Timebound - Nel Vortice del Tempo (di Rysa Walker)

Timebound – Nel Vortice del Tempo

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Anteprima testo

Prologo

Chicago – Ottobre 1893

Il tacco dei miei stivali bianchi in pelle di capretto aprì uno strappo di una decina di centimetri nell’orlo della mia gonna mentre giravo l’angolo in tutta fretta. Alle mie spalle, il rumore di passi si fermò per un attimo appena, poi riprese più rapido di prima. Mi precipitai lungo il corridoio che avevo imboccato, imprecando silenziosamente contro gli dèi della moda di fine Ottocento. Se avessi indossato i miei soliti pantaloncini e maglietta, sarei stata fuori da quel maledetto albergo in un batter d’occhio. Un bel calcio alla tempia avrebbe messo fuori gioco il buon dottore, e non avrei sofferto per le lancinanti fitte di dolore al collo.

Continuai a correre lungo il corridoio e svoltai a sinistra alla prima occasione, sperando che il dottore pensasse che avrei preso il percorso più rapido, verso destra. Tre porte più avanti provai a girare la maniglia, nell’improbabile speranza che fosse aperta. Non ebbi fortuna. Mi premetti il più possibile contro la porta e tirai fuori il medaglione. Il suo centro emanava un bagliore che mi circondava di soffusa luce blu. Mi sentii allo scoperto, anche se sapevo che lui non poteva vedere la luce. Quante altre donne aveva attirato in quel labirinto di corridoi durante quell’ultimo anno? Qualcuna di loro era ancora in vita?

Il chiarore tenue della sua lanterna svanì brevemente nel corridoio opposto e poi riapparve nuovamente mentre tornava sui suoi passi, dirigendosi dritto verso di me. Cercai di impedire alle mie mani di tremare, per potermi concentrare sull’interfaccia del medaglione, ma era difficile farlo con il cuore a mille e il collo in fiamme per colpa dell’acido.

Il menù di navigazione comparve brevemente e poi si spense. Cercai di reprimere un’ondata di panico crescente e feci per riprovare ad accedere quando la porta alle mie spalle si aprì e caddi all’indietro nella stanza. Una mano mi coprì la bocca, intrappolando il mio grido prima che lasciasse le labbra. Un’altra mano si mosse verso il mio viso con un panno bianco ripiegato.

Allora tutto mi fu chiaro. Gli orrori perpetrati all’interno di quell’albergo non erano opera di un folle solitario. Il dottor Henry Holmes doveva aver avuto un complice. E, grazie alla CHRONOS e al loro stupido medaglione, io ero capitata proprio tra le loro grinfie.

1

Non ho mai avuto bisogno di una vita pulita e ordinata. Chiunque nutra qualche dubbio al riguardo può rovistare nel mio zaino, dove probabilmente troverebbe una barretta di cioccolata sbocconcellata che se ne sta lì dall’Iowa – uno Stato da cui ci siamo trasferiti ormai quasi un anno fa. Dopo l’asilo ho cambiato scuola per cinque volte. Passo metà della settimana con mia madre e metà con mio padre: da lui dormo sul divano e mi tocca condividere un bagno di dimensioni ridicole. Non ho particolari esigenze. Il disordine non mi crea grandi problemi.

Ci sono cose, però, che dovrebbero accadere nell’ordine giusto. Tipo che le scarpe si mettono dopo i calzini. Che il burro di arachidi si spalma dopo che il pane esce dal tostapane, non prima. E che i nipoti nascono dopo i loro nonni.

La maggior parte delle persone non considera spesso quest’ultima questione. Io di sicuro non ci avevo mai pensato granché, perlomeno non finché mia nonna non si è fatta viva lo scorso aprile. Per colpa di quell’unico, piccolo dettaglio fuori posto, la mia intera esistenza è cambiata. E non sto facendo l’esagerata. Ritrovarsi con la propria esistenza completamente cancellata credo rientri di diritto nella categoria di eventi che ti cambiano la vita, al di là dei punti di vista.

