Stefano Baccolini
Se qualcuno, solo qualche anno fa, mi avesse chiesto la situazione del Fantasy in Italia, io, che comunque posso parlare solo da lettore più o meno informato, avrei detto tragica. Intendiamoci, io stesso dovrei recitare il mea culpa: un nome italiano in copertina mi faceva storcere la bocca, come se un cognome con vocale finale non fosse abbastanza magico.
Forse solo Andrea e pochi altri, pubblicati dalla EDITRICE NORD, hanno svettato per qualità e vendite (anche se, a essere sincero, ammetto di non aver amato alla follia il ciclo delle Sette Gemme dell’Equilibrio).
L’impressione è che qualcosa stia cambiando, sull’onda di certi fenomeni mediatici come SdA o il successo letterario di Harry Potter. Il denominatore comune sembra essere, tuttavia, quello di un Fantasy rivolto a bambini e ragazzi, per non parlare dell’esplodere dei baby autori che forse hanno una maggiore empatia con i loro piccoli lettori.
Il mio personalissimo giudizio rimane comunque negativo: credo che nemmeno la letteratura adatta ai ragazzi debba sovrabbondare di cliché e luoghi comuni, cosa che invece ho constatato leggendo alcuni di questi autori. Sono dell’idea, tuttavia, che anche quelli che possono sembrare dei fenomeni commerciali di pessima qualità servano allo scopo. Ben pochi fra i cultori del genere hanno iniziato da Tolkien; quindi, forse, l’importante è cominciare a leggere, vincere quei pregiudizi che hanno relegato il Fantasy in serie B e che in Italia sembrano particolarmente forti sull’onda di una cultura “classica” che molti citano, ma pochi conoscono. Il futuro non mi sembra, tuttavia, così grigio: dietro a questi battistrada famosi arrancano nuovi e vecchi autori italiani. Io stesso, che frequento molti siti amatoriali, vedo tanti scrittori di talento che mi auguro riescano a emergere tra il rumore di fondo del web. Ho parlato di battistrada? Ebbene, a differenza di alcuni amanti del genere, anche molto più competenti di me, mi auguro che si accetti come un male necessario un certo modo di intendere il Fantasy. Condannare e lanciare strali, come ho fatto anch’io in passato, è controproducente. Auguriamoci piuttosto che questi scrittori continuino a macinare successo, alla fine anche il lettore più ottuso è in grado di crescere e passare ad altro.
Andrea D’Angelo
Un’analisi molto sintetica, che getta nel calderone molte cose. Inutile star qui ad analizzarne ogni singolo aspetto. Quello che conta è il suo punto d’arrivo, che è un mio pallino sin da quando mi sono scontrato con la realtà del fantastico italiano, nell’ormai lontano 2001.
Condannare e lanciare strali è controproducente. Mi piace l’idea che questo concetto stia iniziando a penetrare anche le menti più impermeabili, gli animi più intransigenti (in cui non ti includo, dal momento che sei tra coloro i quali si mettono in discussione). Ma nel tuo ragionamento, Stefano, vedo ancora tracce di un atteggiamento poco edificante.
Comprendo il discorso sui cliché e i luoghi comuni, perché anche i più giovani abbisognano di qualità. Anzi, forse loro per primi, perché un adulto in genere è più smaliziato e le prese per i fondelli di solito le ripone sugli scaffali dopo poche pagine. Ma perché credere che tutta quella narrativa per ragazzi possa essere apprezzata soltanto da ottusi? E perché, se anche lo fosse, accantonarla e sperare nel senno di poi, in una maggiore maturità dei futuri lettori?
Trovo questo atteggiamento semplicistico, oltreché aprioristico. E ancora una volta va nella direzione sbagliata. Secondo me la chiave sta nel comprendere cosa i più giovani apprezzano di una saga come, ad esempio, quella di Licia Troisi (l’esempio più eclatante, per editore e vendite). Mi spiego. Si può – anzi, si deve – essere fermi su cosa non va, ma è necessario anche accostarsi a un’opera con intento positivo e, quindi, ricercarvi i pregi (sicuramente presenti). Questa è una via costruttiva, diversa dal considerare certi romanzi “roba per lettori ottusi, che prima o poi cresceranno… speriamo!” (sia chiaro, non sto incitando a un atteggiamento più morbido o a esprimere opinioni “politically correct”).
La mia idea è che l’unico modo per far crescere l’interesse verso il fantastico italiano più adulto sia far crescere la maturità del fantastico italiano per i più giovani. Cosa che si ottiene in modo costruttivo, non mistificatorio (mi si passi il termine). Non credo, insomma, che la maturità dei lettori d’oltremanica sia nata in un paio d’anni. Credo sia cresciuta con loro, con un certo modo di criticare, di guardare alle fatiche degli autori, anche quelle meno riuscite.
