Intervista a Roberto Giancaterina

Roberto Giancaterina – Intervista

Foto, emozioni e misteri da indagare

Nato a Roma, classe 1977, il suo nome è Roberto e la sua “ossessione” – come racconta egli stesso – “è sempre stata quella di poter fermare il tempo e poter mostrare agli altri cose che a volte le parole non riescono a esprimere”. Assecondare questa attitudine l’ha portato a scoprire il mondo della fotografia, prima da autodidatta, poi frequentando corsi tecnici e di postproduzione, e infine completando la sua formazione professionale attraverso esperienze collaborative con fotografi importanti. Oggi, al suo lavoro di freelance per varie riviste e alle attività fotografiche più ‘tradizionali’, affianca ricreative incursioni nell’universo della Fantasia, cimentandosi con servizi di cosplay, ritratti di personaggi fantasy, foto in costume d’epoca e in armatura… C’è poi qualcosa di molto particolare che lo avvicina ancor più ai nostri temi, quelli del fantastico e della fantascienza: Roberto è infatti membro attivo degli Hunter Brothers, uno dei gruppi di ricerca e investigazione sul paranormale più conosciuti d’Italia. È con molta curiosità, dunque, che ci accingiamo a intervistarlo…

LC | Cominciamo con una domanda di rito, ossia una tua presentazione: se dovessi descriverti con un tweet di 140 caratteri, quali parole useresti?

RG | Sono Roberto Giancaterina, fotografo, originario di Roma, adoro la fotografia in tutte le sue forme perché aiuta a mantenere vivi i ricordi.

LC | Quando e in che modo hai maturato la passione per la fotografia? Quale è stato il percorso formativo che ti ha portato a divenire un professionista del settore e quali sono i tuoi riferimenti in questo campo?

RG | Ho maturato questo interesse quasi per gioco: durante le escursioni con gli amici io ero ‘quello con la macchina fotografica’, anche se, in effetti, si trattava di una semplice compatta economica. Poi ho continuato su questo percorso con il gruppo di ricerca sui fenomeni paranormali, gli Hunter Brothers: quando ognuno ha scelto un settore specifico su cui concentrarsi, io ho optato per la fotografia. Così ho iniziato a studiare per migliorare le mie tecniche e la mia attrezzatura – spesso infatti ci ritrovavamo a girovagare di notte, con la necessità di scattare foto in situazioni estreme e con scarsa luminosità. Successivamente mi sono documentato sull’analisi fotografica del materiale ‘particolare’, sia quello da noi reperito durante le nostre indagini sia quello inviatoci dalla gente che richiede nostre consulenze e verifiche.

Ho poi avuto l’occasione di collaborare con alcuni fotografi professionisti e imparare da loro, molto e velocemente, anche se le ispirazioni maggiori giungono sempre dalle opere dei grandi fotografi del passato e dalla loro capacità di immortalare nei reportage il ‘momento giusto’.

LC | Di cosa ti occupi attualmente come fotografo?

RG | Oggi lavoro come freelance in collaborazione con alcune riviste di settore, in particolare automobilistico, inoltre mi occupo di fotografia di matrimoni, di book fotografici, reportage e scatti di moda.

E non scordiamoci la mia pagina personale e il mio sito, che utilizzo e tengo aggiornati per promuovere a 360 gradi le mie attività.

LC | Hai all’attivo qualche collaborazione con nomi noti?

RG | Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere vari personaggi pubblici e del mondo dello spettacolo, per lo più scrittori, giornalisti, sportivi, con alcuni dei quali ho instaurato un rapporto di amicizia e collaborazione. Questo è uno degli aspetti migliori della mia professione: permette di viaggiare parecchio e di conoscere tante persone, ognuna con la propria storia. Tra tutti, ricordo con piacere il cantautore Anonimo Italiano, nome d’arte di Roberto Scozzi, con il quale abbiamo collaborato in diverse occasioni, e Claudia D’Amico, modella e attrice di cinema e teatro.

LC | Qual è la strumentazione a cui di solito fai ricorso, quella indispensabile per svolgere al meglio la tua professione?

