Schegge di Mondi Incantati

Schegge di Mondi Incantati

Il trofeo letterario RiLL (Riflessi di Luce Lunare), nato nel 1994, è divenuto nel corso degli anni uno dei concorsi più prestigiosi legati al fantastico.

La selezione si presenta come un vero e proprio trampolino di lancio per giovani talenti; l’edizione di quest’anno, in tal senso, non si smentisce, offrendo racconti di buon livello e tra i giurati nomi illustri del calibro di Donato Altomare, Valerio Evengelisti, Mariangela Cerrino, Luca Trugemberger e Massimo Mongai.

Tra le opere finaliste, colpisce particolarmente “I miracoli di Porta Metronia” di LUIGINA SGARRO, seconda classificata: una storia originale capace di donare un sorriso, che ha come unico elemento fantastico un fantomatico “miracolo”, in realtà, tale solo per certe sue manifestazioni folkloristiche. Quante volte la nostra società crea miti e divinità fasulle? In questa circostanza, potremmo dire, tali divinità hanno avuto una rappresentazione concreta nel mondo reale.

Meno brillante lo scritto vincitore, “Codice Yetzirah”, opera a due mani di PAOLA URBANI ed EMANUELE VIOLA, madre e figlio. Troppo lento e “criptico” l’incipit del racconto, al punto che gli autori all’inizio hanno dovuto fornire, loro malgrado, eccessive informazioni, e si sa quanto ciò possa essere deleterio. La zampata finale, in ogni modo, risolve ogni cosa per il meglio, chiarificando tutte le ambiguità che il lettore potesse avere.

Un po’ troppo intimistico è il racconto terzo classificato, “La mia bara” di ELVEZIO SCIALLIS: manca nella storia, consapevolmente, l’azione; ogni cosa viene trasmessa al lettore dagli occhi dell’indefinibile protagonista; tuttavia, anche in questo caso, i punti oscuri verranno risolti dal finale, a sorpresa fino un certo punto.

La conclusione deputata a svelare ogni cosa è l’aspetto che accomuna tutti i racconti vincitori, e non fa eccezione nemmeno lo scritto quarto classificato di FABRIZIO BONCI, “Dal taccuino di un carcerato”. Anche questa è un’opera la cui trama entrerebbe nella quotidianità, se non intervenisse il finale, questa volta davvero inatteso.

I racconti dei giurati seguono quelli in concorso, e qui iniziano le note dolenti: per carità, sono tutte opere ben scritte, ma appaiono di norma decisamente inferiori alle precedenti, forse per via della mancanza di stimoli forniti da un vero e proprio agone.

Quando poi – come nel caso di questi racconti – la sorpresa supera certi limiti, viene meno anche la “sospensione di incredulità”. Si rimane per esempio negativamente spiazzati dall’inatteso risvolto conclusivo del racconto di DONATO ALTOMARE, “Agnese, dolce Agnese”. Lo stesso può dirsi per “L’Attesa” di ANDREA ANGIOLINO, un vero e proprio ricettacolo di occasioni perdute: presenta, infatti, una serie di ingredienti che, seppur non originalissimi, avrebbero potuto essere sfruttati meglio: un impero in declino, barbari incombenti, una biblioteca come ultimo rifugio del sapere… Ma tutto ciò si perde, potremmo dire, nell’acqua, diluito in un finale oltremodo inconsistente, solo per la futile soddisfazione di voler stupire il lettore con qualcosa di non previsto.

Anche MARIANGELA CERRINO, una delle più importanti scrittrici fantasy del nostro paese, ha nelle sue corde opere migliori di “Dono”: quando si descrive un mondo che ha come punto di forza un “custode del potere”, questo “potere” dovrebbe conservare una certa attinenza con la realtà descritta dall’autrice, un’influenza sulla sua quotidianità, invece salta fuori come il coniglio dal cilindro proprio nel finale, con l’inevitabile caduta di braccia…

Nulla di inaspettato avviene, invece, nel racconto di GORDIANO LUPI, “La casa scomparsa nel bosco”: si gioca sul consueto e abusatissimo senso di scetticismo che anima il prossimo di fronte all’evento soprannaturale. Una cosa normale nella realtà, ma in letteratura questo espediente è stato usato davvero troppo spesso.