Credo, insomma, che il lavoro da fare sia ingrato, perché produrrà risultati soltanto nel tempo. Chi sarà costruttivo per ottenere benefici personali immediati, sono certo che rimarrà deluso. Chi comprenderà che procedere compatti fa bene al nostro genere e lo farà per amore del genere, ritengo avrà le sue soddisfazioni. Bisogna disfare un certo modo di scrivere fantastico in Italia, che fino a oggi ha ottenuto pessimi risultati: ha frammentato i pochi facitori, li ha messi troppo spesso gli uni contro gli altri, li ha resi da un lato invidiosi e dall’altro pessimisti. Bisogna, insomma, iniziare a pensare che siamo tutti ammassati su questa bagnarola, editi, inediti e “semplici” lettori.
Vogliamo remare tutti nella stessa direzione?
un Muspeling
La discussione parte subito in modo interessante: Stefano vede un miglioramento della situazione del genere, cosa con cui concordo; Andrea la necessità di muoversi insieme in una direzione conveniente a ogni singolo scrittore – affermato o ancora da scoprire -, e anche qui mi trovo d’accordo!
È un mio antico pallino (per dirla come Andrea) l’idea che una delle mancanze del nostro approccio al genere sia quella di non riuscire a fare “movimento”, e con questo intendo “movimento letterario”. Non trovo autoconsapevolezza (generalmente parlando) negli scrittori, affermati o meno, di appartenere a una corrente che non è solo individuale, e questa – per me – è una grave mancanza.
Forse sono aumentati il numero e la disponibilità delle case editrici inclini ad accettare manoscritti di autori di Fantasy, ma la qualità di questi ultimi, la mentalità che vedo circolare nei gruppi on-line ed emergere da quei pochi manoscritti che ho avuto sottomano in certe mie visite a una piccola casa editrice locale, mi fanno dire che il livello qualitativo delle nostre produzioni è ancora troppo basso!
Quante persone pensano di poter prendere spunto da un gioco di ruolo? Quante da un fumetto, da un film o – di recente – addirittura dai videogiochi? Quanti scrittori di belle speranze si trincerano dietro la “libertà immaginativa”? A mio modo di vedere, troppi…
Praticando anche io l’arte, nel mio piccolo, e coltivando anche io le mie ardenti speranze, so che l’attività di scrivere è connessa alla capacità di porsi le giuste domande, per esempio: “Chi è il mio protagonista? Cosa sa del mondo che lo circonda?”. Ma quanti si chiedono – prima di iniziare a scrivere – “Perché voglio scrivere ciò? Che bisogno ne ha il mondo, oltre a me? Sarò originale? Sarò innovativo?”.
Per carità, in ogni espressione artistica – musica, cinema, pittura… – c’è bisogno sia del serio che del faceto. Nel cinema italiano ci sono i Vanzina e c’è Olmi, e questo può senz’altro accadere anche per il Fantasy, l’unico guaio è che non vedo da noi libri di alto spessore, ma troppa scrittura da mero intrattenimento, e questo certo non va!
Qualcuno potrebbe dire: “Ma dai! Il Fantasy è roba da ragazzi!”. Molti la vedono così, troppi persino fra i cultori del genere… Sarà vero? Forse che con una narrazione fantasy non si possano raccontare storie “vere”? Il Signore degli Anelli è solo intrattenimento? L’opera di Dunsany lo era? E, per guardare al presente, come mai l’Inghilterra produce un autore come Miéville e l’Italia tace?
Questi scrittori, tutti stranieri purtroppo, ci dimostrano che anche con mondi inventati, dove magia e draghi esistono, si possono scrivere storie di livello alto.
E noi, qui, si dorme…
Per carità, mi rendo perfettamente conto che un China Miéville ed una J.K. Rowling hanno alle spalle una tradizione che a noi in gran parte manca.
Non sarebbe forse ora di cominciare – tutti insieme – a recuperare lo svantaggio? Non sarebbe ora di cominciare a pensare al linguaggio che usiamo, al messaggio che vogliamo mandare, alle tradizioni fantastiche da raffinare e tradurre nei nostri “nuovi mondi”? I miti e le leggende nostrane, i nostri paesaggi mediterranei sono davvero tanto meno magici di quelli britannici? Il nostro medioevo e la nostra antichità forse non offrono begli abiti da far indossare alla nostra fantasia?
Perché in Inghilterra ci si lascia ispirare da Le Mille e Una Notte, dall’Impero Bizantino o Romano, e noi non lo facciamo?
Stefano
Temo che la mia brevità abbia dato adito a un piccolo equivoco che mi preme chiarire. Non ritengo la letteratura per ragazzi, e in specifico il Fantasy per ragazzi, un genere per ottusi da spregiare. Lo sono forse i romanzi di quel tipo che ingombrano adesso le librerie, e mi riferisco alla nostra Licia Troisi e a Christopher Paolini. Sull’argomento intendo entrare meglio nello specifico in un secondo momento. Un’altra precisazione, e questa volta temo proprio che deluderò Andrea: il mio invito a rifuggire dalle critiche eccessive era solo frutto di un ragionamento a freddo, del tutto utilitaristico. Svestendomi dei panni dello scrittore inedito, emerge tutto il mio criticismo, che per carità mi auguro sia ancora qualcosa di costruttivo e non venato dall’invidia.
Ciò che si augura Andrea è sicuramente una bella prospettiva: un’editoria dove il fantastico abbia una sua dignità, con lettori e scrittori impegnati a perseguire un solo intento, quello di fare crescere il genere… un bel sogno, un fantasy.