RG | In effetti, l’attrezzatura necessaria per il mio lavoro è tantissima. Più di ogni altra cosa sono però il colpo d’occhio e la tranquillità a risultare fondamentali, oltre a una buona reflex e, sicuramente, a un buon obiettivo pronto e reattivo, all’altezza nelle peggiori condizioni. Per me scattare foto rappresenta un piacere e, proprio per questo motivo, cerco di svolgere il compito con serietà ma senza rimetterci in serenità e voglia di divertirmi.

LC | A livello di software, escludendo effetti e correzioni introdotti dall’elettronica installata nelle fotocamere, utilizzi specifici applicativi per impreziosire le foto scattate e aggiungere effetti particolari?

RG | Principalmente, tranne in rari casi, utilizzo il formato RAW che, unito ovviamente all’utilizzo di software appositi, permette di gestire ed eventualmente recuperare le molte informazioni racchiuse nel file. Tuttavia, a parte le correzioni di base, in linea di massima preferisco mantenere le mie foto più naturali possibili.

LC | Quali sono gli elementi che determinano la qualità e il valore artistico di una fotografia?

RG | Penso che una buona foto sia determinata non solo dal soggetto, ma anche da una serie di accorgimenti che insieme ne esaltano la bellezza. Il fotografo è un regista, non deve limitarsi a scattare e basta. Avendo la possibilità di farlo, sta a lui curare il set, valorizzare i colori, considerare la luce e l’angolazione da cui arriva, suggerire l’espressione del soggetto, la disposizione di eventuali oggetti e arredi. In generale, quando ci soffermiamo a guardare una foto, ci focalizziamo sugli elementi disposti al centro o in primo piano, ma un occhio più attento sa apprezzare tutto il complesso e il lavoro che precede lo scatto.

LC | C’è qualche soggetto o paesaggio in particolare, anche del passato, che ti piacerebbe ritrarre?

RG | Personalmente adoro la fotografia naturalistica e paesaggistica, perché permette di stare all’aria aperta, di visitare luoghi bellissimi e catturarne l’essenza. In fondo, mi piace perdermi in lunghe passeggiate e vagare senza una meta precisa, fotografando qua e là quello che più mi ispira; anche se, va detto, questo tipo di fotografia richiede molta pazienza e capacità tecnica, e non è mai facile riuscire a ottenere ottimi scatti. Per questo, quando vedo le meravigliose foto di alcuni miei colleghi, rimango stupefatto; io, su questo campo, ammetto di avere ancora un po’ di pratica da fare.

LC | Quali sono le fotografie a cui sei più affezionato, di cui ricordi qualche aneddoto particolarmente significativo, in positivo o in negativo?

RG | Probabilmente le foto che più ho nel cuore sono quelle scattate per un reportage pubblicato in due parti sulla rivista Cronaca Vera, relativo alle manifestazioni del 2013 avvenute davanti Montecitorio sull’onda delle vicende delle cellule staminali. Ero a Roma con un mio amico, ed era molto tardi; casualmente passammo davanti a Montecitorio dove notammo alcune persone accampate vicino a dei cartelli. Alcuni di loro dormivano su brandine da campo ed erano accudite da altri, che le vegliavano. Si potevano notare sedie a rotelle e aste per le flebo. Ho scattato solo un paio di foto, poi siamo andati via; solo in seguito ho scoperto che erano dei manifestanti giunti da tutta Italia per protestare a favore delle cure compassionevoli e delle cellule staminali, una vicenda che ha diviso il Paese. Così, appassionato al caso, mi sono fermato con loro per tre giorni, documentando le loro condizioni di vita e conoscendo persone fortissime nonostante la malattia, disposte a sacrificarsi fino a lasciarsi morire per il bene di una causa comune.

LC | In un mondo sempre più tecnologico, dove fotocamere alla portata di tutti e smartphone dotati di ogni tecnologia fanno credere a ciascuno di noi d’essere un fotografo provetto, quali sono, in realtà, le caratteristiche che identificano effettivamente un professionista del settore?

