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«È morto», annunciò Bickel.
Sollevò l’estremità recisa di un tubo di nutrizione e fissò il pannello da cui l’aveva staccato. Il cuore gli batteva troppo in fretta e sentiva che gli stavano tremando le mani. Delle lettere di un rosso fluorescente, alte almeno otto centimetri, gli inviavano un messaggio d’avvertimento dal pannello che aveva di fronte. L’avvertimento sembrava una presa in giro, dopo quel che lui aveva fatto.
«NUCLEO MENTALE ORGANICO – PUÒ ESSERE RIMOSSO SOLTANTO DAL TECNICO DEI SISTEMI VITALI».
Bickel percepì che sulla nave la quiete era aumentata. Qualcosa ( non qualcuno, pensò) era svanito. Era come se la calma molecolare dello spazio esterno avesse invaso gli scafi multipli e concentrici della nave spaziale Terrestre e si fosse diffusa fino a giungere al cuore di quella massa metallica ovoidale, che si dirigeva a folle velocità verso Tau Ceti.
Bickel si avvide che i due suoi compagni erano prigionieri di quel silenzio. Avevano paura di spezzare la tranquilla atmosfera generata da quel momento di vergogna, colpa, rabbia… e sollievo.
«Cos’altro potevamo fare?» chiese Bickel. Sollevò ancora una volta il tubo tagliato, e lo fissò con ira.
Raja Flattery, il loro psichiatra-cappellano, si schiarì la gola e disse:
«Calma, John. La colpa è di tutti noi, e va divisa in parti uguali».
Bickel fece correre il suo sguardo furente su Flattery, notò l’espressione enigmaticadell’uomo, calcolata e penetrante, il viso stretto ed altezzoso, che in qualche modo suggeriva un senso di terribile superiorità, celata dietro gli insondabili occhi castani e le sopracciglia nere che si curvavano verso l’alto.
«Sai benissimo cosa puoi farci con la tua colpa!» ringhiò Bickel, ma le parole di Flattery neutralizzarono la sua ira, lo fecero sentire sconfitto.
Bickel rivolse la sua attenzione a Timberlake – Gerrill Timberlake, tecnico dei sistemi vitali, l’uomo che avrebbe dovuto eseguire quello sporco lavoro.
Timberlake, magro come uno spaventapasseri, dai movimenti rapidi e nervosi, e con la carnagione scura quasi quanto i suoi capelli, fissò il ponte metallico sotto i suoi piedi, evitando lo sguardo di Bickel.
Vergogna e paura – ecco tutto quello che Timberlake prova, pensò Bickel.
La debolezza di Timberlake – la sua incapacità di sopprimere lo NMO, anche quando quell’atto avrebbe significato salvare la nave e migliaia di vite inermi – li aveva quasi uccisi. E adesso, quell’uomo non riusciva a provare altro che vergogna… e paura.
Non c’erano stati dubbi su quel che bisognasse fare. Lo NMO era impazzito, sviluppando una coscienza selvaggia, delirante. Era divenuto una massa malata di materia cerebrale i cui riflessi muscolari trasformavano ogni servomeccanismo della nave in un’arma assassina; li aveva fissati con occhi pieni di follia da ogni sensore, li aveva sommersi con discorsi senza senso da ogni vocoder.
No, non c’era stato alcun dubbio sul da farsi – non con tre membri dell’equipaggio assassinati – e la sola cosa sorprendente era che fossero riusciti a distruggerlo.
Forse voleva morire, pensò Bickel. E si chiese se quella fosse stata la sorte delle altre sei navi del Progetto, che erano svanite nel nulla senza lasciare alcuna traccia.
Anche i loro NMO sono impazziti? Forse i loro equipaggi ombelicali hanno fallito, quando si è trattato di uccidere o essere uccisi?
Una lacrima iniziò a scorrere lungo la guancia sinistra di Timberlake.
Per Bickel, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Un po’ della sua rabbia ritornò. Fissò duramente Timberlake e disse: «Cosa facciamo adesso, Capitano?»
L’ironia sottintesa, nell’aver attribuito quel grado a Timberlake, non sfuggì a nessuno dei due compagni di Bickel. Flattery fece per replicare, ma poi ci ripensò. Se pure si poteva affermare che la nave spaziale Terrestre avesse un capitano (non contando un Nucleo Mentale Organico in servizio attivo), allora un tacito accordo conferiva quel titolo al tecnico dei sistemi vitali. Nessuno di loro, però, aveva mai usato la parola in maniera ufficiale.
Alla fine, Timberlake sostenne lo sguardo di Bickel, ma tutto quel che disse fu: «Tu sai perché non sono riuscito a farlo».
Bickel continuò a studiare Timberlake. Quale mente maligna aveva assegnato loro quel misero surrogato di tecnico dei sistemi vitali? In precedenza, l’equipaggio ombelicale era stato formato da sei persone – i tre presenti, più l’Infermiera di Bordo Maida Blaine, lo Specialista in Apparecchiature Oscar Anderson ed il Biochimico Sam Scheler. Adesso, Blaine, Anderson e Scheler erano morti – il cadavere esploso di Scheler ostruiva un condotto d’accesso al perimetro di poppa, Anderson era stato strangolato da una chiusura a diaframma impazzita, e la deliziosa Maida era stata schiacciata da una parte del carico sfuggita al controllo.
