La visione di Pirati dei Caraibi – Ai Confini del Mondo ricorda molto quella de Il ritorno dello Jedi: pregi e difetti delle due pellicole – entrambe terze in un ciclo di film dall’enorme successo commerciale – sono essenzialmente gli stessi.
Ambedue le saghe iniziano con un primo film bellissimo e “quasi” autoconclusivo (non c’è pellicola, a Hollywood, che non lasci una porta aperta a eventuali seguiti); dopo qualche anno arriva il secondo, con idee nuove e accenti più drammatici; infine il cerchio si chiude con un terzo capitolo pirotecnico, dove la carne al fuoco è tantissima e i filoni vengono riuniti più o meno a forza.
Terminato il trittico, tutti quanti, dagli attori agli spettatori, possono rilassarsi e pensare ad altro; per continuare la serie c’è sempre tempo – e anche in questo caso il parallelo con Guerre Stellari salta subito all’occhio.
Come si può intuire dalle considerazioni di cui sopra, capita a volte che un primo sequel sia migliore dell’originale; non capita mai che lo sia il secondo.
Al di là del confronto con la saga di “Star Wars”, quali sono le debolezze di “Ai confini del mondo”?
Il problema principale – e insolubile – sta nella necessità di dover chiudere gli eventi che ne La Maledizione del Forziere Fantasma erano rimasti in sospeso: Jack Sparrow morto, la sua nave distrutta, i cattivi di turno (Davy Jones e Lord Beckett) prossimi al trionfo e, ciò nonostante, Will, Elizabeth, Gibbs e l’equipaggio della Perla Nera pronti a rovesciare la situazione a loro favore grazie all’aiuto della sacerdotessa voodoo Tia Dalma e di un redivivo Barbossa…
Se il secondo film rimaneva senza una conclusione definita – e già non è bene –, il terzo non poteva che presentarsi “senza testa” – il che è anche peggio –, con una serie di sottotrame, colpi di scena e capovolgimenti di fronte che finiscono per accavallarsi al punto da confondere lo spettatore.
Chi sono i buoni? Chi i cattivi? Chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato? Molte di queste domande, anche dopo il termine del film, rimarranno senza una risposta precisa.
Fin dalle sequenze iniziali la trama mostra di voler percorrere strade nuove: dapprima ci mostra una serie di esecuzioni sommarie ordinate dallo spietato Beckett (scena piuttosto cruda per un film disneyano), quindi ci catapulta a Singapore, ben lontano dai Caraibi, dove cominciano le prime zuffe, tra i “nostri” da un lato (Will, Elizabeth, Barbossa), gli inglesi dall’altro, e in mezzo un terzo partito capeggiato da un nuovo personaggio, il pirata cinese Sao Feng (Chow Yun-Fat, protagonista de La Tigre e il Dragone). Costui possiede un mappa che consentirebbe di recuperare Jack Sparrow dallo “scrigno” di Davy Jones, nel quale è finito rinchiuso per non avere saldato il suo debito col capitano dell’Olandese Volante.
Sfuggiti come sempre per il rotto della cuffia, i nostri eroi ritrovano Jack in uno strano posto “ai confini del mondo” (vi si accede attraverso una cascata in mezzo all’oceano!), dal quale riescono a evadere a bordo della Perla Nera.
Dopodiché, un nuovo e importante personaggio entra in scena – o meglio, viene menzionato – rendendo la trama, già abbastanza complicata, quasi incomprensibile. È la dea Calypso in persona, una specie di Nettuno al femminile in grado di controllare il mare, a suo tempo imprigionata in un corpo umano dal Supremo Consiglio dei Pirati (formato da nove membri, tra cui Jack, Barbossa e Sao Feng) perché troppo imprevedibile e pericolosa; come se non bastasse, è anche la stessa donna che ha fatto impazzire d’amore Davy Jones.
A tirarla in ballo è Barbossa, che propone di liberarla per poterla “scatenare” contro la flotta inglese al comando di Beckett: infatti, dopo una lunga serie di tradimenti e colpi di scena – in cui, tra l’altro, vengono uccisi il governatore Swann, Norrington, sempre incerto tra le due fazioni in lotta, e lo stesso Sao Feng, che cede il suo posto nel Consiglio a Elizabeth – si avvicina il momento della resa dei conti. Ad affrontarsi saranno la flotta inglese, decisa a por termine alla pirateria una volta per tutte, e i pirati, litigiosi, indisciplinati e divisi, ma ciò nondimeno ancora liberi.
Elizabeth, fatta eleggere a capo supremo del Consiglio dei Pirati dal furbo Jack, decide di combattere senza avvalersi di aiuti “soprannaturali”, ma Barbossa è di diverso avviso e libera Calypso, la quale – ulteriore colpo di scena – altri non era che Tia Dalma.
La dea, giustamente furiosa dopo troppi anni passati in cattività, scatena una tempesta e un gigantesco gorgo a cornice dell’ultimo combattimento tra la Perla Nera e l’Olandese Volante che si conclude naturalmente con la vittoria dei “nostri”.