RG | Vero: la tecnologia ha fatto passi da gigante e si vendono ottimi prodotti capaci di produrre altrettanto ottimi risultati… ma sempre in automatico! Anche a me è capitato di usare fotocamere compatte o smartphone, apprezzando la loro qualità e soprattutto la comodità dell’averli sempre a portata di mano. Purtroppo, nonostante si continui ad aggiungere megapixel – che non sono tutto in una fotocamera! –, questi dispositivi scattano bene in situazioni ottimali ma sono carenti in situazioni più difficoltose e meno ordinarie. Inoltre ci si affida interamente al software della macchina al quale non è permesso di tentare approcci estremi o di valutare altre ipotesi, a differenza di una buona reflex che invece consente, tramite le impostazioni manuali, di poter lavorare e ottenere risultati di ben altro livello. Ne approfitto anche per far mio il pensiero di una collega fotografa: “non è sicuramente la macchina a fare una buona foto, ma l’occhio del fotografo che sta dietro”.

LC | Cambiando argomento, tra i soggetti da te immortalati vi sono anche cosplayer. In quale occasione hai iniziato questo tipo di servizi fotografici? Partecipi spesso a fiere del settore?

RG | Quello dei cosplayer lo conoscevo come fenomeno, ma non avevo mai avuto un contatto diretto con qualcuno di loro finché non mi sono recato a un evento presso la fiera di Roma. Questo succedeva circa tre anni fa e, per me, è stato come trovarmi in un mondo parallelo nel quale ‘quello strano’ ero io. L’aspetto che più mi ha colpito è stato notare come i cosplayer fossero disponibili, quasi alla ricerca di chi li immortalasse, e per alcuni c’era anche la fila da fare! Una sorta di paradiso per qualsiasi fotografo. Con alcuni di loro ho mantenuto i contatti, così ho potuto rivederli anche nelle successive edizioni approfondendo la loro conoscenza e scoprendo che, anche al di fuori della fiera, sono fortemente attivi. Ma ti dirò di più: ho intuito che i personaggi da loro interpretati rappresentano proprio una parte di loro, forse quella più vera, quella che possono mostrare solo in certe occasioni.

Tutt’oggi, dicevo, sono in contatto con molti di loro e ne approfitto per salutare Valerio Bertocco, alias Capitan America, e Matteo Ruzza, alias Jack Sparrow.

LC | Hai mai provato tu stesso a indossare costumi?

RG | No: mi piacciono i fumetti, soprattutto i comics americani, ma non ho mai avuto l’occasione di vestirmi da uno dei miei personaggi preferiti. Dopo le mie esperienze fotografiche con i cosplayer, però, posso dire di essere diventato un appassionato.

LC | Qual è l’aspetto che più ti affascina, oppure quello che detesti, del mondo del cosplay? Nei tuoi scatti, quali sono gli elementi che prediligi far risaltare?

RG | Penso che ogni fotografia sia diversa dall’altra, soprattutto in questo settore dove ogni personaggio sfoggia caratteristiche e peculiarità proprie. Organizzare un set per una foto ‘action’ è sempre molto difficile, e di solito mi piace confrontarmi con il modello da ritrarre per valutare anche i suoi punti di forza e le idee che vuole proporre.

LC | La scelta dell’ambientazione e della scenografia immagino sia fondamentale; effettui tu stesso ricerche sui personaggi o ti basi solo sulle preferenze espresse dai tuoi modelli?

RG | Spesso mi metto a sfogliare le pagine dei fumetti o le varie locandine a cui è ispirato il personaggio da ritrarre, così da prendere qualche spunto, e solo in seguito decidiamo la location.

Ultimamente, per esempio, abbiamo scattato sulle rive del lago di Nemi e nei boschi del viterbese insieme a Manolo Deiana, fondatore della community Il Mondo Ancestrale e realizzatore materiale di alcune bellissime armature molto richieste nel settore.

Alcuni set in studio, vedi quello per Jack Sparrow, sono invece stati possibili grazie alla cooperazione di Ilaria, della B-Mask Costumi & Eventi, la quale ha fornito vestiti e accessori.

Il resto lo fanno i cosplayer, visto che del loro personaggio preferito conoscono a memoria ogni posa e vezzo.

LC | Ha suscitato molto interesse in noi anche la tua attività di ghost hunter esercitata con il gruppo Hunter Brothers. Come e quando è nato questo progetto e chi sono i membri del team?

