Anteprima testo
The Trap (2013) di Andrew Fukuda
1
Il treno arriva in pieno giorno. Il sole, alto nel cielo, brucia il deserto del suo biancore accecante. Solo il nero filamento disegnato dall’ombra del convoglio in movimento macchia questa landa riarsa. Il treno rallenta, la fila dei vagoni che sferraglia come farebbero gli anelli metallici di una catena trascinata. Nessuno dei passeggeri – e sono tanti e sono inquieti e sono in piedi, con la schiena rigida e gli occhi pieni di paura – emette un suono.
Un puntolino nero volteggia nel cielo azzurro. È un falco, che fissa incuriosito l’ombra increspata del treno sotto di lui. L’animale stride per la sorpresa quando quella sottile linea nera sprofonda all’improvviso in un’apertura del terreno. Come un serpente che scompare rapido in un buco. Svanito, quasi non fosse mai stato lì.
A una quindicina di chilometri di distanza, oltre una serie di basse colline, c’è un gigantesco edificio circolare il cui diametro misura quanto parecchi isolati cittadini. Se ne sta lì, in un silenzio di tomba, circondato quasi completamente da uno stretto bastione. Un obelisco alto e snello si erge al centro dell’edificio. La punta, dotata di finestre, scintilla sotto il sole con il luccichio di una candela accesa. A parte quello, l’obelisco ha lo stesso colore del deserto, come l’intero edificio. Sopra, dentro o intorno al complesso non si muove nulla. Non a quest’ora del giorno.
Il falco osserva la costruzione con sguardo gelido e impassibile. Poi, con uno stridio repentino, batte le ali e si allontana.
2
Piombiamo nella galleria. L’entrata si spalanca come una bocca malevola che ci inghiotte con avidità. In un batter d’occhio, il nostro mondo fatto di bianco abbagliante e cieli cobalto viene cancellato da un nero assoluto. Un vento caldo, umido e vischioso come una lingua, si avventa su di noi attraverso le sbarre dei vagoni, aggredisce con le sue folate i nostri vestiti, i capelli, le mani serrate, i corpi accovacciati e tremanti.
Sotto di noi, scintille schizzano dalle ruote urlanti del treno in frenata. Siamo tutti catapultati in avanti sul fondo di rete metallica. La paura si leva a ondate ronzanti dai nostri corpi ammassati. Una mano, piccola e appiccicosa per il terrore, stringe la mia. «Non il Palazzo, non il Palazzo, non…», mormora. È una delle ragazze più giovani.
Ieri, dopo che Sissy e io ci siamo ripresi dalla trasformazione (sconfìtta la febbre infernale, ristabilito il fisico dilaniato), abbiamo detto alle ragazze quale sospettavamo che fosse in realtà la nostra destinazione. Non la Civiltà, quel luogo idilliaco di cui avevano sentito parlare dagli Anziani della Missione, la città in cui milioni di umani affollavano le strade e riempivano stadi, teatri, parchi, ristoranti, caffè, scuole e luna-park.
Ma il Palazzo. Dove regna il Governante. Dove, si dice, gli unici umani sono quelli imprigionati nei sotterranei come bestiame nei recinti. E il destino di ciascuno di loro è in balia del vorace e capriccioso appetito del Governante.
Per qualche istante, il treno scivola ancora in avanti lungo la galleria prima di fermarsi con un sobbalzo. Nessuno si muove, quasi bastasse un movimento a innescare la prossima serie di eventi indesiderati.
«State tutti fermi», bisbiglia Sissy accanto a me. «State molto, molto fermi.» Nei tre giorni e nelle tre notti che abbiamo trascorso su quel treno sferragliante, esposti al vento e al sole, il movimento è stato una compagnia costante. Questa immobilità e questo buio, invece, capovolgono il nostro mondo troppo in fretta e troppo drasticamente.
Dallo sportello del vagone risuona un forte scatto metallico. E, per la prima volta da giorni, le porte cominciano a scorrere. Le ragazze più vicine si ritraggono urlando dal varco.
Balzo in avanti e afferro una delle sbarre. Mi piego all’indietro, affondando i calcagni, e tento di fermare l’apertura. Avverto al mio fianco la presenza di qualcun altro che contrasta il movimento dello sportello. È Sissy. Per giorni interi abbiamo cercato inutilmente di forzarlo. Ma adesso, in questa galleria buia che può preannunciare una cosa soltanto, tentiamo di chiuderlo. Anche stavolta, però, i nostri sforzi sono vani. Mentre sbuffiamo, i piedi che raspano in cerca di un appiglio, lo sportello si apre e scatta a fine corsa. Nell’oscurità, sento scatti simili riecheggiare per tutta la lunghezza del treno. Ormai le porte di ogni vagone sono aperte e bloccate.
Un’ondata di freddo ci travolge. Nessuno azzarda un movimento.
