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1.
– Due banditi, papà. Ore cinque, in alto.
Jerry Adair trasalì udendo la voce della figlia. “Quei figli di puttana sanno come attirare la mia attenzione”, pensò. “Usano la voce di mia figlia. Gli sporchi bastardi.” Tirò la barra laterale dall’impugnatura anatomica e sentì che il suo caccia F-22 s’inclinava in una brusca cabrata. L’avambraccio destro era posato comodamente sul sostegno che lo proteggeva dalle tremende forze g che lo avrebbero messo a dura prova in un volo vero. Col pollice sinistro spinse leggermente il bottone del carburante, e si sentì schiacciare ancor di più contro il sedile imbottito. Sapeva che in realtà era il sedile che si sgonfiava, ma sembrava tutto maledettamente vero.
Articolando appena le parole, mormorò: – Vista panoramica. – La visiera del casco Agile Eye IV si accese, e Adair vide il proprio caccia come un simbolo giallo a freccia posto al centro dell’universo, il muso puntato verso il cielo. Garantito, un paio di simboli rossi stavano avanzando rapidi alle sue spalle, molto lontani, però. Nient’altro nella zona. Nessun agganciamento radar, nessun missile lanciato. Non ancora. Il terreno era un tappeto verde ondulato che scorreva in basso, simile a un cartone animato o a un disegno infantile, coi bersagli potenziali contrassegnati da grandi X rosse.
Maledizione, la tuta anti-g gli stava schiacciando le budella proprio come in un volo autentico. “Come faranno a ottenere questi effetti?”, si chiese.
Adair vide che i due aerei nemici stavano scendendo in picchiata verso di lui. Virò a sinistra e si mise in orizzontale, sperando che lo superassero; così sarebbe scivolato dietro quei bastardi e gli avrebbe scaricato addosso i suoi Sidewinder, Rimase sorpreso dallo sforzo necessario per raggiungere gli interruttori di armamento missili e attivarli. Una crocetta nera letale apparve sul display del casco. Se la croce avesse toccato i simboli dei velivoli nemici, i missili sarebbero partiti automaticamente.
Ma Adair vide che i banditi non lo avrebbero superato. Stavano rallentando, azionando i freni aerodinamici per iniziare un velocissimo gioco di yo-yo e piazzargli in coda. Imprecando, Adair spinse col pollice il comando dell’alimentazione, al massimo, e tirò la barra, cercando di distanziare il più possibile gli inseguitori mentre guadagnava quota. I nemici interruppero subito la loro manovra e lo seguirono.
– Stanno avvicinandosi, papà – lo avvertì la voce della figlia, più acuta, venata di paura.
Adair controllò sul display. – Coordinate di settore – mormorò. Non appena il microfono nella maschera per l’ossigeno captò le parole, all’immagine davanti ai suoi occhi si sovrappose un reticolo coi dati chilometrici.
La missione di Adair consisteva nel colpire gli obiettivi di terra, non nell’affrontare un combattimento aereo. Era solo in cielo, a parte i velivoli nemici; sapeva che nessuno lo avrebbe aiutato. Ma era un pilota da caccia. Il suo impulso primario era quello di sistemare i banditi.
Gli obiettivi di terra non spariranno, si disse, ma se cerco di colpirli, quei due mi fottono.
Virò a destra e andò incontro ai banditi, che erano ancora leggermente sopra di lui. Attaccandoli frontalmente, presentava una sezione trasversale più piccola ai loro radar di tiro e copriva le emissioni termiche dei suoi propulsori. I missili autoguidati a infrarossi come il Sidewinder funzionavano con la massima efficacia quando venivano lanciati stando dietro il bersaglio: di solito seguivano la scia dei gas di scarico del jet fin dentro il condotto del reattore.
Di colpo, i due banditi rossi si moltiplicarono, diventarono quattro; due virarono a destra, due a sinistra.
– Ehi, non è giusto! – gridò Adair.
Nessuna risposta dai controllori alle loro console.
– Volete proprio farmi la festa, eh, figli di puttana? . – borbottò, inserendo la spinta vettoriale e impennando Tf-22 a. sinistra.
I nemici effettuarono un’impennata altrettanto brusca. “Cavolo, devono avere dotato anche quei bastardi di comandi vettoriali”, pensò Adair, mentre osservava due simboli rossi che eseguivano una manovra pressoché identica alla sua. Il torace adesso gli faceva male per lo sforzo continuo, le forze g gli gravavano sulle braccia, lo schiacciavano e gli rendevano difficoltoso il respiro. “Come diavolo fanno a creare effetti simili?”, tornò a chiedersi, sentendo il sudore che gli imperlava la fronte e gli colava negli occhi.
Battendo le palpebre e socchiudendo gli occhi, si abbassò in una mezza vite piatta fingendo un’inversione di direzione, ma invece di completare la manovra si tuffò in una picchiata verticale. Due banditi lo seguirono subito, guadagnando terreno. Gli altri due erano scomparsi dall’immagine panoramica del suo display. Forse era soltanto un piccolo errore del programma, e i caccia nemici sono solo due, pensò. Richiamò bruscamente Tf-22, mentre la tuta anti-g sibilava e gli comprimeva l’addome per impedirgli di svenire. Non dovrebbe succedere, questo, si disse Adair.