Iniziamo con lo strombazzare un tamtam assai noto: l’Italiano medio non legge o legge assai poco, e quello che legge lo trova nelle edicole o lo compra attirato dalla pubblicità o da una copertina accattivante. L’Italiano medio non conosce il Fantasy: certo sa che esiste Tolkien, ma rappresenta per lui una lettura impegnata; poi c’è Brooks, di cui ha sentito parlare ma che considera, mancando gli stimoli mediatici, una lettura per sfigati; poi conosce Harry Potter: quello, viva Dio, fantasy non è, del resto è ambientato in parte nel nostro mondo, ed elfi, nani, draghi, troll e coboldi non hanno casa nell’accademia magica dove studia il maghetto – poi se è la stessa Rowling a sbracciarsi nel definire non fantasy le sue opere chi siamo noi per dire il contrario? Avete capito l’antifona? Tutto ciò che sta intorno, davanti, dietro a Tolkien e ai suoi epigoni risulta sconosciuto o, peggio ancora, ignorato.
Ebbi la ventura, qualche mese fa, di essere contattato da un’amica: chi si occupava di solito di tradurre Martin le aveva lasciato un capitolo da trasporre in italiano, ma lei era assolutamente digiuna di Fantasy. Avete presente Martin? Quando mai fa parlare i suoi personaggi con il vocativo?
Questo per darvi un’idea dei cliché che imperversano nei più…
Un bel giorno arriva Paolini, un genio che è riuscito a scrivere un romanzo a quindici anni, un nuovo Tolkien, ed ecco che il grande pubblico inizia ad amare i draghi, e la magia non è più un artificio per ragazzini. Possiamo davvero dire che Paolini abbia scoperto qualcosa di nuovo? Ed ecco entrare in campo la MONDADORI con il peso dei suoi panzer mediatici: anche la nostra penisola ha dato i natali a un genio, venite a leggere il nuovo astro nascente del Fantasy… Chi ha avuto modo di sfogliare un manga, troverà qualcosa di nuovo nelle Cronache del Mondo Emerso di Licia Troisi?
Entrambi questi autori sono comunque fenomeni sociologici degni di studio: non critichiamo senza discernimento, non buttiamo nel cestino queste esperienze, chiediamoci piuttosto cosa abbia trovato in questi modesti (a mio parere) scrittori il grande pubblico. Tralasciando la campagna pubblicitaria battente, elementi in comune questi due autori li posseggono: uno stile piano ed elementare, una storia classica che si affida all’azione, una ambientazione abbozzata e priva di fronzoli e, per concludere, due protagonisti in cui è facile immedesimarsi.
Se questo è il gusto prevalente, lo scrittore che spera di avere successo deve forse scegliere: se abbracciare questa filosofia e in un certo senso tradire se stesso, o rimanere in attesa di una maggiore maturità del lettore. È questa la via che auspico, anche se non è detto, appunto, che ciò che è adatto ai bambini debba per forza essere banale e scontato.
Ma torniamo all’auspicio idilliaco di Andrea: non credo possa essere realizzato proprio perché adesso manca quella consapevolezza necessaria nel lettore comune, perché forse manca un comune sentire da parte degli autori e, cosa importante, sono le stesse case editrici a fregarsene altamente della crescita di un genere come il Fantasy. L’editoria è un’industria che non fa mecenatismo ma si preoccupa soltanto di vendere: che senso può avere puntare su un pubblico di nicchia quando ci si può rivolgere a uno ben più ampio e di bocca buona? In realtà siamo tutti preda di un inganno, e qui mi ricollego a quanto detto da Francesco: in realtà in Italia si pubblica Fantasy ma noi la definiamo semplicemente narrativa. Manfredi, soprattutto per romanzi come L’Ultima Legione, avrebbe ricevuto molti più consensi se avesse avuto l’onestà di abbandonare la patina storica che ama immeritatamente sfoggiare. Che male c’è nell’ammettere di aver scritto un Fantasy di ispirazione storica? Di Manfredi ricordo anche un orrendo romanzo ambientato ad Atlantide: Platone mi scuserà, ma non avendo alcuna testimonianza dell’esistenza dell’isola propenderei per definirla un mito. È un romanzo storico anche questo? Un altro esempio, quasi ucronico questa volta, è la Nave d’Oro di Buticchi. Perché non chiamiamo le cose con i loro nomi? Pensate a quanti inconsapevoli lettori di un Fantasy più strutturato esistono in Italia!
A questo punto mi chiedo se il problema del fantastico nel nostro Paese sia solo quello di vincere un pregiudizio. Un pregiudizio che spinge alcuni a ignorare questo genere per una certa avversione alla magia ai draghi e via discorrendo, e che induce altri a leggerlo ma fermandosi ai soli divulgatori di questi miserrimi aspetti.
Attenzione, si stanno muovendo anche altri scrittori con modo di narrare più complesso: Dario de Judicibus, per esempio, e i già noti Luca Trugenberger, Fabiana Redivo, Mariangela Fassio e Andrea D’Angelo.
