Jonela T. è piccola e bionda, sembra più giovane dei suoi ventotto anni, ma in realtà è fatta di ferro. Merito o colpa di quello che ha passato prima di arrivare in Italia. Ora parla bene la nostra lingua, lavora e vuole studiare da infermiera.
Viene da Nanov, nella regione di Teleorman (Romania), una zona di pianure sterminate, dove la neve in inverno è alta fino al ginocchio e dove ci si sposta ancora a cavallo perché le auto sono da ricchi.
I suoi due bambini sono felici di essere nel nostro paese perché qui mangiano, la playstation ce l’hanno tutti e a scuola i maestri non li picchiano. Quello che Jonela racconta delle tradizioni tra cui è vissuta ha l’atmosfera remota e un po’ inquietante di almeno due secoli fa.
La vita è un po’ diversa dalla nostra, in certe zone della Romania. E io naturalmente le chiedo del più famoso dei suoi “connazionali”. Alla mia domanda, risponde di aver visto il castello di Dracula, naturalmente, come una normale turista. E sorride noncurante come quando noi parliamo del vicino di casa. Ne segue una lunga conversazione, in cui vene fuori molto di quella che è la tradizione rumena dei giorni nostri, e del perché, indubbiamente, la Romania è davvero la culla di tutto ciò che sta attorno alla leggendaria figura del vampiro. Parlando con lei, ascoltandola, ho capito perché questa particolare e spaventosa figura è stata così profondamente associata, nell’immaginario collettivo “moderno”, alla cultura balcanico-slava: il contorno di memorie e usanze, tradizionalmente associate alle creature della notte, è là talmente radicato da divenire parte consueta della realtà. La Romania di oggi è anche e ancora questo: il colloquio che riporto è solo una testimonianza, alla quale naturalmente ognuno darà l’importanza il valore che ritiene opportuno.
Cristina Donati | La Romania è la patria di Vlad Tepes, Dracula per meglio dire. Come viene considerata da voi questa figura?
Jonela T. | Vlad Tepes è conosciuto da noi come lo è anche qui in Italia: un principe, un condottiero che ha sconfitto i Turchi. E che poi è diventato quello che è diventato, un vampiro. Il castello è molto bello (castello di Bran n.d.r), è possibile visitarlo con le guide, e sentirne da loro tutta la storia. Ma è soprattutto la gente del posto che conosce le cose… È lontano da dove abitavo io, ma sono andata a vederlo.
CD | Che cosa è, per un Rumeno, un vampiro? Pensate che esistano ancora o sono solo un mito, una cosa da raccontare?
JT | Non esistono più i vampiri, almeno che io sappia. Non ho mai sentito dire da nessuno “quello è un vampiro”, ma la gente è convinta che siano esistiti. Sono esistiti veramente, ma appartengono ad un’altra epoca, un’epoca meno contaminata. Cerco di spiegarti: prima la gente aveva una fede più pulita, che permetteva di separare esattamente il bene dal male. Quando ancora esistevano i vampiri, si sapeva esattamente cosa era malvagio. E veniva combattuto. Ora non è più così, le persone tendono ad assuefarsi al male, a non riconoscerlo in se stessi e a farlo agli altri. Con tutti i mezzi. Voi qui non credete a queste cose, ma noi sì.
CD | La tua terra è vista folkloristicamente come la patria dei vampiri, con tutto il contorno solito: creature che volano la notte, aglio e paletti. Di tutto questo cosa c’è di vero nelle vostre tradizioni?
JT | I simboli sono quelli, non sono cambiati. Le persone si proteggevano veramente con l’aglio, la croce al collo e anche con gli specchi. Il vampiro ha paura degli specchi. Da noi si coprono gli specchi perfino quando muoiono le persone “normali”, perché lo spirito non vuole essere riflesso. Credere nell’esistenza dei vampiri è una cosa generalizzata in tutta la Romania, ma la zona in cui la convinzione è più forte è quella dove regnò Tepes. È una tradizione tramandata dagli anziani, che erano anche i più esperti a proteggersi. L’uso del paletto c’è ancora da noi, solo, non è per i vampiri. È per gli strigoi.
CD | Ancora oggi esiste la tradizione di piantare paletti nei corpi di persone decedute? Di alcune particolari persone?
JT | Sì, anche se non sono paletti ma ferri. E questo non me lo hanno raccontato, l’ho visto fare con i miei occhi. A coloro che sono strigoi, uomini o donne.
CD | Cosa sono gli strigoi? Da molte parti si legge che i vampiri rumeni si chiamano così, e possono essere sia persone vive che morte.
JT | Gli strigoi non sono vampiri, sono persone vive con la capacità di fare del male. Tra loro c’è chi lo fa volontariamente, ma in genere questo potere agisce senza che lo vogliano. Uno strigoi non beve il sangue, ma se qualcosa gli piace molto lo “prende” con sé, cioè lo fa morire. Può succedere con qualsiasi cosa, una pianta che dà bei frutti, un cucciolo di animale che desiderano avere, una persona bella che li colpisce, una creatura per cui provano molta tenerezza. A uno strigoi i parenti, prudentemente, evitano di far vedere i bambini. Mio padre era uno di loro, e non mi ha mai baciato né fatto alcun gesto d’affetto, per paura di farmi del male.
