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CREPUSCOLO.
1
Quel pomeriggio, la luce emanata dai quattro soli era abbagliante.
Onos, grande e dorato, era alto a occidente, e sotto di esso il piccolo, rosso Dovim stava sorgendo rapidamente all’orizzonte.
Dalla parte opposta, a oriente, i bianchi punti luminosi di Trey e Patru risplendevano nel cielo purpureo.
Le pianure ondulate del continente più settentrionale di Kalgash erano inondate di splendida luce.
Dalle ampie finestre che si aprivano su ogni parete dell’ufficio di Kelaritan 99, direttore dell’istituto psichiatrico municipale di Jonglor, esse potevano essere ammirate in tutta la loro magnificenza.
Sheerin 501 dell’Università di Saro, arrivato a Jonglor poche ore prima in risposta all’appello urgente di Kelaritan, si domandò perché si sentiva di malumore.
Sheerin era sostanzialmente una persona allegra; e le giornate a quattro soli davano di solito al suo spirito esuberante una marcia in più.
Quel giorno però, per chissà quale motivo, era teso e apprensivo, anche se cercava di fare del suo meglio per nasconderlo.
Dopotutto era stato convocato a Jonglor solo come esperto di malattie mentali. “Preferisce iniziare parlando con alcune delle vittime? Gli chiese Kelaritan.
Il direttore dell’ospedale psichiatrico era un ometto magro e spigoloso, dalla carnagione gialliccia e dal petto incavato. Sheerin, che aveva un colorito rubicondo e non era affatto macilento, provava un immediato senso di sospetto per ogni adulto che pesasse meno della metà del suo peso.
Forse è il modo in cui mi guarda a disturbarmi, pensò Sheerin.
Sembra uno scheletro ambulante. “O forse crede sia meglio provare prima di persona la galleria del mistero, dottor Sheerin?” Sheerin rispose con una risata, sperando che non sembrasse troppo forzata
“Forse dovrei iniziare parlando con alcune delle vittime,” disse. “Così sarò maggiormente preparato, quando verrà il momento di affrontare gli orrori della galleria.” Gli occhi scuri, piccoli e lucenti di Kelaritan volsero in qua e in là sconsolatamente.
Ma fu Cubello 54, l’avvocato mellifluo e azzimato che si occupava dell’Esposizione centennale di Jonglor a intervenire animosamente. “Andiamo, dottor Sheerin! ‘Gli orrori della galleria!’ Non le sembra di esagerare? In fondo lei si basa solo su articoli pubblicati dai giornali.
E definire ‘vittime’ i pazienti, poi… guardi che non sono affatto tali!” “E stato il dottor Kelaritan a definirli così”, rispose Sheerin con freddezza.
“Sono certo che il dottor Kelaritan ha usato quel termine in un senso del tutto generale.
Ma c’è in esso un presupposto che ritengo inaccettabile.» “Per quanto ne so,” disse Sheerin, rivolgendo all’avvocato uno sguardo misto di antipatia e distacco professionale, “diverse persone sono morte in seguito a un giro nella galleria del mistero.
Non è così?” Ci son stati parecchi decessi nella galleria, è vero, ma non abbiamo ancora alcun motivo valido per ritenere che quelle persone siano morte in seguito al giro nella galleria, dottore.”
Non vedo come possa essere altrimenti, avvocato,” disse Sheerin in tono deciso.
Cubello si volse risentito verso il direttore dell’ospedale.
“Dottor Kelaritan! Se l’inchiesta sarà condotta in questo modo, elevo fin d’ora la mia formale protesta.
Il suo dottor Sheerin è qui come esperto al disopra delle parti, non come testimone d’accusa.”
Sheerin sogghignò. “Stavo solo esprimendo il mio parere sugli avvocati in generale, non le mie opinioni su quello che potrebbe essere accaduto nella galleria del mistero.” “Dottor Kelaritan!”
esclamò nuovamente Cubello, arrossendo all’improvviso.
“Signori, vi prego,” disse Kelaritan, spostando rapidamente lo sguardo da Cubello a Sheerin e da Sheerin a Cubello. “Cerchiamo di collaborare.
