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1
Ricordava molte cose della sua permanenza nel grembo materno.
Quando vi era ancora racchiuso, cominciò ad accorgersi dei rumori e dei sapori. Erano sensazioni prive di significato, per lui, ma le ricordò. Quando si verificarono di nuovo, lo notò.
Quando si sentì toccare, si rese conto che era una novità… un’esperienza nuova. Sulle prime ne fu sorpreso, poi confortato: il tocco gli penetrava nella carne senza causargli dolore e lo calmava. Quando il tocco si ritrasse, lui provò un senso di perdita, quasi fosse per la prima volta abbandonato a se stesso. Quando lo sentì tornare, fu contento: anche quella era una sensazione nuova. Dopo aver provato quell’esperienza varie volte, imparò il significato dell’attesa.
Non conobbe il dolore, finché non arrivò per lui il momento di nascere.
Sentì e assaporò i cambiamenti che avvenivano intorno a lui: il lento capovolgimento del proprio corpo, poi la spinta improvvisa in avanti, la compressione prima della testa e subito dopo, gradualmente, di tutto il corpo. Provò un dolore sordo… distaccato, in un certo senso.
Tuttavia non ebbe paura. Sentì che i cambiamenti erano giusti, che avvenivano nel momento più adatto, quando ormai il suo corpo era pronto. Si sentì spingere da contrazioni regolari, confortato di tanto in tanto dal tocco del suo compagno familiare.
Vide la luce!
All’inizio, quella vista gli procurò un lampo di sorpresa e di dolore. Non poteva sfuggire alla luce, che divenne più intensa e più dolorosa, e raggiunse il massimo quando le contrazioni terminarono. Avvertì con tutto il corpo la luminosità aspra e cruda. In seguito, l’avrebbe ricordata come calore, come bruciore.
Si accorse che di colpo la luce era sparita.
Qualcosa l’aveva attenuata. Vedeva ancora, ma la vista non era più dolorosa. Adesso gli strofinavano il corpo con gentilezza e lo sommergevano in qualcosa di morbido e confortevole. Non gradì di essere strofinato. Quel movimento sembrava far sobbalzare la luce, farla svanire e poi ricomparire. Ma sentì che la presenza familiare lo toccava, lo sosteneva. Sentì che restava con lui e l’aiutava a sopportare senza timore lo strofinio.
Fu avvolto in una cosa che lo toccò in tutto il corpo, tranne il viso. Non gradì la sensazione di peso che quella cosa gli procurava, ma scoprì che escludeva la luce e non era dolorosa.
Sentì che un’altra cosa gli toccava la guancia e girò la testa, spalancando la bocca, per prenderla. Il suo stesso corpo sapeva che cosa fare. Succhiò, e fu ricompensato dal cibo e dal sapore di carne familiare quanto la propria.
Per un certo periodo ritenne che fosse la sua, perché era con lui fin dall’inizio.
Udì delle voci, distinse i singoli suoni, anche se non ne capì il significato: ma ne fu attratto e incuriosito. Li avrebbe ricordati, in seguito, quando sarebbe stato in grado di capirli. Ma trovò piacevoli quelle voci sommesse, anche senza sapere che cosa fossero.
— È bellissimo — disse una voce. — Sembra assolutamente umano.
— I suoi tratti sono in parte solo decorativi, Lilith. Già adesso i suoi sensi sono disseminati per tutto il corpo, molto più dei tuoi. Lui è… meno umano delle tue figlie.
— L’avevo immaginato. So che il tuo popolo si preoccupa ancora dei maschi di madre umana.
— Sono sempre stati un problema irrisolto. Ma credo che ora siamo arrivati alla soluzione.
— I suoi sensi sono a posto, vero?
— Naturalmente.
— Non credo di poter pretendere di più. — Un sospiro. — Devo ringraziarti per avergli dato l’aspetto che ha? Per averlo fatto somigliare a un essere umano, in modo che possa amarlo… almeno per un certo periodo?
— Non mi hai mai ringraziato, prima d’ora.
— No.
— E penso che continuerai ad amare i tuoi figli anche quando cambieranno.