«E adesso?» chiede nel buio una voce tremante.
«Nessuno si muova!», urla Sissy, a voce abbastanza alta da farsi sentire fino in fondo al treno. «Restate tutti dove siete!» Sento ciocche dei suoi capelli sfiorarmi il braccio. Sta girando la testa da una parte all’altra, cercando di vedere qualcosa, qualsiasi cosa. Ma non vediamo niente. Potremmo benissimo essere sospesi su un abisso nero. Ed ecco perché Sissy ci ha avvertiti di non scendere. Potremmo scivolare lungo un pendio scosceso o anche precipitare in un dirupo.
D’un tratto, dalla motrice esplode un forte sibilo che ci fa sobbalzare tutti. Un odore pungente di vapore misto a fumo si diffonde nella galleria, penetrando tra le sbarre come cenere fradicia.
Poi cala il silenzio.
Ci stringiamo ancor di più gli uni agli altri, in previsione del suono che nessuno di noi vorrebbe sentire.
«David», dice Sissy. «Getta fuori una delle lattine di cibo.» Lui ubbidisce. Nell’oscurità, sentiamo la lattina atterrare con un tintinnio metallico su una superficie di qualche genere. Rimbalza due volte, rotola e si ferma.
«Restate tutti sul treno!», grida Sissy. «Gene e io andiamo in avanscoperta.» Poi si lascia cadere dall’apertura sul fondo scuro della galleria. La seguo. Il terreno è ghiaioso, scricchiola sotto i nostri piedi. La mia vista si sta abituando al buio e, quando mi giro a guardare il treno, riesco a scorgere le ragazze. Il bianco dei loro occhi brilla leggermente, nella speranza di una parola di rassicurazione. Che non abbiamo.
«Vedi qualcosa?», sussurra Epap. «Sissy?»
«Aspetta.»
Ma lui non la ascolta. Si lascia cadere fuori dal vagone, facendo rumore sulla ghiaia quando tocca terra. Si avvicina a noi con le braccia tese in avanti. «C’è solo una cosa da fare, Sissy. Tornare da dove siamo venuti. Seguiamo i binari a ritroso e usciamo di qui, tutti insieme.»
Ma Sissy scuote la testa. «L’accesso alla galleria deve essersi chiuso dietro di noi. Altrimenti entrerebbe luce e saremmo in grado di vederci meglio.» Ha ragione. Alle nostre spalle non si indovina nemmeno un lontano puntino di luce.
Epap parla, e la sua voce è carica di paura. «Fa lo stesso. Dobbiamo cominciare a muoverci. Da un momento all’altro, i Tenebridi potrebbero…»
All’improvviso, sopra le nostre teste risuona un forte rumore metallico. Sussultiamo tutti. Alcune ragazze si lasciano sfuggire un grido.
E a quel punto appare la luce.
3
Il chiarore si spande da un grande cilindro di vetro che si innalza da terra al soffitto, vicino all’ultimo vagone. Guardo con più attenzione: quella luce morbida emana non tanto dal cilindro quanto dall’ascensore di vetro che ora sta scendendo al suo interno. Come un sipario luminoso che si abbassa, l’ascensore rischiara le pareti bitorzolute della stretta galleria. L’unico marciapiede sopraelevato, all’apparenza intagliato nella roccia, si estende lungo un solo lato del treno, ed è su quella piattaforma che ora ci issiamo Sissy, Epap e io. Esitiamo un attimo, poi ci giriamo verso il rumore di passi che vengono di corsa nella nostra direzione. È David, e la sua mano scivola in quella di Sissy.
L’ascensore di vetro raggiunge il fondo. Per un breve istante, la luce al suo interno tremola. Poi le porte scorrono, aprendosi.
Nessuno si muove. Un crepitio improvviso riempie l’aria, un po’ come le scariche che disturbavano l’impianto di comunicazione interno a scuola. «Attenzione. Tutti i passeggeri che si trovano sul treno devono entrare nell’ascensore. Avete un minuto.» La voce acuta – elettronica come quella di un robot – rimbomba assordante nella galleria e l’eco delle parole rimbalza per tutta la sua lunghezza.
David si gira verso Sissy. «Cosa succede dopo un minuto?», chiede con voce tremante. «Cosa succede, Sissy?»
Lei non risponde e si guarda intorno, perlustrando nervosamente i fianchi della galleria. Si irrigidisce. C’è una fila di porte incassate nella parete in fondo. I suoi occhi, improvvisamente socchiusi, tornano di scatto all’ascensore.
Le ragazze, invece, hanno gli occhi sbarrati per il terrore mentre sbirciano attraverso le sbarre dei vagoni. Cominciano a scendere, e quello che prima è solo un lento gocciolio si trasforma ben presto in una marea umana che si riversa fuori dal treno.
«Cinquanta secondi.»
