L’interesse intorno al fenomeno UFO cominciò a fermentare sul finire degli anni Quaranta, dopo il celebre avvistamento da parte di Kenneth Arnold e i fatti di Roswell. A metà degli anni Cinquanta ci si trovava già in pieno boom.
La teoria più dibattuta era naturalmente quella che indicava gli UFO come veicoli spaziali costruiti da civiltà extraterrestri. Questi presunti alieni, in conformità alle tesi predominanti – che spaziavano dal catastrofico alla new age –, potevano essere o pericolosi a livelli apocalittici o filantropicamente pacifisti, quasi mai una via di mezzo.
Col romanzo Quelli della Stella Polare, scritto nel 1954, JIMMY GUIEU, per non fare torto a nessuno, coniugò tutte le ipotesi proponendo uno scenario in cui la Terra diventa oggetto d’attenzione da parte di ben due diverse specie aliene: i Polariani e i Denebiani. I primi, provenienti dalla Stella Polare e identici agli uomini (solo più belli, più buoni e più abbronzati), sono altamente progrediti, telepati e altruisti per natura. I secondi arrivano da Deneb, sono antropomorfi – tanto da sembrare uomini – ma verdi, viscidi e d’aspetto repellente; pure loro possiedono facoltà extrasensoriali ma meno sviluppate rispetto ai Polariani, sono tecnologicamente evoluti ma non quanto i Polariani, e hanno la sgradevole abitudine di rapire scienziati terrestri, come i Polariani, anche se per fini opposti.
I Denebiani, infatti, sono violenti e privi di scrupoli. Intendono conquistare la Terra, e questa mira li pone in dichiarato conflitto con gli integerrimi Polariani, protettori dell’umanità. Tutto ciò accade mentre i governi terrestri, ignari – ma neanche troppo –, continuano a perdersi nel loro provincialismo, nelle loro puerili dispute politiche.
Queste premesse lascerebbero auspicare una lettura spiazzante, che scoprisse via via dei benefattori non poi così disinteressati, e dei persecutori non così spietati. Invece no.
Guieu non amava queste sottigliezze, queste sfumature. I suoi Polariani sono esattamente ciò che sembrano: buoni, onesti e virtuosi, al limite dell’irritante. E i Denebiani sono la quintessenza della crudeltà ottusa.
In Quelli della Stella Polare, Guieu decise d’infilare allegramente vari stereotipi e tutta l’ingenuità (ma tra ingenuità e superficialità il confine è spesso sottile) propri della Fantascienza di quegli anni; ci mise però anche del suo, agganciando la storia al ciclo dei sui romanzi su fantarcheologia e civiltà perdute, aventi già come protagonisti il simpatico paleo-antropologo Jean Kariven e i suoi intrepidi colleghi Dormoy e Angelvin.
Questa volta i tre amici si trovano a Los Angeles per godersi un meritato periodo di vacanza e presenziare nel contempo a un congresso internazionale di Ufologia. Occasione perfetta, quindi, per incappare in un alieno in incognito.
Kariven viene infatti avvicinato da Zimko, un enigmatico individuo che si rivela appartenente alla civiltà spaziale dei Polariani. Costoro altri non sono che quegli “esseri civilissimi venuti nel remoto passato sul nostro pianeta per istruire il genere umano” noti agli antichi con il nome di “Draghi di Saggezza”, secondo leggende che Kariven aveva già avuto modo di studiare durante le sue precedenti avventure (fra cui un viaggio nel Tempo!).
Zimko avvisa che sulla Terra è presente da qualche anno (attirata dalle prime esplosioni atomiche) pure la spietata razza dei Denebiani, con la quale i Polariani sono in lotta mortale.
Kariven stesso è testimone di uno dei tanti atti di questa guerra secolare: nel corso di una festa in maschera, assiste a un duello tutto mentale nel quale Zimko affronta e uccide telepaticamente tre Denebiani.
I motivi per cui l’antropologo è stato “contattato” sono vari: innanzi tutto ai Polariani non sono sfuggite le azioni eroiche compiute da Kariven e dai suoi amici nei loro “excursus” temporali, inoltre tutti e tre portano il “Segno”. Si tratta di una particolare disposizione delle linee del palmo della mano, che qualifica i possessori come membri della “Nuova Razza”, l’Homo Superior, destinata a soppiantare gradualmente l’attuale Homo Sapiens, e ad essere artefice di una rivoluzione sociale e morale su scala planetaria.
Affascinati da queste rivelazioni, Kariven e compagni non esitano un istante ad accettare la proposta di Zimko: unirsi alla segreta alleanza Terro-Polariana.
Rientrati in Francia e scampati a un paio di attentati da parte dei Denebiani, i nostri eroi s’imbarcano nel disco volante di Zimko, partecipano a Mosca al “prelievo” del fisico atomico Yegov, e poi in Australia alla liberazione di un gruppo di scienziati rapiti dai “mostri verdi”. Infine, come ricompensa per il coraggio dimostrato, ottengono il privilegio di entrare in Agarthi, il leggendario “Regno Proibito”, e incontrare il “Re del Mondo”, l’androide che da tempo immemorabile vigila sulla salute dell’umanità.