RG | Questa è una delle esperienze più significative della mia vita. Un giorno, per gioco, insieme ai miei amici fraterni, Sandro e Pasquale Minerva, siamo andati in esplorazione presso le rovine della città abbandonata di Monterano (RM). Ci siamo attrezzati con mezzi di fortuna: una torcia, un paio di coltelli – non si sa mai! –, mentre io, come già accennato, ero quello con la macchina fotografica. Il mese successivo abbiamo deciso di ripetere l’indagine presso un altro posto abbandonato, e poi un altro ancora… Così, col tempo, ognuno di noi si è specializzato in un settore diverso. Ormai sono direttamente le persone a contattarci per chiederci di indagare su casi ‘singolari’, che ad oggi si sono centuplicati. Di pari passo, anche la nostra attrezzatura è notevolmente aumentata in qualità e quantità, così come sono cresciute le nostre capacità collaborando con diversi specialisti del settore.

LC | Cos’è il ghost hunting e quanto è diffuso in Italia o in Europa? Il nostro Paese è terreno fertile per questo tipo di indagini?

RG | Il ghost hunting è una pratica che richiede scrupolo e criterio, anche se, soprattutto negli USA, è molto facile vedere cacciatori di fantasmi improvvisare situazioni senza un minimo di competenza. Siccome le ricerche sul paranormale tendono a calamitare l’attenzione pubblica, anche in Italia questa attività ha trovato terreno fertile. Sicuramente il nostro è uno dei Paesi più stimolanti da questo punto di vista, poiché ha ospitato molti personaggi particolari ed è ricco di posti affascinanti, per cui è facile imbattersi in storie strane o luoghi misteriosi, magari anche sotto casa.

Per ogni fenomeno possono esserci naturalmente mille spiegazioni razionali: noi degli Hunter Brothers amiamo dire che, una volta escluse tutte queste, allora inizia il nostro lavoro. Sono molti i gruppi improvvisati che si ritengono cacciatori di fantasmi, ma io credo che, nonostante si tratti di un’attività avventurosa, resti pur sempre qualcosa da affrontare con metodo e serietà. Per esempio: a volte ci vengono proposti casi di persone che poi risultano essere disturbate o avere problemi, e ci vuole esperienza e capacità per poter gestire e discriminare queste situazioni. Noi puntiamo su qualità e professionalità, motivo per cui le nostre indagini prevedono consulenze e contatti con specialisti, per poter approfondire i casi più difficili e non trascurare argomentazioni scientifiche.

LC | Il ghost hunting è spesso percepito con un certo pregiudizio e scetticismo; immagino invece che la vostra attività sia di stampo pazientemente scientifico, un lavoro di indagine finalizzato a produrre evidenze…

RG | Sì, in effetti spesso ci cantano la canzoncina degli Acchiappafantasmi, e spesso anche noi ci prendiamo un po’ in giro. Quando spieghiamo la nostra attività, spesso evitiamo di parlare di fantasmi, ma più semplicemente perché per noi non lo sono. Parliamo piuttosto di anomalie e ‘variazioni’.

Come primo passo di solito procediamo con un sopralluogo in cui studiamo l’ambiente per valutare quali e quante strumentazioni possiamo portare, e per discutere con gli interessati, in modo da poter approfondire il caso e riportarlo anche agli altri membri del team o a specialisti esterni.

Una volta, per esempio, ci siamo dovuti calare in una cisterna e siamo stati aiutati da una squadra di speleologi. Prima di tutto, viene la sicurezza!

Successivamente effettuiamo più sedute per poter raccogliere il maggior numero di dati: audio, video, rilevazioni fotografiche, ambientali, spettrografi ecc. Non è certo sufficiente riscontrare una piccola variazione in uno di questi elementi per chiudere il caso, è necessaria un’analisi complessa e interattiva per ricavare conclusioni attendibili.

Alla fine, dopo aver raccolto informazioni storiche sul luogo ed elaborato i dati, stiliamo una relazione: ovviamente non sempre è possibile giungere a una spiegazione esaustiva, ma forse a volte è meglio così!