Sissy afferra la mano di David. «Da questa parte», dice a Epap e a me. «Forza, sbrighiamoci.» Cominciamo a correre verso l’ascensore che brilla di luce bianca.
Le ragazze si muovono a passi malfermi sulla ghiaia della galleria. Nella fretta, e con i loro piedi fasciati, cadono e ruzzolano l’una sull’altra. Gridano tutte, ormai, la loro paura ha raggiunto il punto di rottura.
«All’ascensore!», urlo, agitando con insistenza le braccia. «Presto!» Epap si stacca da noi, si precipita al bordo del marciapiede e comincia a tirare su qualcuna delle ragazze. Ma sono troppe, e il tempo troppo poco. Afferro Epap, cerco di spingerlo verso l’ascensore. Lui resiste.
«Non c’è tempo, Epap!», grido.
«Quaranta secondi.»
Lui sporge la mascella. Solleva un’altra ragazza, poi lascia che lo trascini via. Le ragazze sul marciapiede stanno facendo del loro meglio per correre, ma con quei piedi minuscoli riescono solo ad arrancare. Sissy, Epap, David e io siamo i primi a raggiungere l’ascensore.
«Trenta secondi.»
Per un attimo, ci limitiamo a fissarne l’interno. Il nostro cuore sprofonda. C’è pochissimo spazio, lì, sufficiente per cinque persone al massimo se ci stringiamo molto. L’ascensore non era destinato a trasportare un intero villaggio di ragazze. Entriamo disordinatamente. Non c’è niente, dentro. Nessun pulsante, nessun comando, nessun interruttore. Le pareti sono pannelli di vetro lisci e senza giunture. Esamino in fretta l’esterno. Stessa cosa: nemmeno l’ombra di un comando.
«Venti secondi.»
La fronte di Sissy è solcata da profonde rughe di concentrazione. Poi quelle rughe si distendono, una decisione è stata presa. «C’è ancora spazio per un’altra persona!», urla. «Restate tutti qui. Torno subito!» Si allontana di corsa e scompare nel buio.
«No, Sissy!», grido. «Non c’è tempo!»
Inciampando, una figura sbuca di colpo dall’oscurità. È Cassie, la ragazza con le lentiggini che si è dimostrata un capo per le sue compagne. Epap urla, incoraggiandola a sbrigarsi. Lei si lancia a capofitto nell’ascensore, la bocca deformata da un grido silenzioso. Ed è tutto. Dentro non c’è più spazio. Siamo spalla a spalla.
«Dieci secondi.»
«Sissy!», urlo. «Sissy, torna qui!»
Nessuna risposta. Nessuna traccia di lei. Alcune ragazze annaspano verso la luce che si diffonde, cadendo, strascicando i piedi, gridando. Poi vedo Sissy. È sul marciapiede, curva, tenta di aiutare altre ragazze a salire. Ma, nel loro panico, quelle la afferrano, si aggrappano a lei e, nonostante le sue urla, rifiutano di lasciare la presa. Sissy ne ha cinque, sei, sette appese alle braccia, alle gambe, e non riesce a liberarsi. È in difficoltà.
«Cinque secondi.»
Mi slancio verso Sissy, facendo cadere alcune delle ragazze che sono sul marciapiede. Dietro di me, Epap urla a David di restare dov’è. Afferro Sissy per una spalla, la tiro indietro. Ma ci sono troppe ragazze che si avvinghiano a lei.
Una serie di tintinnii elettronici risuona dalla fila di porte sulla parete in fondo alla galleria. Anche da dove ci troviamo, all’altro capo del marciapiede, quel suono ci dà la scossa. Qualunque cosa debba accadere, sta…
Tit. originale: The Trap
Anno: 2013
Autore: Andrew Fukuda
Ciclo: The Hunt #3
Edizione: Editrice Il Castoro (anno 2014)
Traduttore: Simona Brogli
Pagine: 370
ISBN-10: 8880338188
ISBN-13: 9788880338185
Dalla copertina | Nel mondo violento e spietato dei vampiri, Gene e Sissy hanno scoperto la chiave per uscire dall’orrore: un’arma in grado di ritrasformare quelle creature assetate di sangue in esseri umani. Ma non sanno ancora come usarla, e la sfida sembra impossibile: il treno su cui viaggiano punta dritto verso la metropoli e il Palazzo del Governante, e i rischi che finora hanno corso non sono nulla in confronto a ciò che li aspetta alla meta. Ora più che mai, una sola cosa è importante: Gene e Sissy devono restare uniti, costi quello che costi. Ma nella lotta per la sopravvivenza Gene dovrà fare i conti anche con Ashley June – il suo primo amore – e con i molti segreti che hanno segnato la sua vita e quella di suo padre. Quando la verità sarà finalmente svelata, Gene sarà pronto ad affrontarne le conseguenze?