— Non è colpa loro, se sono così… o se diventeranno diversi. Sei sicuro che tutto sia a posto, vero? Che tutti i frammenti mal assortiti che lo compongono siano uniti nel migliore dei modi?
— Niente in lui è mal assortito. È un bambino in perfetta salute. Avrà lunga vita e la forza necessaria per sopportare quello che il destino gli riserva.
2
Seppe chi era. Akin.
Quando quel suono veniva emesso, c’erano cose che lo toccavano. Riceveva conforto o cibo, oppure era tenuto in braccio e riceveva i primi insegnamenti. Gli veniva insegnata la comprensione diretta, da corpo a corpo.
Giunse a prendere coscienza di se stesso, come individuo ben definito, separato dalle altre sensazioni che gli colpivano tutti i sensi. Era Akin.
Ma ben presto si rese conto di essere anche parte delle persone che lo toccavano, di trovare in loro frammenti di se stesso. Lui era Akin, ed era anche gli altri.
Imparò in fretta a distinguere questi altri, usando il tatto e il gusto. Impiegò un tempo maggiore a distinguerli mediante la vista o l’odorato. Il tatto e il gusto erano per lui quasi una sensazione sola, che gli risultava familiare da tempo.
Fin dalla nascita aveva capito che nei suoni c’erano differenze. Adesso cominciò a collegare a quelle differenze ogni singolo individuo. Quando, alcuni giorni dopo la nascita, imparò il proprio nome e fu in grado di pronunciarlo, gli altri gli insegnarono il loro nome. Lo ripetevano quando vedevano che lui era attento. Lasciarono che osservasse come le loro labbra formavano le parole. Lui arrivò in fretta a capire che poteva chiamare ciascuno di loro servendosi di uno solo o di entrambi i gruppi di suoni.
Ooan Nikanj, Mamma Lilith, Ty Ahajas, Ishliin Dichaan, e quella persona che non veniva mai da lui anche se Ooan Nikanj gli aveva insegnato come distinguerla al tatto, al gusto e all’odorato. Mamma Lilith gliene aveva mostrato un’immagine-impronta, che lui aveva esaminato con tutti i suoi sensi: Papà Joseph.
Chiamò Papà Joseph e venne invece Ooan Nikanj: gli insegnò che Papà Joseph era morto. Morto. Non c’era più. Era andato via, non sarebbe più tornato. Tuttavia era stato parte di Akin, e Akin doveva conoscerlo, come conosceva tutti i suoi genitori viventi.
Akin aveva due mesi quando fu in grado di mettere insieme delle frasi semplici. Non era mai stanco di farsi tenere in braccio e di imparare.
— Impara più in fretta di quasi tutte le mie figlie — commentò Lilith, stringendolo a sé per fargli prendere il latte.
Akin avrebbe trovato difficoltà a imparare da quella pelle liscia che non gli offriva nessun aiuto, se non gli fosse stata familiare quanto la propria…
Tit. originale: Adulthood Rites
Anno: 1988
Autore: Octavia Estelle Butler
Ciclo: Ciclo della Xenogenesi (Xenogenesis Trilogy) #2
Edizione: Mondadori (anno 1988), collana “Urania” #1089
Traduttore: Gaetano Staffilano
Pagine: 192
Dalla copertina | Il genere umano si è autodistrutto e soltanto l’intervento degli Oankali, gli enigmatici alieni che vagano nel cosmo alla ricerca di nuovi ceppi genetici, ha consentito il recupero di pochi superstiti, con la speranza che un giorno i loro figli potessero abitare di nuovo la Terra Fin qui la storia di Lilith Iyapo, come narrata in Ultima Genesi, ma ora la Xenogenesi, ovvero la fusione tra l’uomo e gli Oankali, sta per trasferirsi sul nostro pianeta. Akin è il primo figlio maschio di una straordinaria unione: la madre Lilith, il padre morto da quasi tre secoli, a soli due anni possiede già la mente e la voce di un adulto, e quando viene rapito da una banda di umani ribelli ha modo di conoscere anche la vita di coloro che rifiutano il patto con gli Oankali. Solo allora potrà affrontare la sfida nascosta nella condanna genetica del genere umano.