Catalogare un libro, sintetizzarne l’essenza, definirne genere e filone senza scadere in semplificazioni non è sempre facile. Nello specifico, classificarlo come un thriller non renderebbe affatto giustizia a Opera Sei, il romanzo scritto da David Riva e pubblicato da Edizioni XII nella collana Mezzanotte.
Opera Sei possiede molti elementi tipici del genere thriller ma a tratti accarezza l’horror e il drammatico, o propone citazioni e interessanti riflessioni legate all’estetica e all’arte, quasi fosse una sorta di saggio, una dissertazione sui limiti e i vincoli del linguaggio artistico.
La narrazione si dipana tra passato e presente, alternando alla storia capitoli di approfondimento sui personaggi, che descrivono antefatti e background.
Gli eventi si concentrano per la maggior parte tra aprile e maggio del 1993, in varie città europee quali Venezia, Parigi, Dresda o Sempach. Protagonista è Ester Kuzminova, splendida ragazza tedesca, studiosa d’arte destinata a diventare l’opera numero sei del dottor Hao Myung. Quest’ultimo è un chirurgo cinese di fama internazionale che, col supporto di un’organizzazione potente e misteriosa chiamata Metafisica formata dai più illustri nomi dell’economia mondiale, realizza arte sperimentando tecniche mediche all’avanguardia e materiali innovativi sui corpi di pochi selezionati ‘volontari’. Coloro che si sottopongono ai suoi interventi estetici accettano dolorosi sacrifici e operazioni irreversibili pur di ritrovare se stessi e mostrare al mondo ciò che realmente sentono di essere, ignari in realtà del vero destino a cui si espongono: saranno venduti come pezzi unici nel contesto di segretissime aste clandestine, esseri (oggetti?) tanto preziosi quanto disturbanti per la loro eccentrica esteriorità.
Così come si legge nella sintetica ma suggestiva quarta di copertina, l’operato di Myung, vero e proprio artista d’avanguardia, esplora e ridefinisce i limiti del tollerabile e dell’arte in generale, spingendosi oltre la body art e l’arte carnale, facendo propri alcuni concetti del transumanismo.
Ecco allora che il busto di Daniel Crosby, amante del medico cinese, viene attraversato da tubi cilindrici cavi realizzati in titanio; l’aorta di Gerardo Ortiz viene imprigionata in un condotto di cristallo che fuoriesce dal torace per consentire la visione del sangue mentre scorre; la calotta cranica di Fatwa al-Shanfara, donna di impareggiabile intelligenza, viene sostituita con una copertura trasparente che rende visibile l’encefalo; al corpo della splendida modella Dolores Almerica vengono applicati innumerevoli led luminosi; quello di Sean Elfgorn viene rivestito di placche metalliche come una corazza… Uomini e donne con una storia e un passato, ciascuno con ambizioni e desideri da concretizzare attraverso l’evoluzione del corpo, un cambiamento estremo per raggiungere la completa e totale realizzazione di sé.
Marmo da rendere arte: un obbiettivo che il dottor Myung può consentire di raggiungere, esattamente come promesso a Ester, la bellissima ragazza che vuole farsi asportare tutta l’epidermide. Ingenua e delusa della propria esistenza, maledetta dalla sua bellezza irreale che finisce per condizionare ogni suo rapporto sociale, la giovane ha fatto perdere le proprie tracce alla madre la quale, preoccupata, chiede l’aiuto di Ivan, amico di famiglia, ex-agente segreto russo e, in realtà, padre di Ester. La ricerca della scomparsa porterà il lettore a vivere un’esperienza conturbante, coinvolgendolo in una sfida contro il tempo per strappare la ragazza a una sorte orribile, e al contempo irretendolo col miraggio estetico rappresentato dall’arte estrema del dottor Myung.
