All’interno della vasta produzione letteraria del Maestro Isaac Asimov, il romanzo Paria dei Cieli, pubblicato nel 1950, terzo e ultimo del cosiddetto “Ciclo dell’Impero”, occupa un posto di rilievo.
La storia è ambientata sulla Terra, il che rappresenta un’eccezione rispetto alla quasi totalità delle trame asimoviane. Nell’universo immaginario descritto (posteriore al “Ciclo dei Robot” e antecedente al “Ciclo della Fondazione”) esistono circa duecento milioni di pianeti abitati, riuniti sotto le insegne di un Impero guidato dal florido pianeta-capitale Trantor, la cui autorità è rappresentata dal Procuratore imperiale – evidente il riferimento all’Impero Romano, su cui Asimov ha più volte dichiarato di aver basato il modello Galattico nelle sue varie fasi (in particolare nella decadenza).
In un così sterminato contesto, il globo terrestre non è che uno dei numerosi pianeti abitati da esseri umani. La sua popolazione, nel nono secolo dell’Era Galattica, è oggetto di una violenta discriminazione razziale da parte degli altri cittadini dell’Impero. La memoria di pianeta originario del genere umano è pressoché perduta, ridotta al livello di discutibile teoria archeologica, di credenza mistica legata alla cultura dei suoi abitanti.
In tutto l’universo conosciuto la Terra è semmai il solo mondo radioattivo, avvolta da una sinistra e costante luce di fondo blu, più intensa nelle zone maggiormente contaminate. Le risorse limitate permettono la sopravvivenza a non più di venti milioni di individui, uniti in una società contadina, al vertice della quale si trova una casta patriarcale e religiosa (la Società degli Anziani) che ha stabilito inviolabili regole per la salvezza dei superstiti.
La più crudele e cinica è quella del sessagesimo, secondo cui ogni essere umano, salvo eccezioni motivate, deve essere sistematicamente eliminato al compimento del sessantesimo anno di età.
La ragione per cui la Terra è precipitata in una simile situazione non è nota; benché sia ipotizzata, non vi è alcuna certezza che la causa della radioattività sia stata una guerra. Un’allusione che nella sua vaghezza diventa per il lettore motivo di inquietudine.
Nonostante la loro precaria condizione i terrestri si considerano un popolo eletto; le antiche leggende sul passato splendore alimentano istinti di rivolta mai sopiti, motore di una spinta centrifuga anti-imperiale che giunge fino a deliranti velleità di riconquista dell’intera Galassia attraverso l’uso di virus mutati dalla radioattività, ai quali i soli terrestri sono immuni.
In questo scenario, dalle fievoli ma croniche caratteristiche postapocalittiche, si inserisce la vicenda personale del protagonista.
Joseph Schwartz è un sarto in pensione nella Chicago del 1949; in una calda giornata estiva esce a passeggio e, colpito da un’emissione anomala generata da un laboratorio di ricerca nucleare, viene catapultato nel futuro e utilizzato come cavia per una sperimentazione mirata ad aumentare l’intelligenza umana.
Sarà proprio questo rassegnato e inconsapevole naufrago del tempo, un troglodita del secondo millennio con una struttura encefalica primitiva, una folta peluria sul volto e quattro denti in più, a contribuire al superamento della stagnante crisi.
Nel finale, con l’arresto dei cospiratori, i nuovi capi terrestri si decideranno a risanare il pianeta dalla sua contaminazione ambientale e forse anche da quella ideologica.
Commento
Nel 1950 la drammaticità degli avvenimenti che posero fine al secondo conflitto mondiale mise le basi per un nuovo tipo di angoscia esistenziale collettiva, di cui l’umanità non è più riuscita a liberarsi. Asimov affronta senza mezzi termini l’incubo della bomba atomica, il senso di colpa per la catastrofe già avvenuta e soprattutto il rischio di altre possibili tragedie future, capaci di segnare in modo indelebile la storia umana. Ansie comuni a molte storie di ambientazione postatomica, che in Paria dei Cieli, per via della collocazione in un futuro molto lontano da noi, raggiungono il parossismo.
Si potrebbe guardare con un sorriso all’epoca postbellica che vide la nascita del romanzo, epoca nella quale un’umanità priva degli arsenali nucleari moderni inizia a fare i conti con il delirio delle armi atomiche. Ma, benché tutto ciò possa apparire una fantasticheria anacronistica, un rapido esame dell’attuale capacità militare del nostro pianeta, abbinato a uno scenario politico instabile, non ci lascia illusioni: l’uomo non ha affatto raggiunto il suo svezzamento dai padri creatori di questa pazzia, e le angosce evocate dal romanzo si scoprono tutt’altro che superate.