Per concludere vorrei buttare nel calderone un nuovo quesito: secondo alcuni esisterebbe un Fantasy impegnato… ma, a parte una maggior cura nel background, nella caratterizzazione dei personaggi non vedo (ma posso sbagliare) romanzi fantasy con temi sottesi neppure in ambito anglosassone. Non lo dico per piaggeria, ma forse l’unico romanzo di questo tipo è proprio La Rocca dei Silenzi di Andrea. Come Andrea ben sa, il mio giudizio sul suo romanzo è ambivalente, ma mi sono accorto col tempo che molti degli aspetti negativi che vi intravedevo erano dettati da una mia visione soggettiva. Una natura materna e matrigna non sarà mai nelle mie corde: amo i personaggi che escono dagli schemi, che violano i limiti che sono loro imposti proprio perché è la fantasia a permetterci queste infrazioni. È giusto, anzi sacrosanto, che lo scrittore si esponga per dare la sua visione del mondo e della vita nei propri romanzi, anche se questa visione non è condivisa dai lettori.
Andrea
Tento ancora una volta di sintetizzare. Voi due, bravi ragazzi, gettate nel calderone tante di quelle cose che il minestrone rischia di essere troppo ricco – e strozzarmi! Seguo una mia linea di pensiero, ma mi rendo conto di non poter costringere il dialogo. Vado con ordine, dunque.
La mia esperienza mi dice una cosa molto chiara, Francesco: i testi inediti migliori sono quasi sempre invisibili, ossia chi sta producendo qualcosa di valore e di corposo, che costa parecchio tempo e sudore, è difficile lo dia in pasto a internet. Di conseguenza, credo tu sia un po’ frettoloso nel dire che il livello degli scritti del fantastico in Italia sia ancora troppo basso.
E uso volutamente l’espressione “scritti del fantastico” e non “scritti fantasy”, anche se questo ci porta un po’ fuori tema, a mio avviso, o comunque amplia troppo il discorso. Come ha detto giustamente Stefano, in Italia gli scritti con elementi fantastici sono parecchi e spesso sono conosciuti, ma camuffati sotto altre vesti. Ma siamo davvero sicuri che qui, noi tre, si voglia parlare di questi testi? Personalmente resterei nel Fantasy ed eviterei di analizzare il Fantastico… non finiremmo più, ragazzi (attendo lumi).
Frattanto, ho alcune cose da dire.
Anzitutto, Francesco, non condivido – e lo sai già – la tesi secondo cui l’unica via per rendere “alti” i nostri scritti sia quella di far leva sulla nostra tradizione. Questa è sicuramente una via, valida e che auspico qualcuno percorra con determinazione. Perché il compianto David Gemmell era così interessato all’Eneide e noi, invece, non lo siamo? Ma davvero i giovani virgulti italiani non sono “attratti dal Mediterraneo”? Tu, Francesco, sei l’esempio che lo siamo anche noi. E non credere di essere l’unico! Qualcuno sta lavorando nell’ombra, ne sono certo. Quindi sentiti spronato da una competizione che ancora non è venuta a galla, ma che sono certo c’è. Il patrimonio intellettuale di un Paese è dato dal suo passato, ma anche dal fermento del suo presente, io credo. E la libertà immaginativa porta al fermento quando spazia in ogni direzione, comprese quelle che tu consideri sterili (non l’hai scritto, sintetizzo io per amor di brevità).
Ognuno ha le proprie convinzioni. Tu, Francesco, credi che questa sia la via maestra. A me sta bene, finché non delegittimi le altre. Personalmente, so qual è la mia via, che è portare la realtà nel Fantasy, di peso, affrontando temi attuali in modo tutt’altro che velato – davvero sono l’unico a farlo, Stefano? Strano. Inoltre, pongo una domanda a entrambi: se sono cresciuto molto più con scrittori anglosassoni, che con Omero e Virgilio, o che con le tradizioni di “casa mia”, che cosa dovrei fare… gettare dalla finestra il mio bagaglio culturale, per quanto “traditore delle patrie radici”? Ha ancora senso parlare, nel 2007, di proprie tradizioni, quando leggiamo testi che vengono da tutto il mondo e perfino in più lingue? Mi sembra anacronistico o quantomeno poco realistico. Ognuno ha le proprie inclinazioni, oltreché le proprie convinzioni.
In questo contesto, cambio argomento soltanto in apparenza, per poi riallacciarmi a quanto appena scritto. Secondo me la prima domanda da porsi è proprio: “Perché voglio scrivere questa storia?” È significativa e viene molto prima della seconda: “Che bisogno ne ha il mondo, oltre a me?” Mentre ritengo che chiedersi se il proprio scritto sarà originale e innovativo sia una perdita di tempo; si metta anima e corpo in ciò che si scrive, con onestà e abnegazione… il resto verrà da sé, perché ognuno ha una propria visione del mondo. L’originalità nasce dallo scrittore, dalla sua maturità letteraria, dal suo vissuto – ed ecco che questo tema si riallaccia al precedente: un buon retroterra culturale per un autore non sta solo nelle tradizioni delle sue terre. Uno scrittore non può inventarsi una propria originalità se non è pronto, se non ha già assorbito molto e metabolizzato, se non è capace di rielaborare a modo suo. Un lettore avvinghiato a Dragonlance, Forgotten Realms, Dark Sun, giochi di ruolo vari e a nient’altro non sarà pronto a dire la propria con efficacia finché non avrà spaziato molto di più, costruendosi una sua, necessaria indipendenza intellettuale.