Quelli della Stella Polare è dunque un libro che amalgama elementi fra loro molto eterogenei, ma lo fa con esiti piatti e mostrando purtroppo tutti i segni del tempo.
Guieu era un ufologo appassionato, convinto sostenitore della spiegazione “extraterrestre” al fenomeno UFO, e in questo romanzo sembra più concentrato a perorare la sua causa che a salvaguardare la tenuta narrativa. L’intreccio è un continuo pretesto per criticare (e a volte ridicolizzare) le posizioni contro la teoria sui “visitatori alieni”, e per esaltare (ma con un oltranzismo a sua volta risibile) quelle pro.
Le incongruità sono molte, già a partire dalla caratterizzazione dei protagonisti e dalle loro interazioni.
I personaggi che supportano Kariven e Zimko sono fotocopie prive d’identità. L’unica funzione riconoscibile di Robert Angelvin e Michel Dormoy, i compagni di mille avventure di Kariven, è quella di elevare ogni tanto da due a quattro il numero dei partecipanti ai dialoghi.
I personaggi femminili aggiungono poco di più, solo una spruzzata di malizia. Kariven s’innamora – seduta stante, e ricambiato – di Yuln, sorella di Zimko (del resto come dargli torto? considerando che le belle Polariane indossano una divisa standard composta da stivaletti lucidi alti al ginocchio, bikini, e tunica rigorosamente trasparente!). Stessa sorte tocca alle altre fidanzate predestinate, ossia Jenny, ex compagna d’Università di Angelvin e ora in forza all’Alleanza, e Duniatchka, una giovane moscovita imbarcata estemporaneamente durante la sosta in Russia giusto perché, con Kariven e Angelvin ormai accasati, non si poteva certo lasciar spaiato Dormoy. Bastano qualche intenso sguardo e un paio di battute a testa per formare coppie salde come querce secolari.
Sulla stessa falsariga d’improbabilità viaggia l’impostazione delle due razze aliene.
Tra Polariani e Denebiani esiste un abisso tecnologico che tuttavia pare non incidere sulla durata della guerra. I dischi volanti polariani distruggono sistematicamente quelli denebiani… Con la telepatia Zimko può soggiogare 400 Denebiani in un colpo solo… Vien da chiedersi insomma (lo fa perfino Kariven!) come mai questo conflitto duri da secoli. Nel finale, tanto più, i Polariani si “arrabbiano” e, nel giro di una pagina e mezza, fanno piazza pulita di tutti Denebiani circolanti sulla Terra, erigendo poi intorno al pianeta una barriera capace di tenerli definitivamente lontani. Ma… se era così semplice…
Questi alieni, estremizzati nella loro funzione simbolica (buoni e belli contro brutti e cattivi), non sono convincenti neanche come stereotipi. Di persona, Kariven assiste a un’unica uccisione operata dai terribili Denebiani: gli astuti mostri verdi, tentando di eliminare l’antropologo, gli sparano da breve distanza con un raggio termico, ma sbagliano clamorosamente mira e carbonizzano una povera vecchietta che passava di lì per caso! Viceversa, Zimko e compagni, che si proclamano “apostoli della non-violenza”, tra dischi volanti abbattuti, nemici morti “sparati”, lobotomizzati o telepaticamente costretti al suicidio, compiono un’autentica piccola strage; e “piccola” solo se nel conto si lasciano fuori i 400 prigionieri Denebiani catturati da Zimko, i quali – candida ammissione dello stesso Polariano – sono destinati ad essere tutti disintegrati perché… se lo meritano. I concetti di “saggezza” e di “civiltà illuminata” sono piuttosto soggettivi in quest’opera.
Le incongruenze, fatalmente, influiscono anche sul ritmo narrativo, poiché l’inadeguatezza dei cattivi permette ai buoni di portare a termine le imprese con una facilità irrisoria, togliendo ogni pathos.
Nella colonna dei pregi occorre certo menzionare un (peraltro non troppo lineare) sentimento antimilitarista, una decisa presa di posizione contro il nucleare bellico, diverse allusioni più o meno maligne sui malgoverni, sui particolarismi, sulla Guerra Fredda, sui vari servizi segreti… Ma questo può forse bastare per vincere il fantomatico “Grand Prix du Roman de Science-Fiction”, non certo per fare di Quelli della Stella Polare un’opera memorabile.
Per attribuire un significato meno vuoto agli eccessi di questo romanzo occorrerebbe considerarli in chiave satirica, tutti, globalmente. Ecco allora che troverebbe una giustificazione anche l’aspetto più sconcertante: il fatto che, a nemmeno 10 anni dalla fine della II Guerra Mondiale, Guieu possa scrivere con tanta disinvoltura e convinzione di “Segni”, di predestinazione, di individui prescelti, di Homo Superior, in quella che – pur con tutte le attenuanti derivate dal contesto fantascientifico e dal fatto di rappresentare una finzione letteraria – suona come un’apologia del concetto odioso di “Razza Eletta”.
Di questa eventuale ironia tout court, però, si fatica davvero a rintracciare l’intenzionalità.