A mio parere, abbiamo un identico obiettivo in questa inchiesta, vale a dire scoprire cos’è realmente successo nella galleria del mistero per evitare che si ripetano altri eventi… ehm… spiacevoli ”
“D’accordo,” disse Sheerin in tono garbato.
Era una perdita di tempo stuzzicare in quel modo l’avvocato.
C’erano cose più in portanti da fare.
Rivolse un sorriso cordiale a Cubello. “Non mi è mai interessato molto attribuire colpe, ma solo trovare modi per prevenire situazioni dove è assolutamente necessario addossare delle colpe. Perché non mi fa vedere subito uno dei suoi pazienti, dottor Kelaritan? Poi potremmo pranzare insieme e parlare di quello che è accaduto nella galleria, per quanto ne sappiamo in questo momento, e forse dopo pranzo potrei incontrare qualche altro paziente.” “Pranzare?” chiese con aria un po’ assente Kelaritan, come se si trattasse di un concetto a lui poco familiare.
“Sì, la colazione di mezzogiorno.
E’ una vecchia abitudine dottore, ma posso aspettare ancora un po’.
Potremmo visitare uno dei pazienti, prima.” Kelaritan annuì.
Rivolgendosi all’avvocato, disse: “Credo sia bene incominciare con Harrim.
Oggi, è in ottima forma.
Abbastanza buona, almeno, per sostenere una conversazione con uno sconosciuto.” “Che ne direbbe di Gistin 190?” chiese Cubello.
“Sì, potrebbe andar bene, ma non è stabile come Harrim.
Lasciamo che sia Harrim a raccontare com’è andata, poi il dottore potrà parlare con Gistin e… ah, sì, forse anche con Chimmilit. Dopo pranzo, certo.” “Grazie,” rispose Sheerin.
“Da questa parte, dottor Sheerin.” Kelaritan indicò una porta a vetri dalla quale, attraverso un corridoio, si accedeva direttamente all’ospedale, dal retro dell’ufficio.
I tre si trovarono su una passerella aperta e ariosa, con una vista a 360 gradi del cielo e delle basse colline grigio-verde che circondavano la città di Jonglor.
La luce dei quattro soli si riversava da ogni lato.
Il direttore dell’ospedale si fermò per un istante ad ammirare l’intero panorama, volgendo lo sguardo prima da una parte e poi dall’altra.
I tratti austeri e smunti del suo viso parvero risplendere di un’improvvisa vitalità e giovinezza, mentre i caldi raggi di Onos e quelli meno forti di Dovim, Patru e Trey, che provenivano dalla parte opposta, convergevano con uno sfolgorio abbagliante.
“Che giornata meravigliosa, vero?” esclamò Kelaritan con un entusiasmo che sorprese Sheerin, essendo una persona che sembrava particolarmente contenuta e austera. “E magnifico vedere quattro dei nostri soli nel cielo contemporaneamente! Come mi sento bene quando i loro raggi mi colpiscono il viso! Ah, chissà dove saremmo senza i nostri magnifici soli?” Davvero,” disse Sheerin.
In effetti anche lui si sentiva un po’ meglio.
2
A mezzo mondo di distanza, anche una delle colleghe di Sheerin dell’Università di Saro stava fissando il cielo.
Il solo sentimento che provava, però, era di terrore.
Si chiamava Siferra 89, dell’istituto di archeologia, e da un anno e mezzo dirigeva degli scavi nell’antica area di Beklimot nella remota penisola di Sagikan.
In quel momento era tesissima perché si rendeva conto che una catastrofe si stava per abbattere su di lei.
Il cielo non le dava alcun conforto.
Allora, in quella parte del mondo, le uniche luci visibili erano quelle di Tano e Sitha, e i loro freddi e sgradevoli raggi le eran sempre parsi privi di gioia deprimenti perfino.
Nell’azzurro intenso del cielo di quel giorno a due soli, c’era una luce ostile, oppressiva, che creava ombre aguzze, di pessimo auspicio.
Nel cielo si poteva vedere anche Dovim, che stava sorgendo proprio in quell’istante: si trovava appena sopra l’orizzonte, al di là delle vette dei lontani monti Horkkan.
Ma il debole chiarore del piccolo sole rosso non la rincuorava affatto.
