Quellen, Guarda il Passato! (The Time Hoppers | 1967), di Robert Silverberg

Quellen Guarda il Passato!

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Anteprima testo

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C’era del fascino in un mondo così affollato, secondo alcuni. I grattacieli di cristallo della città, ammassati l’uno in fila all’altro, le ondate ritmiche della folla che si accalcava sulle rampe del taxiespresso, la danza dei raggi del sole su milioni di tuniche iridescenti in una delle grandi piazze… A detta degli esteti, il fascino stava tutto in queste cose.

Quellen non era un esteta. Era un oscuro burocrate, un umile funzionario civile di intelligenza media e di tendenze normali. Guardava il mondo così come si presentava nell’anno 2490 d.C, e lo trovava un inferno. Quellen era incapace dei complicati processi interiori, per cui uno spaventoso affol-lamento veniva descritto come una bellezza moderna. Lui lo detestava. Se fosse stato di Prima Classe, o anche di Seconda, Quellen si sarebbe trovato in una posizione molto più propizia per apprezzare i nuovi canoni estetici, perché non sarebbe stato obbligato a viverci in mezzo. Ma Quellen era un funzionario di Settima Classe, e il mondo di un funzionario di Settima Classe era diverso da quello di uno di Seconda.

Tuttavia, malgrado tutto, Quellen non poteva lamentarsi. Godeva di tutte le comodità: illegali, per la verità, perché ottenute con l’imbroglio e con le lusinghe. A rigor di logica, Quellen si era comportato in modo vergognoso in quanto si era impadronito di una cosa che non gli spettava. Si era acca-parrato un angolino privato del mondo proprio come se fosse un membro dell’Alto Governo, come se appartenesse alla Prima o alla Seconda Classe.

Ma Quellen non aveva nessuna delle responsabilità che pesavano sull’Alto Governo, e non meritava nessun privilegio.

Tuttavia se li era presi. Era ingiusto, criminale, disonesto, ma tutti hanno dei difetti. Al pari di chiunque altro, anche Quellen aveva cominciato inse-guendo i sogni più nobili, e, come quasi tutti, aveva finito per rinunciarvi.

«Pong!»

Era la campana di avvertimento: qualcuno lo voleva. Voleva che tornasse là in quell’orribile conigliera di Appalachia. Quellen ignorò la campana.

Era tranquillo e sereno e non aveva voglia di irritarsi andando a rispondere.

Pong. Pong. Pong.

Non era un suono insistente, solo importuno, basso e ben modulato, prodotto da un piatto di bronzo percosso da un martello avvolto nel feltro. I-gnorandolo, Quellen continuò a dondolarsi avanti e indietro nella sua poltrona pneumatica, cogli occhi fissi sui coccodrilli insonnoliti che sguazza-vano nelle acque fangose del fiume che scorreva in basso, sotto il suo portico. Pong. Pong. Dopo un po’ la campana smise di suonare. Quellen rimase seduto, beatamente passivo, a godersi il caldo odore della vegetazione e ad ascoltare il ronzio degli insetti.

L’unico particolare del Paradiso Terrestre che non gli piaceva, era proprio l’incessante ronzio dei brutti insetti che svolazzavano nell’aria calma e afosa. In un certo senso, rappresentavano un’invasione; erano il simbolo della sua vita prima di essere promosso alla Settima Classe. Allora il ronzio era quello della gente che affollava l’enorme alveare di una città, e Quellen lo detestava. Ad Appalachia non c’erano insetti veri, naturalmente.

Solo il ronzio simbolico.

Quellen si alzò e andò alla balaustra a guardare il fiume. Era un uomo al di sotto della mezza età e al di sopra della statura media, più magro di quanto non fosse stato un tempo; con capelli castani indisciplinati, un’ampia fronte madida di sudore, e occhi gentili, di una sfumatura che non era né verde né azzurra. Le labbra, sottili e sempre serrate, gli conferivano un’aria decisa, subito smentita da un mento poco volitivo.

Gettò pigramente un sasso nell’acqua. «Prendetelo!» gridò a due coccodrilli che scivolavano silenziosi verso il punto in cui era caduto, sperando in un grosso boccone di carne. Ma il sasso affondò, facendo risalire alla superficie delle bolle nere, e i coccodrilli urtarono fra loro i musi appuntiti e poi si allontanarono. Quellen sorrise.

Era bello vivere nel cuore dell’Africa tropicale, malgrado gli insetti, il fango nero, la solitudine, l’umidità e tutto il resto. Valeva la pena rischiare di essere scoperto.

Quellen recitò la litania delle benedizioni. Marok pensò. Niente Marok, qui, né Koll, né Spanner, né Broog, né Leeward. Nessuno. Ma soprattutto non c’è Marok. È lui che mi manca meno di tutti.

Che sollievo potersene stare lì senza dover sopportare le loro voci ron-zanti, senza rabbrividire quando entravano d’improvviso nel suo ufficio!

Naturalmente, era arbitrario e immorale da parte sua comportarsi in quel modo, come un Raskolnikov moderno che trascendeva tutte le leggi morali. Tutto questo era disposto ad ammetterlo; tuttavia si ripeteva spesso che il viaggio della vita si fa una volta sola e, in fin dei conti, che importanza poteva avere se aveva fatto una parte del viaggio in Prima Classe?

Solamente lì c’era libertà.