Eppure, stava andando proprio così.
– Agganciamento radar! – strillò la voce di sua figlia.
Adair effettuò una virata talmente stretta che gli si oscurò la vista, nonostante la tuta anti-g. I banditi gli rimasero incollati dietro la coda, come se li avessero dipinti in quella posizione.
– Missili lanciati! – gridò la voce femminile. Adair lanciò un razzo, tirò la barra di comando e diede gas al massimo. La spinta violentissima della tremenda accelerazione gli si abbatté sul torace. Gli sembrava di avere i polmoni in fiamme. Sentiva il cuore che gli martellava nelle orecchie, I missili passarono sotto di lui, inseguendo la vivida impronta infrarossa del razzo esca. Adair vide le loro scie come righe rosse brillanti che sfrecciavano attraverso il disegno verde del paesaggio. Sospirò quasi di sollievo.
Ma gli altri due banditi apparvero all’improvviso sul display di fronte a lui. – Agganciamento radar! Missili lanciati! – gridò tutto d’un fiato sua figlia.
Adair rimase esterrefatto. – Merda! Abbandono l’aereo.
Poi arrivò il dolore vero.
I tre controllori all’esterno del finto abitacolo sedevano ai loro posti davanti alle console del sistema di simulazione. A sei metri dai loro banchi, la prora mozza di un F-22 si inclinava e vibrava, mossa da massicci bracci meccanici in grado di capovolgere completamente la cabina del simulatore, se necessario.
I sei metri che separavano i tecnici dal simulatore in cui Adair stava provando il nuovo programma erano percorsi da cavi che serpeggiavano sul pavimento di cemento dell’hangar. Le console avevano un che di improvvisato, come se un venditore di apparecchiature elettroniche le avesse appena scaricate dal camion.
Il segnale acustico d’emergenza cominciò a suonare, facendo lampeggiare la spia rossa al centro della console principale.
– Che diavolo succede?
Il controllore capo, un civile che indossava una tuta sporca un tempo bianca, si rivolse al tecnico dell’Aviazione Militare alla sua sinistra. – Spegni quell’aggeggio!
Il tecnico spostò l’interruttore sotto la funesta spia rossa. Era una ragazza in tenuta di fatica blu ben stirata coi gradi di sergente sulla manica. L’allarme continuò a suonare, echeggiando lamentoso tra le pareti metalliche dell’hangar. La giovane guardò il controllore capo e si strinse nelle spalle.
– Maledizione – sbottò irritato il capocontrollore. Tutti e tre si alzarono in piedi e fissarono l’abitacolo chiuso del simulatore.
– Perché non apre il tettuccio? – chiese il controllore capo, non rivolgendosi a nessuno in particolare.
– Dev’essersi bloccato il dispositivo di sgancio – disse la ragazza.
L’altro tecnico, un caporale, passò sotto i bracci d’acciaio e salì i gradini sulla fiancata dell’abitacolo. Il tettuccio si aprì facilmente, sollevandosi e scivolando indietro senza intoppi, proprio come su un aereo vero.
– Cristo – gridò il tecnico, coprendo l’ululato del segnale d’allarme. – Chiamate la squadra medica, presto!
2.
Susan Santorini era in piedi davanti alla cucina a gas, leggendo attentamente il libretto d’istruzioni che stringeva in mano. – Dan – chiamò poi, la voce leggermente stridula. – Non riesco proprio a farla funzionare, questa stufa.
Angela, sua figlia dodicenne, apparve sulla soglia della cucina, – Papà è in garage.
– Ti spiace chiamarlo, tesoro? – disse Susan. “Prima che cominci a strapparmi i capelli”, aggiunse tra sé, Angela annuì mesta e passò accanto alla madre, dirigendosi verso la porta del portico che collegava la casa al garage. Susan vide che i codini biondi della figlia erano flosci e arruffati. Proprio come mi sento io, riflettè, sola nella nuova cucina che si rifiutava cocciutamente di funzionare.
BENVENUTI A PINE LAKE GARDENS, LA PIÙ MODERNA COMUNITÀ della florida, diceva l’opuscolo del complesso residenziale. Adesso a Susan non sarebbe dispiaciuto un po’ del mondo antiquato che aveva lasciato in Ohio, Almeno, là sapeva accendere i fornelli.
Era una donna esile sui trentacinque anni, abbastanza graziosa da essere stata un’attrice al college, con un naso all’insù sbarazzino, splendidi occhi turchese, e capelli ramati che suggerivano un caratterino pepato. Il bambino si svegliò con uno strillo. Susan gettò l’inutile libretto d’istruzioni sulla cucina e andò nel soggiorno. Altre casse e scatoloni da finire di vuotare. Il piccolo Philip stava…
Tit. originale: Death Dream
Anno: 1994
Autore: Ben Bova
Edizione: Mondadori (anno 1997) collana “Urania” #1314
Traduzione: Piero Anselmi
Dalla copertina | È un’invasione inarrestabile. Un intero mondo elettronico, ricostruito da programmatori nei minimi dettagli, comincia gradualmente a infiltrarsi in quello reale. I servizi segreti brancolano nel buio. Gli scienziati non sanno spiegarselo. Una cosa è certa. Il più sofisticato tentativo di simulazione della realtà ha un terribile effetto collaterale: la morte.