Siferra sapeva che presto la calda luce di Onos sarebbe parsa lentamente da oriente a rallegrare la vista.
Quello che la turbava, però, era molto più preoccupante della momentanea assenza del sole principale.
Una tempesta micidiale di sabbia si stava dirigendo proprio verso Beklimot.
Di lì a qualche minuto avrebbe spazzato via l’intera zona, e allora sarebbe potuto accadere di tutto.
Veramente di tutto. Le tende avrebbero potuto essere distrutte; i contenitori dove avevano riposto con cura manufatti scelti avrebbero potuto essere capovolti e il loro contenuto disperso; le loro macchine fotografiche, il loro materiale da disegno, le mappe stratigrafiche laboriosamente compilate…
Tutto ciò per cui avevano lavorato poteva andare perso in un solo istante.
E quel che era peggio, potevano morire tutti.
E quel che era ancora peggio, anche le antiche rovine di Beklimot, la culla della civiltà, la città più antica su Kalgash, erano in grave pericolo.
Gli scavi di sperimentazione fatti eseguire da Siferra nella pianura alluvionale erano tutti allo scoperto.
Se il vento impetuoso fosse stato abbastanza violento, avrebbe sollevato ancora più sabbia di quella che stava già trasportando e l’avrebbe gettata con forza tremenda contro i fragili resti di Beklimot –
erodendo, scavando, sotterrando di nuovo e forse perfino trascinando via con sé le fondamenta, disseminandole per il piano riarso.
Beklimot era una meraviglia della storia che apparteneva al mondo intero.
Siferra l’aveva esposta a un potenziale pericolo, compiendo tali scavi, ma il rischio era stato calcolato.
E impossibile svolgere qualsiasi attività archeologica senza distruggere qualcosa: è nella sua natura.
Ma aver messo a nudo il cuore stesso di quella pianura, come aveva fatto Siferra, e poi subire la sciagura di essere colpiti dalla peggiore tempesta di sabbia del secolo …
No.
No, questo era troppo.
Il suo nome sarebbe stato denigrato per eoni ed eoni, se Beklimot fosse stata distrutta da quella tempesta a causa degli scavi da lei condotti.
Forse quel posto era maledetto, come, a quanto si sapeva, molte persone…
Tit. originale: Nightfall
Anno: 1990
Autore: Robert Silverberg, Isaac Asimov
Edizione: Bompiani (anno 1990)
Traduttore: Gino Scatasta
Pagine: 390
ISBN: 8845216454
ISBN-13: 9788845216459
Dalla copertina | Quando su Kalgash, pianeta costantemente illuminato da sei soli, cala all’improvviso il Buio, i suoi abitanti sono furiosamente assaliti da un’incontenibile follia distruttiva e autodistruttiva. Rimangono ben presto solo radi superstiti, fra cui alcuni pazzi che devastano e uccidono per fame o per divertimento e pochi gruppi organizzati in lotta per la conquista del potere. È proprio a uno di questi che si uniscono Theremon e Siferra, rispettivamente un giornalista e un’archeologa, i quali, addentrandosi in scenari sconvolti dalla più totale anarchia, incontrano gli adepti di una setta religiosa pronti a ristabilire l’ordine e a fondare una nuova civiltà. Nonostante il timore di favorire l’organizzazione di una società superstiziosa e governata da una rigida teocrazia, la scelta dei protagonisti è quella di impegnarsi nella ricerca della conoscenza e della verità. Si trovano così ad affrontare una lunga serie di avventure che li vedono opporsi alle barbare imposizioni di individui votati a meschini interessi al fine di rivendicare quelle libertà da cui l’uomo non potrà mai affrancarsi. Scritto in collaborazione con Robert Silverberg, questo romanzo di Isaac Asimov, che riprende le tematiche di uno dei suoi più famosi racconti, con un andamento narrativo efficace e controllassimo, ricco di formidabili effetti pittoreschi e di immagini apocalittiche e inquietanti, ci catapulta in un’atmosfera drammaticamente sospesa tra la lotta per la sopravvivenza e capitali interrogativi etici. E ci riconferma nel suo autore il grande e indiscusso maestro della science-fiction.