Timeline

Timeline

L’esplorazione di quella che ormai è definita la “quarta dimensione” è un’idea che ha attratto da sempre l’umanità, ma è divenuta un tema ricorrente in epoca moderna, con il genere fantascientifico. I viaggi nel tempo hanno uno strano fascino: il crononauta si trova in una situazione aliena ma, dotato di una tecnologia superiore o in netta inferiorità di fronte a culture più progredite, immerso nel mondo antico o catapultato in scenari post-atomici, trova il suo eroismo proprio nell’affrontare la diversità da ciò che lo circonda.

Timeline di Michael Crichton riprende questa ispirazione, cercando di fornire al lettore un minuzioso supporto scientifico capace di rendere verosimile la storia, e, contemporaneamente, rispondere all’eterna domanda di com’era il passato e di come potrebbe essere il futuro: laddove Poul Anderson ne L’uomo venuto troppo presto precipitava il suo protagonista tra le tribù vichinghe semplicemente mediante lo scoppio ravvicinato di un fulmine, qui abbiamo macchine e tecnologia, universi paralleli e meccanica quantistica. Il risultato è una strana commistione di “ritorno al passato” e “salto verso il futuro”, in effetti un po’ spiazzante.

La storia è semplice, la trama tutto sommato esile: in un futuro prossimo in cui la tecnologia ha compiuto passi da gigante e i computer quantici sono una realtà, uno scienziato-manager brillante e spregiudicato realizza il sogno segreto di rendere possibili i viaggi nel tempo. Lo scopo è quello non solo di offrire al mercato annoiato l’ennesimo divertimento (tema questo già affrontato da Crichton in Jurassic Park), ma, più subdolamente, di poter controllare a proprio piacere il passato per dominare il futuro. Il tutto è reso possibile da una sofisticata tecnologia chiamata CTC (Closed Timelike Curve), ovvero “Curva chiusa simil-temporale”. La “scenografia” prescelta per questo particolarissimo tipo di viaggio è costituita dai resti di un antico borgo medievale sul fiume Dordogna, la cui ricostruzione vede impegnato un gruppo di storici, scienziati e archeologi, tutti d’alto livello ma all’oscuro del vero obiettivo del loro lavoro. E soprattutto delle ambizioni segrete che animano il loro mecenate, a cui in realtà interessa ben poco lo studio accademico della storia antica.

Qualcosa però non funziona durante gli esperimenti, e dettagli inquietanti cominciano a sfuggire al controllo dell’ITC Research, l’organizzazione che gestisce il tutto in una sperduta località del New Mexico.

Gli incidenti vengono tenuti più o meno sotto silenzio, fino al giorno in cui un eminente Professore di archeologia sparisce, e tre dei suoi migliori assistenti sono “volontariamente costretti” ad andare a recuperarlo. Trasportati attraverso complicati apparecchi nel caos bellico di un castello sotto assedio, si trovano a dover affrontare l’atmosfera tutt’altro che cavalleresca del quattordicesimo secolo francese, tra lotte sanguinose e intrighi di palazzo.

L’impressione generale offerta da questa storia – per altro ben congegnata – è di una certa atmosfera disomogenea, in cui i personaggi si muovono abbastanza stereotipati ed in qualche modo prevedibili: abbiamo il “bel seduttore” dal passato travagliato, in crisi pseudo-esistenziale per il suo inappagante rapporto con le donne; lo storico medievale muscoloso come un cavaliere di re Artù e già perfettamente pronto per immergersi nel passato, quasi avesse sempre saputo di esservi predestinato; la scienziata atletica, esperta di roccia e free-climbing ma ovviamente bionda e attraente. Già dai primi capitoli ci si immagina come il tutto andrà a finire, anche se il romanzo si sforza di creare un mondo medievale realistico e tutto sommato lontano dalle atmosfere romantico-nostalgiche di un certo tipo di letteratura. Attorno ai protagonisti ruotano numerosi personaggi la cui psicologia è descritta in modo abbastanza grezzo; il ragazzino sconosciuto che si muove nella foresta come un piccolo Tarzan e si rivela poi una meravigliosa fanciulla, esiste già dai tempi de La Freccia Nera di STEVENSON. Come anche le figure dei due nobili in lotta tra loro per il possesso della regione: il legittimo signore è scioccamente cattivo e riesce a prendere invariabilmente la decisione sbagliata, e l’altrettanto perfido aggressore ripresenta la figura del monaco spretato e vagamente pazzoide la cui arma preferita è la violenza e la crudeltà.

Nessuno dei personaggi della vicenda riesce peraltro a suscitare molta simpatia, e il motivo forse risiede nella scarsa integrazione dei due aspetti chiave della narrazione: lo sforzo di descrivere un Medioevo realistico e la volontà di giustificare la trama con basi scientificamente dimostrate tolgono la possibilità di approfondire e “umanizzare” entrambi gli aspetti, lasciandoli a livello di una buona esposizione di informazioni mancante però del necessario fascino. Si ha quasi l’impressione che Crichton abbia avuto troppa fretta di concludere il romanzo, impostando un discreto schema storico e scientifico, senza però aggiungere un pathos azzeccato, una scintilla di vitalità che animi il tutto con l’emozione necessaria a catturare l’interesse del lettore. A questo si aggiungono imprecisioni (un luogo turistico affollato di visitatori alle sei del mattino è un po’ inverosimile…), se non errori grossolani di traduzione: il 1357, anno in cui vengono catapultati i viaggiatori, è più volte indicato come XVI sec (errore di stampa?), mentre s’inverte tranquillamente il significato di Alto e Basso Medioevo (terminologia che nella cultura anglosassone ha un significato opposto rispetto al nostro) nel corso di una lunga e pedissequa spiegazione. Con i complimenti del caso agli editors italiani.