E in questo voglio rispondere a Stefano. Vero, la mia idea di “movimento” può apparire una mera illusione. Un sogno. Ma faccio presente che il sogno è una realtà in altri paesi… e cito il maturo Regno Unito, ancora una volta (e, sia chiaro, non sto dicendo che in un movimento non ci siano voci discordanti, è l’atteggiamento che conta, propositivo, costruttivo, quando qui in Italia è spesso criticone senza proporre valide alternative e disfattista). Non è un caso, e in questo mi avvicino al pensiero di Stefano, che l’Inghilterra non sforni scrittori adolescenti considerati come fenomeni. Ma potrei parlare della Francia o della Germania. Pare che in Italia si sia sempre molto bravi a farsi del male da soli. Esterofili fin nel midollo, in modo miope.
A me sembra che ancora una volta, però, non si guardi il problema in modo costruttivo. Non si aiuta il Fantasy, Stefano, individuando la via per diventare famosi e ricchi. Cosa c’entrano ricchezza e fama con la maturità di un movimento? Un movimento prima diventa maturo, poi può sperare di guadagnare spazio. Il mio sogno, come tu lo chiami, non è risollevare le sorti della lettura in Italia… Un sogno a dire il vero lo avrei: mi piacerebbe essere uno tra i tanti autori che si sostengono a vicenda, aiutandosi a crescere… e non credo che questo agire precluderebbe risultati degni di nota. Prima si faccia! Eventualmente poi si disfi. Il mio sogno è far crescere il Fantasy italiano, perché non tollero l’idea che gli italiani stessi pensino che i propri connazionali siano meno capaci degli stranieri. Questo è razzismo culturale. Una cosa inaccettabile, che non sono mai riuscito a digerire, né da edito e quindi vittima di questo mal pensiero, né prima, dall’ombra dell’anonimato. È semplicemente privo di senso pensare una cosa simile.
I Buticchi, Manfredi & Co. snobbano essi stessi il fantastico, pur sfruttandolo quando scrivono? Se è vero, sono mele marce, intellettualmente disonesti. Non è certo di loro e delle loro migliaia di copie che abbisognamo (e personalmente troverei molto fastidioso tirare per la giacca autori affermati, soltanto perché hanno qualche accenno di fantastico nei loro testi). Né abbisognamo di editori compiacenti, che preferiscono camuffare i romanzi, per paura di osare.
Partiamo dalla base, dai lettori e dagli autori italiani. I movimenti, si sa, partono dal “popolo”. Ma ho l’amara impressione che il popolo in parte sia inconsapevole della propria forza e in parte non sia abbastanza umile.
Che si fa? Non so voi, ma io non mi arrendo di fronte a un’impressione.
un Muspeling
Vorrei iniziare questo mio secondo intervento premettendo una cosa semplicissima: teniamo fuori, di grazia, la Fanta-Storia degli autori citati da Stefano. Stiamo discutendo di Fantasy qui.
Detto ciò, mi accingo pure io – se mi riesce – a sintetizzare ed a rilanciare il discorso.
Ritengo che, se è vero che veniamo da decenni in cui in Italia si è letto poco, ciò è dovuto all’impostazione faziosa della nostra cultura (uno dei tanti riflessi di quell’arcaismo connaturato che fa la nostra una nazione dalle grandi potenzialità ma disperatamente “piccola” rispetto alle altre d’Occidente). Per decenni nelle scuole si impartiva il concetto che l’Arte, la Letteratura, la Cultura fossero cose difficili, per pochi eletti. Vedo ancora residui di questa impostazione ma, al contempo, vedo i prodromi del cambiamento!
Il mondo cambia, anche da noi assistiamo alla nascita della cosiddetta “società lowcost” e questo si riflette su tutto quel che le persone sognano e desiderano! In poche parole, la rivoluzione lowcost ci offre la straordinaria possibilità di creare finalmente una “letteratura popolare” proprio come quella che tradizionalmente è esistita negli USA. L’esplosione della giallistica italiana da questo punto di vista è incoraggiante. Anche il poliziesco, infatti, è un genere importato dalle nazioni anglosassoni, e ora noi ne abbiamo una discreta produzione, e di successo persino.
Reputo che si possa fare lo stesso col Fantasy!
Del resto, non è forse vero che qualcosa nell’editoria si è già mosso? Non siamo più rimasti con i soliti D’Angelo e Troisi, una pattuglia di nuovi “apripista” si sta facendo avanti! Chissà che prima o poi persino le algide porte della casa editrice EINAUDI non si potranno aprire ad un autore italiano di Fantasy? Tengo già una bottiglia di Malvasia di Lipari pronta per brindare all’evento!
