si fa a difendere una città accerchiata dai nemici e zeppa di traditori, quando non puoi fidarti dei tuoi alleati e il tuo predecessore è svanito nel nulla senza lasciare traccia? Ce n’è abbastanza da far venire all’Inquisitore Glokta una gran voglia di darsela a gambe, se non dovesse appoggiarsi al bastone anche solo per stare in piedi. Eppure il torturatore dovrà rimanere e trovare le risposte di cui ha bisogno prima che l’esercito dei Gurkish arrivi a bussare alla sua porta. Gli Uomini del Nord hanno violato il confine dell’Angland e ora stanno mettendo a ferro e fuoco quella gelida terra. Intanto il Principe Ereditario Ladisla si prepara a ricacciarli indietro e a guadagnarsi la gloria eterna. C’è solo un problemino: il suo è l’esercito peggio equipaggiato, addestrato e comandato del mondo intero. Nel frattempo Bayaz, il Primo Mago, guida una spedizione di avventurieri in missione fra le rovine del passato. La donna più odiata del Sud, l’uomo più temuto del Nord e il ragazzo più egoista dell’Unione formano proprio una strana compagnia, ma se solo non si disprezzassero l’un l’altro così tanto sarebbero letali. Antichi segreti verranno rivelati. Saranno perse e vinte sanguinose battaglie. Acerrimi nemici riceveranno il perdono, ma non prima che siano impiccati.
Ciclo La Prima Legge
#2 – Non Prima che Siano Impiccati