Le teorie che in questo secolo hanno in qualche modo supportato la possibilità di viaggiare nel tempo sono spiegate in modo minuzioso: secondo quella di HUGH EVERETT, “se qualcosa può fisicamente accadere, allora in qualche universo accade. La realtà è formata da un numero infinito di universi possibili, indicato come multiverso”. Tra questi mondi paralleli, in cui le realtà possono essere simili o completamente differenti dalla nostra, ma mai uguali, il tempo scorrerebbe diversamente, perciò spostandosi dall’uno all’altro il crononauta si troverebbe inevitabilmente in un’epoca diversa da quella di partenza. La teoria della meccanica quantistica è affascinante, e a tutt’oggi presenta delle implicazioni che sconfinano nella fantascienza, ma che forse è azzardato voler affrontare in modo razionale in un romanzo di questo tipo: per accettare la teoria dei quanti, è necessario infatti un drastico cambiamento di mentalità ed un modo diverso di rapportarsi con il mondo fisico. E l’eccessiva scientificità e la fatica che questo comporta, in un certo modo si scontra con il desiderio d’evasione che, nonostante tutto, accompagna questo genere di lettura. Un conto è la Scienza, un conto è la Fantascienza… e se questi due “settori” si prendono troppo sul serio, quello che si ottiene è una sorta di Finta-Scienza. È più interessante immaginare qualcosa d’inverosimile, destinato magari a verificarsi in un lontano futuro, piuttosto che utilizzare dati verificati per supportare teorie effettivamente assurde: nel film omonimo (peraltro di serie B) la macchina del tempo viene inventata per sbaglio, e risulta molto più plausibile della schiuma quantica riveduta e corretta da Crichton. Il problema del paradosso che si collega invariabilmente agli spostamenti temporali, in Timeline viene evitato con decisione: l’effetto “farfalla” delle ucronie è qui accuratamente scansato a priori proibendo ai protagonisti qualsiasi contaminazione storica. Naturalmente, il funzionamento delle “gabbie”, le cronomacchine che effettuano il trasporto, è affidato alle cosiddette “technobubble” (fantasie tecnologiche), e si basa su un’improbabile legge fisica capace di rendere possibile il passaggio della materia attraverso i whormhole, ovvero i varchi spaziotemporali ipotizzati dal principio di indeterminazione di Heisenberg.

I tre studiosi si ritrovano indietro di 500 anni senza alcun aiuto tecnologico se si eccettua qualche dispositivo necessario per il ritorno (invariabilmente rotto o perduto all’arrivo) e con meno probabilità di sopravvivenza dei loro nuovi contemporanei, data la scarsa esperienza della dura realtà dell’epoca. I nostri eroi commettono naturalmente numerosi sbagli comportamentali e vengono travolti dalle sanguinose dispute locali, con un contorno di fascinose dame senza scrupoli, cavalieri iracondi e un enigma alla Ellis Peters che colora la storia di giallo. Contemporaneamente, un’esplosione distrugge la “stanza di trasmissione” dell’ITC, il cui presidente-scienziato-cattivo decide di abbandonare i viaggiatori nel XIV secolo per evitare, al loro ritorno, la diffusione di notizie dannose per il suo progetto. Grazie all’aiuto di un quarto collega rimasto provvidenzialmente a casa, viene però fortunosamente organizzato il rientro per il Professore e due dei suoi salvatori. Il terzo assistente, il medievalista enciclopedico (attraverso il quale Crichton ci rivela una gran quantità d’informazioni d’epoca), un po’ per necessità un po’ per segreta inclinazione decide di restare nel passato. E nel finale, i reduci dal viaggio (piuttosto seccati) e i collaboratori dell’ITC (improvvisamente pentiti) decidono di spedire, senza tanti complimenti, il loro presidente un po’ troppo disinvolto nel passato, ma nel bel mezzo della Peste Nera. Punizione che, nonostante tutto, suona eccessiva e non adeguatamente preparata nel corso nella narrazione.

La conclusione di Timeline non è una sorpresa, ma il problema non è certo questo: non sono poche le opere narrative in cui il finale è intuibile dall’inizio, ma che sono capaci di creare comunque un piacevole senso d’aspettativa. È il “come”, la strada che l’autore percorre per arrivarvi a fare la differenza, e in questo caso si ha una sensazione generale di incompletezza intervallata da momenti di autentica noia per le lunghe spiegazioni. Il romanzo non risponde in modo soddisfacente alla sua stessa domanda di base: saranno mai possibili i viaggi nel tempo? La risposta migliore è forse quella del geniale fisico bulgaro STEFAN MARINOV, che invece di enunciare troppa teoria, preferiva dire:

”Do it boy, do it!”. Sottintendendo probabilmente: “If you can…”