Sia chiara una cosa però: se è vero che nessuno dovrebbe darsi a questa avventura dello scrivere senza lavorare – prima o poi – al proprio linguaggio, è al contempo vero che non c’è nulla d’infamante se lo stile è piano, semplice, scorrevole! Sono caratteristiche del racconto popolare, queste, e vanno comprese e rispettate! Se fosse questo l’unico difetto della Troisi, mi andrei a comperare il primo dei suoi romanzi anche domani!
Non c’è alcun “tradimento” da parte dell’aspirante autore nell’adattare il proprio stile ad un genere più “popolare”, e questo per un sacco di motivi (perché la “semplicità di lettura” è complicata da ottenere, per esempio). Noi, presumo, vogliamo raccontare storie, le nostre storie, esprimendo quel tanto di noi stessi che altrimenti resterebbe sepolto nella quotidianità: vogliamo esprimere Contenuti; quale vestito dare loro, per me è di relativa importanza!
Sono d’accordo con Andrea: dovremmo far gruppo, movimento. Ma cosa significa? Cosa si dovrebbe fare nel concreto?
Sicuramente non credo di poter dare l’unica ricetta valida, ma indico quella che hanno seguito gli autori inglesi nella loro successione che va da Dunsany a Eddison, da questi due a C.S. Lewis e infine a J.R.R. Tolkien. Loro per primi (loro, non io!), hanno affondato le mani nella terra su cui vivevano! Loro hanno sentito il bisogno di scrivere un fantastico radicale con cui rispondere ad un mondo che sentivano (e come potrei dargli torto?) minacciato da una modernizzazione violenta, corrompente, svuotante, meccanizzante!
Perché indico la loro via? Beh, perché non ho ancora letto niente di più profondo e affascinante, meraviglioso e intrigante de Il Signore degli Anelli! Perché credo che nessuno, dopo Tolkien, in Inghilterra o negli USA, né tanto meno da noi in Italia, abbia mai raggiunto simili vette.
Non sarà l’unica strada da percorrere, certo, quella di lavorare in quel modo ma, se per me è la via maestra, gli altri facciano quel che credono! E poi, se BOMPIANI, FANUCCI ed altre case editrici stanno recentemente pubblicando gli scritti di questi autori “dei primi tempi”, forse io stesso non sono l’unico a pensarla così…
Ma l’avete letta la “Saga del Ghiaccio e del Fuoco” di G. Martin? Quel suo mondo non è forse composto al novanta per cento da una versione fantastica – ma ipertrofica – dell’Inghilterra? Salvo poi addobbarla con scampoli di Medio Oriente (schiavista e malvagio) e di steppa asiatica (selvaggia e violenta).
E che dire, allora, di quel “campione” di Terry Goodkind? In quindici tomi – nella versione in italiano, dieci in quella inglese – ha disegnato un mondo che non è altro che la versione fantastica dell’Occidente, contrapposto ad un Oriente comunista/islamico, ovviamente malvagio. Salvo poi presentarci la traiettoria d’ascesa di un eroe che non è altri che il Super Uomo di fascista e nazista memoria?
E China Miéville? Non comincia forse la sua trilogia descrivendo una sua “anti Londra”, sostituendo al gusto per il meraviglioso quello per il grottesco? E nelle sue pagine non si può leggere forse anche una certa visione antiumanista dell’umanità?
E non è che l’eptalogia fantasy di S. King, la serie della “Torre Nera”, sia meno statunitense come ambientazione di quanto non fossero britanniche quelle prima citate!
Indi, io trovo che sia decisamente sensato, partire dalle proprie tradizioni fantastiche, dalla propria terra, da quel che più e meglio si conosce, per poi allargare certo, se si vuole.
Faccio questi esempi perché ritengo che sarebbe davvero un peccato che noi si continui a non vedere le potenzialità letterarie di un genere solo apparentemente “facile”!
Infine, posso anche non essere l’unico autore che, nell’ombra, faticosamente costruisce il suo mondo mitopoietico – mi rallegrerebbe averne le prove cartacee – ma, in questo specifico momento storico, credo che i virgulti dell’italica arte nel costruire Mondi Incantati abbiano più bisogno di lavorare sulla qualità che correre dietro alla lepre della competizione!
Competano gli altri se vogliono! I moderni, gli uomini – robot calcolatori a due gambe di profitti contro utili! Io sono un autore di Fantasy, sono nell’esistenza un po’ lupo, un po’ tartaruga: non vado né troppo lento, né troppo veloce, ma esattamente al ritmo che ci vuole.
Stefano
Dopo due contributi a testa ormai abbiamo spiegato i nostri vessilli, se mi passate il termine. Non credo che i fossati che ci dividono siano così profondi, quindi provo a erigere dei ponti. A essere sincero mi sento quasi a mezza strada tra voi due: l’idea di Francesco a proposito di una via mediterranea al Fantasy mi alletta, ma capisco anche che chi, come Andrea, fonda la propria cultura su altre letture voglia, legittimamente, imboccare altre strade. Percorsi sicuri verso il successo nessuno li conosce, ma toglierei a questo termine la valenza negativa che qualcuno di voi gli ha dato. Non mi riferivo certo ai soldi, alla ricchezza, figuriamoci. Sapete meglio di me che in Italia solo pochissimi campano scrivendo, e nel mondo del fantastico quanti sono questi privilegiati?