LC | Qual è la reazione da parte di amici e conoscenti riguardo questa tua passione? E quale invece la percezione della vostra attività da parte del pubblico, della Chiesa e delle autorità?

RG | La reazione è sempre la stessa: “Io non ci credo, però una volta…”. Questa è la frase-tipo che spesso ci sentiamo dire. E la mia replica è sempre la stessa: “Se dici così vuol dire che in fondo ci credi!”.

Affrontare questo argomento è quasi sempre difficile e complicato, soprattutto perché l’ambito del paranormale è molto criticato a causa di tantissimi personaggi fanfaroni che puntano alla notorietà manipolando il materiale in loro possesso e speculandoci sopra. Al giorno d’oggi è facile contraffare una foto o un filmato e indurre la gente a credere a cose non vere. Questo, purtroppo, accade anche in alcuni programmi televisivi che puntano solo alla statistica d’ascolto e al ritorno economico.

LC | A quali strumentazioni fai ricorso per poter tracciare presenze sovrannaturali nei luoghi interessati dalle vostre indagini?

RG | Essendo il mio settore di competenza all’interno del team quello fotografico (anche se ognuno di noi ha un minimo di cognizioni un po’ in tutti i campi), per cercare di rilevare le anomalie ricorro a filtri IR e UV, che servono per ampliare lo spettro visivo; inoltre utilizzo fotocamere termiche per fotografare le variazioni di temperatura e mi occupo di analizzare fotografie anomale o sospette, su cui prima eseguo una scrematura visiva per poi passare all’esame tramite filtri e software appositi.

LC | Nei video delle vostre indagini siete soliti domandare direttamente alle presunte presenze sovrannaturali di accendere luci della vostra strumentazione in risposta a specifici quesiti: come funziona e su quali presupposti si basa tale metodologia?

RG | Si tratta per lo più dei tentativi di metterci in contatto con le anomalie che rileviamo; vengono eseguiti da persone con capacità particolari, cercando di interagire appunto tramite semplici domande. Di norma, prima di iniziare, vengono piazzati tutti gli strumenti utili, fotocamere e videocamere, registratori audio, rilevatori termici, rilevatori di campi elettromagnetici ecc., e viene effettuata prima una misurazione di tutte le strumentazioni e dei parametri ambientali in condizioni normali, per tararle ed escludere le variazioni dovute a cause ‘naturali’. Dopo aver fatto ciò, se un’interferenza viene misurata in contemporanea da più di una strumentazione, allora possiamo dire che il dato è attendibile. Durante le interazioni vengono registrate tutte le variazioni anomale che possono anche essere di temperatura, umidità, pressione, fino a quelle più evidenti del campo elettromagnetico. Il nostro scopo principale è quello di raccogliere il maggior numero di indizi e cercare di analizzarli fino a dove possiamo arrivare con le nostre capacità o con l’aiuto di esperti. Il resto ci piace lasciarlo decidere al lettore, anche per non saltare alle conclusioni in un campo dove non ci sono molte certezze.

LC | Da quanto viene presentato sul vostro portale, avete all’attivo diverse indagini. Quali sono stati i risultati principali che avete ottenuto?

RG | Effettivamente abbiamo avuto modo di effettuare molte ricerche, che abbiamo ritenuto attendibili o comunque rilevanti. Per dovere di cronaca bisogna dire che ogni dieci casi interessanti ce ne vengono segnalati almeno un centinaio che, per vari motivi, non rientrano nella nostra sfera di competenza. La nostra serietà ci ha portato ad essere abbastanza conosciuti nel settore, di conseguenza siamo spesso invitati nei salotti di molte TV nazionali e non solo. Se questa risultato da un lato è positivo, dall’altro presenta inconvenienti spiacevoli, come l’esser contattati da mitomani o da location che cercano notorietà attraverso noi. Insomma avere un fantasma nel proprio castello porta turisti!

LC | Qual è la tua personale idea legata a fantasmi e presenze occulte? Quali sono inoltre gli elementi o le esperienze che hanno maggiormente condizionato questo tuo modo di pensare?