Bickel attribuiva a Timberlake la maggior parte della colpa della trage-dia. Se solo quel dannato stupido si fosse deciso a compiere quel passo, in maniera spietata ma necessaria, al primo segno di guai! C’erano stati fin troppi avvertimenti; i primi due NMO della nave erano piombati in uno stato catatonico. L’origine del problema era ovvia. E i sintomi – esattamente gli stessi che avevano preceduto il collasso, sulla Terra, del vecchio progetto sulla Coscienza Artificiale – si erano manifestati con un’insensata distruzione di esseri umani e di materiale. Ma Tim aveva rifiutato l’evidenza.
Tim aveva continuato a blaterare sulla santità di ogni vita.
Vita, ah! pensò Bickel. Tutti loro – compresi perfino i coloni nella vasche d’ibernazione – erano materiale bioptico sacrificabile, cloni cresciuti nell’atmosfera gnotobiologicamente sterile della Base Lunare. «Mai toccati da mani umane». Quella era una battuta che erano soliti fare in privato.
Avevano conosciuto i loro insegnanti nati sulla Terra soltanto come voci e immagini della grandezza di una bambola, sugli schermi visivi del sistema di comunicazioni della base – e solo occasionalmente attraverso il triplo vetro dei portelli che sigillavano il nido d’infanzia sterile. Erano emersi dai serbatoi axolotl per essere accolti dagli arti metallici, dotati di estremità imbottite, di levatrici che erano servoestensioni del personale umano della Base Lunare, banditi per sempre dal contatto fisico con coloro che servi-vano.
Isolamento – ecco la storia delle nostre vite, pensò Bickel, e quel pensiero fece diminuire la sua rabbia nei confronti di Timberlake.
Timberlake aveva iniziato ad agitarsi nervosamente, sotto lo sguardo in-quisitorio di Bickel.
Flattery intervenne. «Be’… sarebbe meglio che facessimo qualcosa» .
Sapeva di doverli tenere in movimento. Faceva parte delle sue mansioni
– mantenerli attivi, occupati con un qualche lavoro, anche se ciò rischiava di spingerli verso il conflitto aperto. Ma quel tipo di problema poteva essere risolto, se e quando si fosse presentato.
Raj ha ragione, pensò Timberlake. Dobbiamo fare qualcosa. Tirò un profondo respiro, tentando di liberarsi del suo senso di vergogna e di fallimento… e del risentimento di Bickel – il dannato Bickel, il superiore Bickel, lo speciale Bickel, l’uomo dagli innumerevoli talenti, Bickel, da cui dipendevano le loro vite.
Timberlake lanciò un rapido sguardo alla familiare sala di comando situata nel nucleo della nave – un ambiente lungo ventisette metri e largo dodici. La sua forma era vagamente ovoidale, come quella della nave.
Quattro lettini elastoavvolgenti, simili a bozzoli e con delle tastiere di controllo quasi identiche davanti, erano disposti parallelamente alla curva formata dal lato più ampio della sala. Cavi e tubi colorati in codice, quadranti e strumenti di controllo, banchi d’interruttori e spie d’allarme atte-nuavano, con la loro colorata confusione, il freddo grigio delle pareti metalliche. Qui si trovavano gli apparati necessari per controllare la nave e la sua coscienza autonoma – un Nucleo Mentale Organico.
Nucleo Mentale Organico, pensò Timberlake, e sentì riacutizzarsi il suo senso di colpa e il suo dolore. Non cervello umano, oh no. Un Nucleo Mentale Organico. Ancora meglio, uno NMO. L’eufemismo rende più facile dimenticare che il nucleo un tempo era un cervello umano ospitato nel corpo di un mostro appena nato, e destinato a perire. Scegliamo soltanto i casi terminali poiché ciò rende meno dubbia la moralità dell’atto.
E adesso l’abbiamo ucciso.
«Ecco quel che farò io», annunciò Bickel. Il suo sguardo corse alla tastiera del dispositivo Accetta-E-Traduci, che…

Tit. originale: Destination: Void (Do I Wake or Dream?)
Anno: 1965
Autore: Frank Herbert
Edizione: Fanucci (anno 1994), collana “Biblioteca di Fantascienza” #II
Traduttore: Carlo Borriello
Pagine: 250
ISBN-13: 9788834703953
Dalla copertina | Grossi guai sull’astronave Terrestre, diretta, con un carico di migliaia di coloni ibernati, verso la lontana Tau Ceti, intorno a cui orbita un pianeta, le cui caratteristiche sono quelle di un vero e proprio Paradiso terrestre. I suoi tre Nuclei Mentali Organici, cervelli umani privi di corpo che avevano il compito di mantenere in perfetta efficienza i sistemi vitali della nave, sono impazziti uno dopo l’altro, e l’ultimo, prima di morire, ha assassinato tre dei membri dell’equipaggio. I tre superstiti, con una donna risvegliata dall’ibernazione, si trovano, per poter sopravvivere, a dover affrontare un problema apparentemente irrisolvibile: creare un cervello, questa volta meccanico, dotato di coscienza che conduca la nave alla sua destinazione finale. Per far questo, però bisogna risolvere anche un difficilissimo enigma: cos’è e da dove nasce la coscienza. La situazione è ancora più complicata di quel che sembri. Qualcuno, sulla Terrestre, fa il doppio gioco e può segnare, mediante un congegno di autodistruzione, la sorte della nave.E sarà poi vero che Tau Ceti possiede un pianeta abitabile? Ma, allora, qual è la vera missione della nave? Ha qualcosa a che fare proprio con il Progetto Coscienza? La risposta sarà più atroce, ed ironica, di quanto ci si possa aspettare. L’ultimo inedito dell’Autore di Dune il capolavoro di fantascienza negli ultimi vent’anni.