Sunshine

Sunshine

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Anno 2057: il Sole si sta spegnendo. Già da alcuni anni gli scienziati stanno monitorando il progressivo indebolirsi della sua luminosità. L’astronave Icarus 1 aveva il compito di lanciare una bomba nucleare all’interno della stella, per poterla in tal modo ‘riaccendere’. Ma il vascello non ha completato la missione, e non è nemmeno rientrato alla base: ogni contatto radio è stato perso.

Sono trascorsi alcuni anni, la situazione è peggiorata e gli scienziati hanno deciso di tentare un nuovo, ultimo lancio. Otto astronauti sono decollati a bordo della Icarus 2, con lo stesso incarico della missione precedente.

Avvistato, nel corso del viaggio, il ‘relitto fantasma’ della Icarus 1, gli astronauti decidono di effettuare una deviazione dalla rotta prestabilita, allo scopo di recuperare l’ordigno a bordo dell’altra nave e scoprire cosa sia accaduto all’equipaggio.

Durante la manovra, un tragico errore umano provoca l’avaria degli scudi termici, a cui segue l’incendio della serra di bordo. A quel punto ci si rende conto che la riserva d’ossigeno non è più sufficiente a mantenere in vita tutti gli astronauti fino al Sole.

Come se non bastasse, il relitto della Icarus 1 riserva una macabra scoperta…

TERRA-SOLE, SOLA ANDATA

Sunshine è una pellicola atipica: fonde elementi propri della fantascienza catastrofica e di quella horror, ma è prima di tutto un dramma intimista.

È stata girata completamente in interni, e gode di effetti speciali curati quanto basta a risultare verosimili. La narrazione è abbastanza lineare, la macchina da presa si sbizzarrisce poco e segue invece gli eventi utilizzando inquadrature piuttosto tradizionali, quasi da film televisivo. Ovviamente il suo proposito non è quello di spettacolarizzare una tragedia tanto eclatante, o di far saltare la platea sulle sedie.

L’avvio della vicenda appare lento, i protagonisti vengono presentati nella loro umanità, impegnati nella routine che la vita in comune impone loro. Inutile sperare di sapere cosa accada nel frattempo sulla Terra: nulla viene mostrato del mondo in agonia; gli astronauti sono soli nello spazio. La scelta di focalizzare tutta l’attenzione su di loro è un implicito definitivo addio dato alle cose ‘di questo mondo’. Di separazione si parla infatti, in questa pellicola: distacco dalla Terra, dalla vita e forse anche da se stessi.

Fin dall’inizio, la spedizione si presenta complicata e funestata da incidenti imputati a errori umani, a imperdonabili distrazioni; solo dopo l’esplorazione della Icarus 1 si intuisce la presenza malevola di un sabotatore. A quel punto il gruppo, già provato dalle perdite, si domanda chi sia il traditore, come i naufraghi minacciati dal marinaio nazista in Prigionieri dell’Oceano di Alfred Hitchicock. Gli astronauti iniziano ad accusarsi reciprocamente, e i dialoghi danno rilievo alla loro progressiva disumanizzazione, senza creare atmosfere da thriller. Fino alla scoperta del colpevole, la vicenda scorre lenta e opprimente, né in seguito recupera la velocità tipica degli action movie. La catena di massacri manca del ritmo necessario a offrire emozioni ‘facili’, e stesso dicasi della lotta del protagonista, braccato proprio al momento di lanciare l’ordigno.

In realtà niente farebbe presagire l’arrivo di un avversario pronto a sterminare l’intero equipaggio, e l’introduzione di questa ennesima difficoltà potrebbe apparire come un escamotage per prolungare il film fino all’ora e mezza necessaria alla distribuzione nelle sale, un trucco insomma per risollevare l’attenzione degli spettatori.

Le sequenze con la madre che rivede l’ultimo messaggio del figlio hanno un tono un po’ melenso e la conclusione è sbrigativa. Forse sarebbe stato meglio scrivere la parola fine sulla dissolvenza bianca.