E il fatto di stare lontano da Marok, il suo odioso collega di stanza, era l’aspetto più positivo. Non c’erano i suoi piatti sporchi che gli davano così fastidio, né i mucchi di libri sparsi dappertutto nella loro stanzetta, e la sua voce acida che parlava incessantemente al visifono, proprio mentre Quellen cercava di concentrarsi.

No, niente Marok, lì.

Però, pensava mestamente Quellen, la pace che aveva pregustato quando si era costruito quella nuova casa, non si era realizzata. Succedeva sempre così: quando si raggiungeva lo scopo, la soddisfazione veniva a mancare.

Per anni, con pazienza infinita, aveva atteso il giorno in cui l’avrebbero promosso alla Settima Classe e avrebbe avuto il diritto di vivere da solo.

Quel giorno era venuto, ma non gli era bastato. Così si era procurato illeci-tamente quel pezzetto d’Africa. E adesso che aveva ottenuto anche questo, la vita era un susseguirsi sgradevole di paure.

Pieno d’inquietudine, scagliò un altro sasso in acqua.

Pong.

Mentre osservava i cerchi concentrici delle increspature perdersi sulla superficie scura della corrente, Quellen tornò a sentire la campana che suonava in fondo alla casa. Pong. Pong. Pong. Il senso di disagio si trasformò in cupo presentimento. Quellen corse al telefono.

Pong.

Rispose, senza attivare il video. Non era stato facile sistemare le cose in modo che tutte le chiamate dirette al suo domicilio di Appalachia, all’altro capo del mondo, venissero automaticamente ritrasmesse lì.

«Quellen» disse, fissando il grigio schermo opaco.

«Qui parla Koll» fu la gracchiante risposta. «Non sono riuscito a trovar-vi prima. Perché non attivate il video, signor Quellen?»

«Non funziona.» E si augurò che il sospettoso Koll, suo immediato superiore al Segretariato di Polizia, non fiutasse la menzogna nella sua voce.

«Venite qui subito, per piacere, Quellen. Spanner ed io dobbiamo discutere una questione urgente con voi. Capito, Quellen? Urgente. È una cosa dell’Alto Governo. Fanno molte pressioni.»

«Sissignore. Altro, signore?»

«No, vi dirò i particolari quando verrete. E cioè, immediatamente» concluse Koll, troncando di scatto la comunicazione.

Quellen continuò a fissare a lungo lo schermo opaco, mordicchiandosi il labbro. La paura gli attanagliava il cuore. Che lo volessero al quartiere generale per parlare del suo nascondiglio illegale? Era forse arrivato il momento della resa dei conti? No, no. Non potevano sapere. Aveva preso tutte le precauzioni possibili e immaginabili.

Eppure, non riusciva a fare a meno di ripetersi, dovevano aver scoperto il suo segreto, altrimenti, perché mai Koll lo avrebbe convocato d’urgenza e con un tono così sferzante? Quellen si mise a sudare, malgrado l’aria condizionata che mitigava notevolmente il calore infuocato del Congo.

Se l’avevano scoperto, l’avrebbero retrocesso all’Ottava Classe. Anzi, più probabilmente l’avrebbero degradato alla Dodicesima o alla Tredicesima, bollandolo per sempre. Per tutto il resto della sua vita avrebbe dovuto abitare in una stanzetta angusta con altre due o tre persone, le più grosse, ma-leodoranti e sgradevoli che i calcolatori potessero trovare per lui.

Ma alla fine Quellen riuscì a calmarsi. Forse si spaventava per niente.

Koll aveva parlato di una questione riguardante l’Alto Governo, no? Una direttiva proveniente dall’alto, non un arresto privato. Se l’avessero scoperto davvero, non si sarebbero limitati a mandarlo a chiamare, Quellen lo sapeva. Sarebbero venuti a prenderlo di persona. Dunque, era una faccenda di lavoro. Quellen ebbe una rapida visione dei membri dell’Alto Governo, chimerici, semidei alti almeno tre metri, che interrompevano le loro incomprensibili fatiche per gettare nel condotto una minischeda diretta a Koll.

Quellen guardò a lungo i verdi alberi che sovrastavano la casa, piegati sotto il peso delle foglie e scintillanti per le goccioline della pioggia mattu-tina. Lasciò che lo sguardo vagasse con rimpianto sulle due spaziose stanze, sul portico elegante e sul vasto panorama. Ogni volta che doveva lasciare quel posto, era come se fosse l’ultima. Per un attimo, adesso che forse stava per perdere tutto, Quellen apprezzò anche il ronzio degli insetti.

Gettò un’ultima occhiata intorno e salì sullo stat. Il campo rosso lo avvolse, mentre la macchina lo risucchiava.

I generatori di energia dello stat erano collegati direttamente al generato-re centrale che funzionava senza sosta girando sul…

Quelle guarda il passato - Locandina

Tit. originale: The Time Hoppers

Anno: 1967

Autore: Robert Silverberg

Edizione: Mondadori (anno 1968), collana “Urania” #483

Traduttore: Beata Della Frattina

Pagine: 180

Dalla copertina | Ai suoi colleghi che non hanno fatto carriera il poliziotto Quellen sembra un uomo molto fortunato. Non tanto per il prestigio del grado, o per lo stipendio più alto, quanto perché dopo l’ultimo avanzamento Quellen ha diritto a una stanza tutta sua. Ma a lui questo lusso non basta ancora. Quellen trova che al mondo c’è troppa gente. E nel mondo dove vive Quellen sono in molti a pensarla come lui.