Gli strigoi nascono con quella che voi chiamate “la camicia”, cioè un pezzo di placenta sul viso, ma il potere compare quando il ragazzo o la ragazza cresce, dopo la pubertà. Non è un bel dono. Essere strigoi vuol dire essere maledetti. Anche se non uccidono, possono fare del male involontariamente, magari quando provano rancore per qualcuno: la persona si ammala senza che i medici possano comprenderne il motivo. È successo ad un collega di mio padre, che gli aveva fatto una brutta azione. Per curare questi malati servono persone “particolari”, che conoscono le preghiere adatte. In genere sono donne anziane, o preti che dicono una messa speciale, in cui il malato deve stare sdraiato a terra.
Gli strigoi sono persone normali che possono fare il male come no, anche senza volerlo. Ma in genere cercano di evitarlo, altrimenti sono destinati a soffrire nell’altra vita.
Il problema è che, dopo la morte, essi ritornano nella loro casa, dalla loro famiglia! E non è affatto una bella cosa! Per fortuna esistono rimedi che da noi quasi tutti conoscono, e allora la gente fa quello che c’è da fare.
CD | Cosa succede quando viene fatto “quello che c’è da fare”?
JT | In genere i parenti sanno se uno di loro è strigoi. Dopo la morte, la persona viene lasciata stare per un giorno, poi vengono chiamate quelle persone “particolari” che dicevo prima. Queste donne o questi preti si mettono intorno al corpo, dicono le loro preghiere e fanno il segno della croce usando olio e vino. Di solito basta questo, ma se non è così, allora prendono un ferro e bucano l’ombelico.
Io questo l’ho visto fare al corpo di mio padre.
Lui è morto in ospedale, ma in Romania non è come qui, per legge i morti vengono riportati a casa. Gli avevano fatto l’autopsia, ma il corpo era ancora caldo e morbido (senza rigor mortis n.d.r). Lui sapeva ciò che era e aveva chiesto che gli fosse praticata tutta la cerimonia, perché era molto potente.
Per piantare il ferro ci vuole molta forza e un martello; e i corpi urlano quando vengono trapassati. Solo in questo modo i morti non tornano e trovano pace.
CD | Urlano?
JT | Sì, fanno un verso forte, una specie di rantolo.
Invece, c’era una mia vicina a cui è morta la figlia di diciotto anni… Nessuno sapeva che fosse strigoi, e quindi nulla è stato fatto al momento della morte. In seguito, la gente pensò che la madre fosse impazzita, quando disse che la figlia ogni notte tornava a chiamarla piangendo. Alla fine dei preti sono andati nella sua casa, ed hanno visto e sentito quello che vedeva e sentiva lei. Così è stato chiesto il permesso alle autorità per aprire la tomba. Sono venuti i judecatori (ufficiali di polizia) a farlo, e c’ero anch’io perché la cosa è pubblica. La ragazza era rovesciata a faccia sotto e il corpo ancora caldo, sembrava che dormisse. In questo caso le preghiere non sono bastate, e i preti hanno dovuto usare il ferro. Anche la mia bisnonna era strigoi. Quando è morta, è stata seppellita normalmente, ma poi è tornata. Io ho visto volare piatti e soprammobili, e si accendersi la luce in casa senza che nessuno toccasse l’interruttore. Dopo quindici giorni dalla morte le hanno fatto quella messa speciale, e tutto è tornato a posto. Poi, però, bisogna fare altre cose.
CD | Cosa?
JT | Dopo il funerale, si mette sulla bara una croce fatta di aglio. Poi si fa un piccolo altare all’esterno dalla casa coperto da un bel tovagliolo, con sopra due bicchieri, uno di acqua e uno di vino, che vanno riempiti tutti i giorni, perché la mattina sono mezzi vuoti. Il vino rappresenta il sangue; bisogna dissetare l’anima, altrimenti essa torna e te lo chiede. Questo mi è stato raccontato, non l’ho visto io. È successo ad una signora che conoscevo.
CD | Tu sei cristiana ortodossa. Quando parli di preti, intendi sacerdoti consacrati dalla chiesa?
JT | Sì, certo! Sono i nostri preti. E ci credono in queste cose. Aiutano a togliere le maledizioni. Tutti i venerdì fanno delle messe speciali per questo scopo. Anche le vrajitoare (streghe/maghe) fanno la stessa cosa, loro usano molto la farina, l’incenso e l’acqua santa… tolgono le maledizioni. Ci sono intere famiglie rovinate da queste fatture. Io però da loro non ci sono mai andata. Essere strigoi si trasmette col sangue. Io non lo sono, e spero nemmeno i miei figli..
CD | Molti Rumeni ora vivono in Italia. Anche qui continuano queste tradizioni?
JT | Non so, non penso. Voi avete un modo diverso di pensare e di vedere le cose. Sembra che vi vergogniate di credere… Io, forse, in agosto torno in Romania per i permessi; se vieni con me, ti faccio conoscere le persone giuste. Ti faccio vedere di persona.