Non vedevo mia nonna da più di una decina d’anni, prima che ricomparisse così all’improvviso. C’erano alcune fotografie ingiallite di noi due in un vecchio album, ma per me era semplicemente una persona che mandava un po’ di soldi a ogni compleanno e a Natale – e che a mia madre non andava per niente a genio.

«È così tipico di lei» disse mamma mentre uscivamo dalla metro. «Madre che piomba in città e pretende un incontro. E chi se ne importa se magari avevamo altri programmi.»

Io non avevo altri programmi, ed ero piuttosto sicura che nemmeno mamma ne avesse. Ma sapevo anche che, probabilmente, non era quello il punto.

Una brezza appena fredda ci accolse non appena la scala mobile raggiunse il livello della strada e sbucammo su Wisconsin Avenue. Mamma alzò un braccio per chiamare un taxi ma quello accostò per far salire un altro passeggero.

«Il ristorante è a qualche isolato da qui» dissi. «Potremmo anche andare a piedi e…»

«Questi tacchi mi stanno uccidendo.» Si guardò intorno ma, vedendo che non c’erano altri taxi in vista, si arrese. «E va bene, Kate, andiamo a piedi.»

«Perché hai comprato le scarpe col tacco, allora? Pensavo che non t’importasse della sua opinione.»

Lei mi guardò accigliata e si avviò lungo il marciapiede. «Possiamo darci una mossa, per favore? Non voglio fare tardi.»

Io non stavo cercando di infastidirla, davvero. Solitamente andiamo molto d’accordo, io e la mamma. Quando però si tratta di qualcosa che ha a che fare con sua madre, mamma diventa intrattabile. Prendete per esempio gli assegni per il compleanno e il Natale di cui parlavo prima: vanno dritti nel mio fondo per il college, anche se mamma di solito dice sempre che devo essere responsabile delle mie scelte economiche in prima persona e affrontarne le conseguenze.

La sera prima aveva parlato con sua madre per più di cinque minuti: un vero record, perlomeno che io ricordi. Avevo udito soltanto la parte di mamma, ma ero riuscita a rimettere insieme i pezzi della conversazione: mia nonna era tornata dall’Europa, era malata, e voleva vederci. Mamma aveva protestato ma alla fine aveva ceduto. Le negoziazioni erano poi passate alla parte logistica: luogo dell’incontro (campo neutro), tipo di cucina (vegetariana), orario dell’incontro (sette e mezzo), e così via.

Raggiungemmo il ristorante con dieci minuti abbondanti di anticipo. Era un posto alla moda, per vegetariani, con grandi immagini di verdure sulle pareti esterne che mi ricordavano vagamente le illustrazioni presenti sui consumati libri di cucina di papà. Quando entrammo nel ristorante, mamma tirò un sospiro di sollievo nel constatare che eravamo effettivamente arrivate prima di mia nonna.

Io scelsi la sedia che guardava verso il bancone del bar. Il ragazzo che preparava frullati e cocktail era carino, in una certa maniera artistica e volubile, con i capelli lunghi tirati all’indietro in una coda di cavallo. Anche se era un po’ troppo grande per me, perlomeno avrei avuto qualcosa di bello da guardare mentre mia madre e mia nonna litigavano.

Mia nonna arrivò qualche minuto più tardi; non era per niente come me l’ero aspettata. Tanto per cominciare, era più minuta di quanto non sembrasse in foto: alta come me, forse anche un po’ più bassa. I suoi capelli grigi erano tagliati quasi a spazzola ed era vestita in maniera casual, con una mantellina stampata a colori vivaci e pantaloni neri con gli elastici che sembravano, con mia grande invidia, molto più comodi di quello che ero stata costretta a indossare. E non sembrava per niente malata. Un po’ stanca, forse. Malata, neanche un po’.

Mamma sembrò pensare la stessa cosa. «Buongiorno, madre. Sembri sorprendentemente in forma.»