La narrazione rimane infatti in bilico tra condanna e fascino rispetto all’operato dell’abile medico, tra aberrante sperimentazione e riscoperta dell’essere. E sono molti gli interrogativi che, soprattutto grazie ai capitoli interamente occupati dalle lettere scritte dall’artista cinese o dalla bella Ester, il testo lancia al lettore, senza pretendere di fornire risposta. Viene demandando al lettore il compito di decretare se la scelta di Ester, voluta per sé solamente, rappresenti un sogno romantico oppure una follia, e di giudicare le azioni di Ivan e il suo senso del dovere nei confronti di una figlia per la quale non c’è mai stato. Nessun giudizio viene fornito neppure in merito all’esito delle trasformazioni a cui sono soggetti i volontari: si tratta di abomini oppure di straordinarie opere d’arte, di egocentrici capricci o ammirevoli esempi di libertà?
Eppure, per quanto estreme, condivisibili o meno, le sei ‘opere’ ottengono quasi con serenità una sorta di realizzazione di sé, conseguendo una nuova dimensione esistenziale e una forma estetica che il loro corpo celava alla vista e, addirittura, a loro stessi.
L’atmosfera che il romanzo fa respirare è in ogni caso tesa, cupa, sinistra. Quella che le parole scritte descrivono non è di certo una storia solare e dai contorni nitidi ma sa farsi apprezzare in virtù di un’ottima leggibilità e di capitoli brevi e suggestivi, talvolta nervosi, talvolta struggenti: un esempio è il capitolo 36, poetico epilogo di Daniel Crosby sulla spiaggia di Ua Pou.
Probabilmente il fascino morboso che le creazioni di Myung posseggono costituisce la maggiore attrattiva o per contro il maggiore elemento di disturbo della storia, a seconda della sensibilità di chi legge.
Il registro utilizzato così come il lessico sono appropriati e di buon livello; l’esperienza in campo infermieristico maturata da David Riva ha giovato all’autore consentendogli di destreggiarsi con termini tecnici e di descrivere gli eventi mantenendo il tipico distacco medico. La sua penna non denota infatti particolari reazioni nel presentare gli impressionanti interventi chirurgici, semmai sono le emozioni di Myung e dei volontari a vibrare distintamente tra le righe dando anima e corpo a personaggi che, nonostante le non moltissime pagine, risultano caratterizzati e ben delineati.
Nel complesso, quindi, Opera Sei rappresenta un prodotto letterario decisamente sopra la media, molto curato e ben realizzato, una sensazione che si avverte già dalla splendida copertina e dalla regia che governa la narrazione. Per contro può risultare una lettura non immediata, soprattutto durante le riflessioni artistico filosofiche che di tanto in tanto inframmezzano l’azione per far luce sul modo di sentire di Ester; oltre a ciò i numerosi capitoli che alternano presente e passato possono disorientare quei lettori che prediligono uno sviluppo lineare della trama e che qui rischiano forse di perdersi tra le varie location citate. Infine, se un difetto più marcato lo si vuole proprio trovare: sono presenti un paio di anacronismi, citazioni di testi scritti dopo il 1993.
La scelta di collocare gli eventi sul finire del secolo scorso risulta comunque una mossa astuta, che ha permesso all’autore di limitare l’intromissione della tecnologia nella storia: probabilmente l’uso di cellulari o di Internet avrebbe finito con l’interferire nelle dinamiche proposte, e le strumentazioni mediche avanzate avrebbero svilito il potenziale artistico, nonché economico, delle opere del dottor Myung, tra l’altro più verosimilmente accettabili e svendibili nel rapidissimo mercato mediatico di oggigiorno, costantemente affamato di scoop, scandali e freaks.
Al di là di questo, un’ambientazione collocata in anni più recenti non avrebbe intaccato il messaggio, lasciando il lettore a riflettere su quesiti legati al senso più profondo dell’arte, sui limiti a cui essa deve o non deve sottostare; o sui limiti che governano il corpo umano, quel corpo che Metafisica considera come un riflesso dell’anima, materiale plastico da modellare per esporre semplicemente l’essenza, non mera carne da esaltare o deturpare a piacimento per assecondare una moda passeggera.