Essere editi, però, conferisce a chi scrive una sorta di riconoscimento, una stigmate che molti ambiscono. Non si scrive certo per la fama, ma per essere compresi; vedere che si trasmettono sentimenti è qualcosa che colpisce e riempie di orgoglio. Le opere su cui mi sono spesso scagliato sono piccoli capolavori di comunicazione, ma che trasmettono? Cosa danno al lettore se non il piacere edonistico di una lettura senza pensieri con il cervello staccato?
Continuo a ritenere un po’ troppo ottimistico l’obbiettivo posto da Andrea, quello cioè di una comunità di appassionati dove lettori e scrittori legati al fantastico possano procedere a braccetto. Ottimistico perché, come ho avuto modo di dire, dove non si legge non è possibile creare comunità di questo tipo, per non parlare del genere a cui ci riferiamo, il Fantasy, che è forse tra i più disprezzati. Qualcosa sta cambiano, ma quanta fatica. Dario de Judicibus scriveva libri di informatica e solo così è arrivato a pubblicare qualcosa, a quanto ho saputo. Insomma le possibilità di uscire dall’ombra sono scarse e le case editrici non aiutano affatto in questo. Mi piego alla superiore conoscenza di Andrea del mondo anglosassone, ma francamente mi risulta difficile credere che lì i fan non indossino casacche e non rivolgano ai vari autori critiche fini a se stesse come magari possiamo leggere nei nostri forum o nelle bacheche di qualche libreria on-line. Attendo, comunque, l’evolversi degli eventi, sperando, anche egoisticamente, che qualcosa cambi e che, esaurite le scintille di certi fenomeni di consumo che voi ben conoscete, non cali una nuova cappa di tenebra sul genere. Quei fenomeni che vanno tollerati, secondo il mio modesto avviso, solo perché hanno aperto delle porte. Criticare ciò che è mediocre, già visto, è giusto, anzi sacrosanto, magari imparando, però, a non criminalizzare certi scrittori sulla cui buona fede generalmente non è lecito dubitare.
Andrea
Tiro le mie conclusioni, dunque.
Come Stefano si sente a metà strada tra Francesco e me, così io mi sento a metà strada… un po’ distante, insomma, ma non tanto. Quello che posso notare è che entrambe le vostre posizioni sono troppo negative per i miei gusti. Italiani non ancora pronti… Mali necessari… Si sforzano di essere costruttive, mi pare, seguendo la loro legittima direzione. Mi sforzo di vederle costruttive, dunque; mi sembra un buon inizio.
Quattro cose veloci.
Vedi i prodromi del cambiamento, Francesco? Appunto, dico io. Quindi avanti così. Non si deve correre dietro alla lepre della competizione? L’ho sempre detto. Io stesso ho atteso anni, fino a quando non ho ultimato la mia trilogia e non l’ho considerata pronta a essere proposta. Se non avessi fatto così, non avrei cavato un ragno dal buco. Dove non si legge non è possibile creare comunità di questo tipo, Stefano? Qui si legge poco, ma si legge. Parlavo di fare gruppo all’interno del movimento, ovverosia tra coloro i quali già leggono questo genere. Il problema, come sostenevo all’inizio, è che già i pochi tra noi che rispettano il genere fantasy non sono coesi. Poche scuse, è uno schifo da cui mi dissocio. In questi anni non ho perso occasione per incoraggiare, esortare, volto a un’aggregazione che a mio avviso è tutto fuorché utopia. In ogni caso, è l’unica via. Così sto facendo ora, approfittando di questa chiacchierata. E non ho detto che oltremanica gli appassionati non indossino casacche, ma resto dell’idea che in media siano più maturi quando criticano.
A distanza di qualche settimana guardo a questo dialogo con poco affetto, sinceramente. Schiettezza che mi fa male. Mi pare che ancora una volta giriamo attorno a una possibile convergenza, senza convergere realmente. A me piacciono tutte le strade che voi volete battere, ma non mi piace una certa altezzosità che mi sembra traspaia dai vostri ragionamenti. Certo, m’includo, lo stesso effetto possono fare le mie parole. Forse con una differenza, però: io sogno per tutti, non soltanto per me e per quello che credo giusto; credo che le cose sono già cambiate e che stanno migliorando sempre più, ho fiducia nei giovani italiani, m’infervoro perché voglio coesione, movimento. Tanto per scagliare il sasso e non ritrarre la mano, considero immature Le Cronache del Mondo Emerso, ma se avessimo dieci autori italiani di Fantasy che vendessero altrettanto, con opere parigrado, sarei felicissimo! Importa che io non apprezzi? Non credo proprio. Non vedo altrettanta “apertura” in voi. Ciò che traggo dai vostri discorsi è “tolleranza”, e tollerare è un brutto modo di riconoscere i meriti altrui, che non implica accettazione, ma soltanto sopportazione (meglio il fastidio aperto che la sopportazione, anche se esso è una cosa assai poco costruttiva).