Tuttavia Will, ferito a morte, viene “aiutato” da Jack a trafiggere il cuore di Davy Jones, ponendo così fine alla vita del pirata fantasma, ma condannando il giovane a prenderne il posto. Will riesce in questo modo a sopravvivere, ma la consolazione appare un po’ magra, considerando che adesso dovrà vagare per mare dieci lunghi anni, lasciando Elizabeth – con la quale si era sposato durante i combattimenti! – ad attenderlo. E per di più con tanto di prole al seguito, dato che la neo-sposa riesce a farsi mettere incinta proprio all’ultimo istante.
E l’aggancio per eventuali seguiti? Nessun problema. Barbossa si impadronisce nuovamente della Perla Nera e parte alla ricerca della Fonte della Giovinezza; Jack, come già nel primo film, prende il largo su una barca. Nuove avventure e nuovi personaggi si intravedono all’orizzonte…
Su questo finale, nulla da dire. Anzi, la sequenza che ci mostra (dopo i titoli di coda) Elizabeth che aspetta il ritorno di Will in compagnia del loro bambino è particolarmente suggestiva e ben si addice al termine di un ciclo. Peraltro, non mancano certo sequenze ugualmente coinvolgenti, a partire dalla scena iniziale (le impiccagioni in massa) per finire con quella che vede l’Olandese Volante e la Perla Nera rincorrersi all’interno del gigantesco gorgo creato da Calypso; e potremmo anche citare il cosiddetto “scrigno di Davy Jones”, una spiaggia sconfinata popolata da strani granchi, e dalla quale si esce capovolgendo – letteralmente – la nave nel momento in cui il sole scende sotto l’orizzonte. Ma era scontato che sulla bontà delle scenografie e degli effetti speciali non vi potesse essere nulla da eccepire: le produzioni hollywoodiane, almeno a questo livello, sono sempre all’altezza del compito.
I difetti, come già si era accennato, sono altri: la carne al fuoco, in questo terzo film, è davvero troppa. C’era proprio bisogno di tirare in ballo la dea Calypso che, sia detto senza peli sulla lingua, ha a che fare coi pirati come i classici cavoli a merenda? Non c’era alcun bisogno di dare un nome alla donna amata da Davy Jones, che avrebbe conservato maggior fascino se fosse rimasta una figura misteriosa; e in quanto alla “turbolenza” durante la battaglia finale perché non usare il Kraken?
Analogamente, non si vede la necessità di introdurre il personaggio di Sao Feng che, diventato infatti troppo ingombrante, viene eliminato a circa metà del film: le informazioni in suo possesso potevano tranquillamente essere attribuite a Barbossa, espediente che avrebbe anche giustificato la sua resurrezione in modo più convincente (poiché, in fin dei conti, Barbossa serve solo a liberare Calypso).
L’eccessiva complessità della trama è solo una faccia della medaglia: l’altra, inevitabilmente, è la scarsa attenzione che viene rivolta a un po’ tutti i personaggi, sui quali, nonostante la lunghezza del film (168 minuti, contro i 143 e 150 dei primi due), non ci si sofferma quanto sarebbe necessario. E così la partecipazione del governatore Swann è ridotta a un cameo; Lord Beckett diventa il solito cattivo stereotipato; Norrington, personaggio complesso e il cui ruolo era spesso decisivo, finisce eliminato dopo qualche scena, neanche memorabile. A parte Jack, trascinato dalla straripante personalità di Johnny Depp, e forse Barbossa, a sua volta interpretato dal grande Geoffrey Rush, tutti gli altri, Will, Elizabeth, Gibbs, anche Davy Jones, risultano appannati, privi di spessore; si può quasi dire che vivano della rendita dei due film precedenti.
In quanto al Kraken, diventato un po’ troppo difficile da gestire, viene liquidato in poche battute a inizio film (Beckett ha ordinato a Davy Jones, di cui possiede il cuore, di eliminarlo). Un po’ strano per un mostro che sembrava invincibile e quasi invulnerabile!
Per fortuna, il poco spazio dedicato ai personaggi principali giova a quelli secondari: dalla sempre esilarante coppia di pirati Pintel e Ragetti, all’altro duo formato dai due soldati inglesi Murtogg e Mullroy (spesso paragonati a Laurel & Hardy), qui ricomparsi dopo aver saltato il secondo film. Memorabile nella sua brevità, soprattutto, è la tanto attesa apparizione di Keith Richards: il suo ruolo, quello di custode del famoso “codice” dei pirati, sembra tagliato su misura per una leggenda vivente come certamente va considerato il chitarrista dei Rolling Stones.
I pro e i contro, alla fine, tendono a bilanciarsi. La storia, di per sé, non è mai banale, e riesce ancora a sfruttare in pieno la geniale idea che ha reso così speciale il primo film: mischiare elementi fantasy – genere che oggi va molto di moda – alle più tradizionali storie di pirati, e condire il tutto con il giusto pizzico di umorismo. Finché questi elementi, gli attori e l’ineccepibile regia reggono, la storia funziona.
Ma può un film di questo livello vivere di rendita sui fasti e sui meriti dei suoi predecessori? I produttori di Hollywood, da sempre, ne sono più che convinti; gli spettatori lo sono abbastanza, ma evidentemente non del tutto, dato che il film ha incassato meno del precedente.
Noi, più modestamente, preferiremmo sceneggiature più solide, più coerenti, soprattutto più lineari; e, anche se questo andasse a scapito di qualche colpo di scena o qualche effetto speciale, ci guarderemmo bene dal lamentarci!