Pollice verso anche nei confronti dell’opera di SERGIO VALZANIA “Ego Tami Spo”: bella l’idea di trasportare nel futuro la Guerra del Peloponneso e la battaglia di Egospotami che segnerà con la sconfitta ateniese la fine del conflitto, ma quando si spingono i parallelismi anche sul piano tecnologico, si rischia di cadere nel ridicolo o di alimentare l’incredulità del lettore. Scrivere Fantascienza necessita, attualmente, anche di un buon background tecnico-scientifico, e francamente questo bagaglio non traspare nel suddetto scritto.

Svettano decisamente sulla mediocrità generale i racconti di MASSIMO PIETROSELLI e di MASSIMO MONGAI. Della “Fobia di Edgar Allan Poe” di Pietroselli si è particolarmente apprezzata la struttura: presentare un’opera quasi fosse un articolo scientifico denota un indubbio coraggio… e fiducia nel lettore, che per la noia potrebbe anche abbandonare il racconto prima che ne siano svelati gli esiti. Mongai è, invece, semplicemente un autore geniale e originalissimo, e lo dimostra ancora una volta con il suo “Simbionte” dai toni vagamente erotici.

Decisamente buono è anche il racconto di GIULIO LEONI “Un delitto al tempo delle meraviglie”, che ci accompagna con sagacia in un mondo dove nuovi meccanismi e tecnologie sono in grado di svelare i crimini più cruenti. L’unico appunto è, ancora una volta, legato alla “sospensione di incredulità”: i vaghi riferimenti all’astrologia rendono le cose leggermente inverosimili, ma è solo un accenno.

Purtroppo, con “L’ultimo marinaio di Capo Horn” di FRANCO CUOMO, si ritorna in caduta libera. Nel valutare l’efficacia di un proprio racconto, a volte è bene farne un riassunto e domandarsi poi se anche in quella forma l’idea risulta efficace. Ebbene, se si dovesse riassumere in poche parole lo scritto di Cuomo, si potrebbe descriverlo così: la vicenda di un marinaio e della sua strana “camminata”. L’opera non offre molto di più.

Ciò che lascia ad ogni modo perplessi riguardo questa edizione della raccolta è il fatto stesso di aver dato spazio alle opere di alcuni membri della giuria. Ci si chiede a che pro. Certo, tra loro sono compresi anche i vincitori dell’anno passato, ma sarebbe stato preferibile che fossero state messe in evidenza opere di altri partecipanti. Si partiva, nella XIII edizione, da ben 170 autori e da 206 scritti: tra tanta abbondanza, non era possibile offrire qualche altra primizia inedita meritevole?

L’ultima parte di questa antologia presenta una sorta di sfida: sono proposti diversi racconti costruiti tutti su dei precisi personaggi anticipatamente scelti da alcuni giurati. Anche in questo caso, purtroppo, gli esiti non si sono rivelati sempre esaltanti. Evanescente l’opera di GIOVANNI BUZI, “Evangeline”, tutto sommato poco originale e priva di spessore. Leggermente meglio “Il cacciatore” di FABIO MASSA, apprezzabile almeno per una sua trovata che non svelo, ma che definirei “elettrizzante”. Buono, decisamente buono, il racconto di ALBERTO CECON, imprevedibile per i suoi esiti, ma non al punto da irritare il lettore come nei casi prima menzionati. Senza infamia e senza lode, infine, il “Medaglione” di GRAAZ CALLIGARIS.

Un accenno alla veste editoriale della raccolta mi sembra doveroso. La NEXUS ha pubblicato un agile volume che sembra quasi un fumetto, dall’aspetto piacevole e frizzante; tuttavia, all’occhio del lettore sprovveduto, questa caratteristica può sminuirne l’autorevolezza e relegare la raccolta a “letteratura per ragazzi”. Anche il prezzo, 9,50 euro, è sicuramente popolare.

Per concludere, ci si augura che in Italia venga meno quella diffusa cultura che considera con scetticismo le raccolte di racconti e, in genere, gli autori italiani; purtroppo però, in questo caso, certi pregiudizi appaiono avvalorati dalla forte impressione che diversi contributi fungano da mero riempitivo, impoverendo e svalutando le poche perle presenti.

Non è un fattore positivo, soprattutto se si ha l’ambizione di propagandare la letteratura fantastica.