Nel 1982 Asimov aggiunse una postilla in cui precisò che, quando scrisse il romanzo, erano trascorsi solo quattro anni da una mostruosa esperienza bellica: le esplosioni nucleari e gli effetti a lungo termine della radiazione di basso livello sui tessuti viventi non erano ancora noti. L’intera storia si basa pertanto su un presupposto scientificamente errato, quello secondo cui il genere umano sarebbe potuto sopravvivere per decine di millenni in un ambiente radioattivo, sebbene al prezzo di difficoltà immani. Asimov precisa inoltre che non avrebbe avuto senso cambiare questa condizione, perché la radioattività terrestre è un requisito indispensabile della trama. Ma la mancanza di realismo scientifico in questo caso passa davvero in secondo piano, mentre l’inevitabile errore di fondo diventa humus fertile per una storia straripante di suggestioni. Nel binomio fanta-scienza il primo dei due elementi, la fantasia, prevale così ancora una volta sul suo pioniere per antonomasia, nonostante la consueta ricchezza di dettagli scientifici.
Asimov obbliga a confrontarsi con un’infausta previsione: la nostra cultura spazzata via, ridotta a residuo paragonabile a ciò che oggi rimane del mito di Atlantide nell’immaginario collettivo. Un monito è lanciato dal lontano futuro verso il presente: la Terra rischia l’autodistruzione.
Questo avvertimento sta alla base della demonizzazione dei terrestri, con la quale si finisce per essere solidali; che sia a causa di una guerra, da loro scatenata, o che invece sia una caratteristica naturale, la radioattività fa del pianeta un mondo deteriore popolato da una razza inferiore, un mondo contaminato nella natura e nell’etica, in cui non ci si avventura se non per necessità o costrizione.
L’uso, mai dichiarato, dell’arma nucleare diventa l’infamia di una intera specie vivente sparsa nell’universo che, dimentica delle proprie origini, le rinnega (discriminazione anti-terrestre) e le nega (impossibilità di accettare che un mondo simile sia stato culla del genere umano). La Terra diventa un mito negativo da tacere e censurare. In qualche modo a ragion veduta. Rifiutata dall’umanità, finisce per chiudersi in un misticismo astratto e deplorevole.
Il Pianeta è dunque un intoccabile paria dei cieli all’interno dell’Impero, così come paria è Schwartz in seguito al drammatico episodio che travolge la sua esistenza. E paria sono anche i protagonisti di una storia d’amore proibita: l’irruente archeologo imperiale Bel Avardan e la terrestre Pola Shekt. La sfida ai poteri e ai pregiudizi che decretano l’emarginazione dell’individuo e di un intero pianeta è una dominante narrativa; Asimov la risolve lasciando vincere il rapporto umano sui vincoli sociali e culturali.
Si è spesso detto che la storia di Paria dei Cieli contenga un parallelo messianico. Affermazione indotta dalla formazione ebraica dell’autore e dalla caratterizzazione dello scenario: un piccolo stato semiautonomo all’interno di un immenso impero, in cui l’improvvisa venuta di un uomo ambiguo e dotato di poteri straordinari scuote l’amministrazione di un procuratore che detesta la sua stessa funzione, vivendola come un castigo, non comprendendo e rifiutando i riti e le credenze della razza che governa.
In realtà, il modo dissacratorio in cui si svolge la storia rappresenta l’antitesi a qualunque credibile manifestazione di religiosità. In Asimov il rapporto umano nudo e puro prevale su qualunque misticismo, religione o credenza. Il presunto impianto messianico, oggettivamente marginale, si smonta negli espedienti narrativi che dimostrano come i fatti concreti della storia umana possano diventare pretesto per ideologie religiose e falsi sistemi di pensiero.
A salvare l’uomo non è dunque la tecnologia, ma la sua irrazionale e sana umanità.
L’umanesimo che Asimov ci presenta non ha nulla di religioso, ne è una conferma il finale positivo di un dramma individuale e collettivo apparentemente senza via di scampo. Anche la vicenda del protagonista si chiude nelle ultime righe con uno slancio vitale che interrompe la sua disperazione, trasformandola in una rinascita all’interno di un mondo tutto da scoprire.
Paria dei Cieli prende spunto da un racconto dello stesso autore scritto qualche anno prima e intitolato Grow Old with Me. Per la stesura, Asimov si ispirò al poema Rabbi Ben Ezra dell’inglese Robert Browning, a cui rese omaggio utilizzando come chiusura del libro le prime righe del suo scritto: “Invecchia con me! Il meglio deve ancora venire, l’ultima parte della vita, di cui la prima è solo il preludio”.
Si prova un brivido su queste parole piene di un’umanità tanto semplice quanto rara, regalate al lettore con infinita generosità.
Se ai tempi di Asimov fosse esistita l’odierna imperante tendenza alle classificazioni, qualcuno avrebbe coniato il filone della “fantascienza positiva”, che ai nostri giorni è un eufemismo definire minoritario. Assediati da pessimismi e visioni apocalittiche, nel segno oscuro di Philip K. Dick, non possiamo che ringraziare ancora una volta Asimov per la sua positività. Oggi più di ieri.