Ma, certo, non distruggiamo quanto detto, che mi sembra molto interessante comunque. Avete la mia stima e considero argute molte delle cose scritte. Assolutamente positive, in un certo senso, perché in un movimento deve esserci pluralità di voci e le vostre arricchiscono il dibattito – per quanto ne so, tanto e più della mia.
Quello che vorrei è che le nuove leve e gli inediti si sentissero forti e non si intralciassero il passo vicendevolmente. Fate “legge non scritta” ciò che è stato fatto di rado sinora: sostenetevi a vicenda e non soltanto a parole. Guadagnatevi degli spazi e poi non abbiate timore di condividerli con gli altri autori. Se non c’è molto spazio e il fatto in sé opprime e spinge a egoismi, rilassatevi e sorridete: meglio vivere la situazione in compagnia, che preparare crociate solitarie contro il mondo. Né arroccatevi in “gruppi”, sempre che il gruppo in questione non abbia larghe vedute e non abbia a cuore il genere tutto, pur seguendo le proprie convinzioni. Né desiderate di entrare a far parte di qualche “gruppo” che sembra tanto illustre con l’illusione che ciò vi eleverebbe, portandovi in un’élite.
Siamo tutti ammassati nella stessa bagnarola. Ricordatelo sempre, con un sorriso e una mano tesa al naufrago di turno. Issiamolo a bordo, stare un po’ più stretti non è così grave. E un giorno – io lo credo sempre possibile – quando finalmente raggiungeremo una sterminata spiaggia caraibica, saremo aumentati di numero e potremo fare una festa più grande. Tutti assieme.
Io lo credo possibile. Io credo.
un Muspeling
Ebbene, siamo giunti alla fine di questa discussione trovandomi il privilegio ed il peso delle ultime parole.
Essendo questo un articolo e non solo una “chiacchierata”, il fatto che si sia girati attorno ad un possibile punto d’incontro, senza arrivarci, non è affatto un male, l’obiettivo era mostrare vedute diverse, non un terzetto da camera che suona l’aria sulla quarta corda!
Il mio dispiacere è causato dalle personalizzazioni, tutte quelle citate sin qui…
Sono convinto che il “sognare per tutti” non sia unica prerogativa di Andrea, ma sia ben leggibile in tutti noi, quel che ci differenzia è – invece – il dove andare ed anche il come farlo, null’altro.
Il fenomeno fantasy in Italia è in fermento, quindi, la fotografia che ne farà la nostra rivista sarà interessante – anche a distanza di tempo. Sembra davvero che stia partendo “qualcosa” ed è per questo che Andrea vorrebbe far movimento ma, mentre lui intende “fare tifo per la nazionale fantasy (dalle casacche verdi)”, per così com’è, conoscere i nostri autori, la nostra produzione e darle la precedenza rispetto a quella estera (ha ragione D’Angelo quando ci suggerisce di leggere i nostri autori di Fantasy italiana, se non altro per sapere dove sta andando), la mia idea di movimento è differente.
Qualsiasi cosa ne pensino gli accademici della Crusca, il Fantasy è un fenomeno letterario e come tale va interpretato; è pertanto naturale che – agli esordi come siamo – la nostra produzione sappia troppo di “fan fiction”, non sarebbe l’unico né il primo dei casi! Anche le Ultime lettere di Jacopo Ortis era una versione italianizzata de I dolori del giovane Werther; anche il Romanticismo era un genere nato altrove e che ebbe difficoltà a farsi accettare nelle nostre magre sponde, e solo col tempo sono venuti il Manzoni e il Leopardi. Probabilmente più preciso lo può essere il paragone con il fenomeno musicale del “rock” che, appena giunto da noi negli anni Cinquanta, i pochi che lo accolsero si limitarono per qualche tempo a riproporre le stesse canzoni estere, traducendone appena il testo (o mettendone uno loro ex novo).
Ma le similitudini appena citate mi aiutano ad avere fiducia nel futuro, e allo stesso tempo m’inducono a dire che il prossimo passo, necessariamente, sarà quello di affondare le mani nella nostra terra e creare – quale il poeta Orazio – nuovi Monumenta.
Non posso farci niente se qualcuno vorrà giudicare le mie parole come “accondiscendenti” o “tolleranti”, non ho alcuna intenzione di denigrare gli sforzi fatti da altri che giudico validi sotto una certa ottica. Dico solo che, finché anche da noi non cominceremo a fare Mitopoiesi a partire dalle nostre realtà e tradizioni, rimarremo fatalmente chiusi nel solito ghetto, che diverrà semmai più affollato, ma mai più ampio. Sono, infine, convinto che gli spazi immensi conquistati dai polizieschi all’italiana non saranno mai alla nostra portata (vedete come sogno per tutti?) se non ci mettiamo una buona volta sulla rotta per il Mediterraneo.
Med Fantasy, questo propongo, qualcosa ancora da trovare, ma verso cui intendo (anzi, lo sto facendo) remigare con le mie pinne da quasi-tartaruga.
Quindi, da quasi-lupo, affermo: chi vuol “far gruppo” tenga conto che non è ai Caraibi che sono diretto ma verso il Mare Nostrum…