«Non mi rimproverare, Deborah. Non ho mica detto che sarei trapassata prima del fine settimana.» Le sue parole erano rivolte a mia madre, ma mentre parlava aveva gli occhi fissi su di me. «Avevo bisogno di vederti, e avevo bisogno di vedere mia nipote, già così cresciuta e bella. Le foto della scuola non ti rendono giustizia, mia cara.» Tirò la sedia da sotto il tavolo e si sedette con noi. «Sono piuttosto affamata, Kate. Com’è il cibo, qui?»

Ero stata così certa che mi avrebbe chiamato Prudence che mi ci volle qualche secondo per realizzare che si stava rivolgendo a me. «Non male» risposi. «Fanno dei panini passabili, e non c’è solo roba vegetariana. C’è anche del pesce piuttosto discreto. I dessert sono buoni.»

Lei sorrise, mettendo la borsetta sulla sedia che aveva accanto, tenendo però le chiavi e posandole sul tavolo vicino al tovagliolo. All’anello erano attaccate due chiavi dall’aspetto del tutto ordinario e un medaglione blu del tutto non ordinario. Era sottilissimo, con un diametro di sette, otto centimetri ed emetteva un bagliore che appariva insolitamente acceso in quella sala fiocamente illuminata. Il bagliore metteva in risalto il retro del menu di mia madre, e riuscii a cogliere piccoli puntini di luce blu riflessi nell’argenteria. Quel bagliore mi ricordava quello di una collana fosforescente che avevo vinto alla fiera della contea di Montgomery qualche mese prima, solo che in questo caso era molto più luminoso ed elaborato. Al centro esatto del cerchio c’era una clessidra. La sabbia fluiva continuamente da una parte all’altra, anche se il medaglione era posato di piatto sul tavolo.

Mia madre sembrava non aver notato quello strano oggetto, il che mi parve impossibile, oppure lo stava semplicemente ignorando di proposito. E, se mamma lo stava ignorando, l’ultima cosa che volevo fare era creare un vespaio richiamandovi sopra la loro attenzione. Per cui decisi di seguire il suo esempio, perlomeno per il momento. Mentre tornavo a spulciare il mio menu, però, notai che mia nonna aveva osservato la mia reazione a quel bagliore e stava sorridendo dolcemente. L’espressione che aveva negli occhi era difficile da definire, ma avrei detto che sembrava… rincuorata.

Cercammo di mantenere la conversazione su toni leggeri durante la prima parte del pasto. Il clima e il cibo erano entrambi argomenti sicuri, ma li avevamo esplorati da ogni possibile angolazione nei primi dieci minuti passati al tavolo.

«Ti piace Briar Hill?» mi chiese mia nonna.

Mi tuffai volentieri nel nuovo argomento di conversazione, percependo un’altra zona sicura da esplorare. «Da morire. I corsi sono molto più interessanti di tutti gli altri posti in cui sono stata. Sono contenta che papà abbia accettato il posto.»

La mia nuova scuola propugna una politica molto generosa che garantisce l’accesso gratuito ai suoi corsi ai figli dei membri della facoltà. Vengono perfino offerti piccoli alloggi indipendenti per i membri della facoltà disposti a vivere all’interno del campus, motivo per cui mi ritrovo a dovermi accontentare del divanoletto di mio padre per tre, quattro notti a settimana. Il materasso è pieno di bozzi, e quando rotolo troppo verso il centro sento la sbarra di ferro della struttura, ma lo considero uno scambio equo per quell’ora di sonno in più durante i giorni di scuola.

«Sembra proprio un’ottima opportunità, per te. E Harry mi dice che te la stai cavando molto bene.»

«Non sapevo che tu e papà… vi parlaste molto.» Volevo saperne di più, anche se sospettavo che rischiavo di portare la conversazione in una direzione rischiosa. «È per questo che sapevi che gli amici mi chiamano Kate?»

«Sì» disse lei. «Oltre al fatto che ti sei firmata Kate nelle cartoline di ringraziamento per i regali di compleanno e di Natale degli ultimi anni.»