RG | Il mio personale pensiero su questi argomenti è un po’ particolare e forse anche un po’ difficile da spiegare, considerando che ho maturato questa teoria col tempo, grazie al confronto con studiosi del settore. Non vedo i fantasmi come nel comune immaginario: credo piuttosto che tutto sia legato a forme di energia che, per qualche inspiegabile motivo, restano intrappolate nei luoghi, e che in qualche modo possono essere rilevate. Magari in un futuro sarà possibile farlo con maggior precisione, e noi cerchiamo di archiviare le nostre esperienze proprio con l’augurio che prima o poi sarà possibile rispolverarle ed elaborare risposte più certe.

LC | C’è qualche situazione che ti ha procurato particolare inquietudine? Sospetto infatti che, con le vostre indagini, possiate esporvi anche verso sette e praticanti di rituali occulti, che potrebbero non gradire la vostra curiosità…

RG | Ho avuto modo di esplorare posti incredibili e sconosciuti, non accessibili. Abbiamo aperto una cripta nel duomo di Alatri, chiusa da secoli, e siamo scesi attraverso una botola piccolissima dopo averla esplorata con i droni. Con la collaborazione di alcuni speleologi abbiamo effettuato una discesa in una cisterna sotto il castello dei Borgia a Nepi per recuperare i resti di un cavallo forse appartenuto a un cavaliere. Abbiamo trascorso nottate all’aperto in città abbandonate, esplorato le profondità del lago di Scanno e calpestato il suolo dell’isola di Poveglia che si ritiene la più infestata al mondo. Ma alla fine i due episodi più inquietanti li ho vissuti in un’abitazione privata a Pomezia e nella chiesa di S. Andrea a Viareggio.

Siamo andati a Viareggio per un’intuizione, ovvero per raccogliere testimonianze su un caso di cronaca avvenuto all’interno della chiesa durante una celebrazione, quando un uomo con qualche disturbo, a mani nude e senza un apparente motivo, si è strappato via gli occhi dalle orbite. Lui diceva di sentire delle voci nella sua testa. Durante un sopralluogo, in una delle due navate, in una fotografia è apparsa una strana forma nera, con tanto di ombra che non rispondeva alle normali leggi fisiche. Siamo quindi stati invitati successivamente a una trasmissione su Italia 1 per esporre la nostra esperienza e mostrare le foto.

Il secondo caso in realtà era uno di quelli che mi attirava poco. Si trattava della testimonianza di una persona che diceva di sentire nella propria abitazione, di notte, come se qualcuno si sedesse sul suo letto. Personalmente non amo entrare nella vita privata delle persone, ma dopo un primo sopralluogo a cui io non ero presente ci siamo resi conto che il caso meritava maggior attenzione. Così, dopo aver piazzato tutte le strumentazioni, abbiamo tentato un’interazione. Non solo le telecamere hanno ripreso il letto che si fletteva senza che nessuno lo toccasse, come se qualcuno si fosse seduto, ma la fotocamera termica ha rilevato l’impronta di una mano dalla forma particolare, sul punto in cui il letto si piegava.

È difficile dare delle spiegazioni a questi fenomeni, ma sicuramente lasciano un segno particolare in chi, come me, ha potuto assistervi.

LC | Per chiudere, una domanda dai toni più leggeri. Sappiamo che gli Hunter Brothers sono piuttosto attivi tra interviste e pubblicazioni. Cosa puoi segnalarci per i prossimi mesi?

RG | Poiché la mole di lavoro era eccessiva e moltissimi casi risultavano non attinenti, abbiamo deciso di ridurre l’attività e ora ci stiamo dedicando solo ai fatti di maggior interesse. Attualmente stiamo preparando un programma per il prossimo anno con temi nuovi e con seminari. Per ora posso solo lasciarvi con un’anticipazione sull’argomento: si parlerà di esorcismi!

Per concludere l’intervista non posso che ringraziare la redazione di Terre di Confine Magazine per questa opportunità.

Per noi è stato un piacere! Salutando e ringraziando Roberto, ricordiamo che on-line sono raggiungibili il suo sito personale (www.rgphoto.it) e quello ufficiale degli Hunter Brothers (www.hunterbrothers.it), dove i lettori interessati potranno trovare gli indirizzi di contatto e rimanere aggiornati sulle varie attività.