UN FILM NON PER TUTTI

Poca adrenalina quindi, e nessun finale consolatorio che permetta di uscire dal cinema sorridenti e rassicurati: la pellicola è solo in apparenza rivolta agli amanti della fantascienza catastrofica.

La locandina di Sunshine potrebbe ricordare quella di Space Cowboys o di Armageddon, ma qualsiasi somiglianza con i più celebri blockbuster si limita all’immagine di presentazione e a vaghe analogie nella trama. Lo spirito che anima il film è radicalmente diverso e lo spettatore ne è messo sull’avviso fin dalle prime sequenze.

La vita sull’astronave è presentata con verosimiglianza. Ci sono serre per la produzione di ossigeno, riserve di acqua e cibo, ingombranti tute da indossare per uscire nello spazio, pesanti paratie, robusti scudi termici, bui corridoi percorsi da cavi, cucine e sale destinate alle momentanee parentesi di relax.

Conosciamo i personaggi principali quando già sono a bordo dell’Icarus 2, e da sedici mesi viaggiano attraverso il Sistema Solare. Sono uomini e donne scelti come ultima speranza per la salvezza del pianeta; ignoriamo se siano volontari spinti dal senso del dovere, dall’ambizione o da motivazioni più concrete. Di certo non è un manipolo di disperati stile ‘sporca dozzina’, con ruoli secondari macchiettistici riservati ad afroamericani e orientali, a donne muscolose o a pin-up tutte curve. A bordo dell’Icarus ciascuno ha le sue competenze specifiche, tutti sono studiosi di diversa etnia, forse appartengono a diverse Nazioni, il che cancella qualsiasi velleità patriottica. Nessuno di loro è descritto seguendo cliché affidati all’aspetto, o a ruoli stabiliti: sono persone ‘normali’, ciascuna ha il proprio carattere, le proprie paure, le debolezze e le vigliaccherie. Queste ultime emergono durante il drammatico viaggio: è un errore umano a dare il via alla catastrofe, ed è umana la brama di sopravvivere, così come il desiderio di morire dell’incauto colpevole.

Ebbene, già prima della metà della pellicola intuiamo che finirà in tragedia. Brevi episodi lasciano presagire che il viaggio è di sola andata: l’ultimo messaggio inviato alla famiglia rammenta per certi versi i video lasciati dai kamikaze talebani, incluso lo sfondo verde che brilla alle spalle del protagonista.

Provati dagli eventi, oppressi dai sensi di colpa e dalla solitudine, i personaggi spesso tirano fuori gli aspetti meno nobili della propria personalità. Litigano, si scambiano accuse, scaricano sugli altri frustrazioni e rabbia mal sopita. La follia piano piano si impadronisce di loro, che reagiscono perdendo gradualmente la loro umanità e il loro eroismo. Chi sceglie il suicidio, chi fa la conta per vedere quale astronauta sia sacrificabile, chi si rifiuta di sacrificarsi per il bene dei compagni e dei terrestri lontani, chi cede al fanatismo religioso e chi non vuole ammettere la sconfitta, chi celebra la vita contemplando un germoglio sopravvissuto all’incendio della serra: nessuno si comporta come un personaggio da film d’azione. Il protagonista stesso appare fragile, lontano anni luce dagli eroi pieni di muscoli guizzanti e certezze incrollabili, invincibili, larger than life.

Poco aggiunge, in questo senso, il colpo di scena che a due terzi della pellicola dirotta il disaster movie verso l’orrore, seguendo le orme di Alien tra cunicoli e corridoi claustrofobici. Il confronto con l’avversario finale mette in luce il mostro che può nascondersi dentro l’animo umano. Follia e fanatismo vengono sconfitti, e il protagonista può andare incontro al proprio destino, in pace, pronto a lasciarsi avvolgere dalla luce.

La conclusione è fedele alle atmosfere create nel corso della vicenda, e giustamente trasgredisce agli stereotipi del cinema di genere.