Ah. Me n’ero scordata. «Mi dispiace se ho ferito i tuoi sentimenti. Davvero, ma…»

«Perché mai la cosa dovrebbe ferire i miei sentimenti? Prudence era un nome tremendo già quarant’anni fa, ma io scelsi il nome di tua madre, per cui mi sembrava corretto lasciare che fosse Jim a scegliere quello dell’altra gemella. E lui la chiamò Prudence, come sua madre. Era una signora gentile, ma continuo a credere che fosse terribilmente crudele imporlo a una neonata senza difese.»

Mia madre, che aveva ovviamente fatto la stessa cosa con me quando io ero una neonata senza difese, incassò in silenzio il rimprovero indiretto, e mia nonna continuò. «Sono piuttosto certa che Prudence non sia considerato un bel nome per una ragazza di sedici anni. E devo ammettere di essere lusingata che tu abbia scelto invece di portare il mio.»

Ora sì che ero confusa. «Ma, io pensavo che… Non sei una Prudence anche tu?»

Entrambe risero, e sentii il livello di tensione al tavolo scemare un poco. «No, anche lei è una Katherine» disse mia madre. «Prudence ha preso il nome dalla madre di mio padre, ma il suo secondo nome era Katherine, come mia madre. Per cui anche tu sei una Prudence Katherine. Pensavo che lo sapessi.»

Feci un gran sospiro di sollievo. Per tutto il giorno mi ero preoccupata che, insistendo nel farmi chiamare Kate invece che Prudence, avrei potuto ferire i sentimenti di mia nonna. La questione del nome era oggetto di continua discussione tra me e mia madre. Avevo perfino chiesto di farmelo cambiare legalmente per l’inizio dei corsi alla Briar Hill a gennaio, così non ci sarebbe stata nessuna possibilità che quella dannosa informazione potesse trapelare e finire nelle mani di potenziali nemici; ma gli occhi di mamma si erano riempiti di lacrime a quell’idea, per cui mollai l’osso. Quando ti viene dato il nome di una zia morta prematuramente, le tue opzioni sono piuttosto limitate.

Scansai un pezzo di zucchina troppo cotta nel piatto e fissai acidamente mia madre prima di rispondere. «Non ho mai sentito nessuno usare il suo nome, per cui come facevo a saperlo? Tu dici sempre ‘tua nonna’.»

Mia nonna arricciò il naso disgustata.

«Forse preferivi nonnina?» la presi in giro. «O magari nonnuccia?»

Lei rabbrividì. «No, e decisamente non la seconda. Che ne dici di Katherine? Non ho mai avuto grande amore per i titoli formali, e per tutti gli altri sono Katherine.»

Io annuii e mia madre mi lanciò uno sguardo di…

Timebound - Nel Vortice del Tempo - Copertina

Tit. originale: Timebound

Anno: 2014

Autore: Rysa Walker

Ciclo: The Chronos Files #1

Edizione: Fanucci (anno 2015)

Traduttore: Stefano A. Cresti

Pagine: 400

ISBN: 8834728637

ISBN-13: 9788834728635

Dalla copertina | Quando la nonna le regala uno strano medaglione blu, parlandole di viaggi nel tempo, la sedicenne Kate Pierce-Keller pensa che stia delirando a causa dell’età. Ma quando un grave fatto avvenuto in un passato lontano distrugge la sua vita, Kate capisce che quelle parole sono terribilmente reali. Da quel momento in poi, il medaglione donatole dalla nonna diventa l’unica cosa in grado di proteggerla. Nel 1893 è avvenuto un grave delitto, ma è solo la punta dell’iceberg di qualcosa di molto più sinistro, qualcosa che solo Kate può fermare, dopo aver scoperto di avere ereditato dalla nonna la capacità di viaggiare nel tempo. Rischiando il tutto per tutto, viaggerà fino all’Esposizione Universale di Chicago, per cercare di scongiurare quanto avvenuto più di un secolo prima ed evitare la catena di eventi che ne conseguirebbe. Ma cambiare il corso della storia ha un prezzo, e potrebbe essere proprio Kate a pagarlo…

#1 – Timebound

#2 – Time’s Edge