Torre di Cristallo (Tower of Glass | 1970) di Robert Silverberg

Torre di Cristallo

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Torre di Cristallo (Tower of Glass | 1970 | aka The Tower of Glass) di Robert Silverberg

Presentazione

Robert Silverberg è nato a New York e si è laureato alla Columbia University. E sempre vissuto in quella città finché l’anno scorso, «perduta — come dice lui — ogni speranza di salvezza per New York», si è trasferito in California. Oltre a scrivere opere di fantascienza e a curare antologie (ha ricevuto l’incarico, dall’Associazione americana degli Scrittori di Fantascienza, di curare la loro antologia ufficiale, The Science-Fiction Hall of Fame), è autore di numerose opere divulgative di argomento storico e archeologico: The Pueblo Revolt, Mound Builders of Ancient America, The Challenge of Climate, Lost Cities and Vanished Civilizations, The Realm of Prester John.

Nel campo della fantascienza le sue opere giungono regolarmente in finale ai due massimi premi specializzati. Sono il premio Hugo, assegnato annualmente nel corso del Congresso di Science-Fiction che si tiene alla fine di agosto, e il premio Nebula, assegnato, anch’esso annualmente, dall’Associazione degli scrittori. Nel 1956 ha ricevuto il premio Hugo come nuovo autore più promettente. Mentre nel 1968 ha vinto un secondo Hugo con Ali della notte. Nel 1970 è stato ospite d’onore al Congresso di Science-Fiction. E nel 1971, il presente Torre di cristallo è giunto al secondo posto al Nebula e al terzo all’Hugo. Nel 1972 ha vinto il Nebula con Time of Changes. Quest’anno il suo romanzo Dying Inside è candidato a entrambi i premi.

Torre di cristallo è il terzo romanzo di Robert Silverberg che pubblichiamo nella serie Cosmo. Nei numeri precedenti abbiamo già presentato Vertice d’immortali (N. 7) e Brivido crudele (N. 15). Prossimamente, nella serie Fantacollana, pubblicheremo il romanzo che ha vinto il premio Hugo nel 1969, Ali della notte.

Nei primi dieci anni d’attività, Silverberg ha scritto molti romanzi avventurosi. E successivamente, quando ha cominciato a scrivere opere di divulgazione, ha limitato la sua produzione per scrivere solo romanzi dei quali fosse pienamente convinto. Questa situazione ha portato alcuni critici come P.S. Miller (che ha la rubrica delle recensioni sulla rivista «Analog») a parlare di un «nuovo» Silverberg, che inizierebbe verso il 1968. Tuttavia, come si accennava presentando Vertice d’immortali, il «nuovo» Silverberg era già presente in opere del 1962 come Seme della Terra.

Il presente Torre di Cristallo e i precedenti Vertice d’Immortali e Brivido crudele appartengono al filone di fantascienza più immediatamente anticipativa. Quella che presenta situazioni dei secoli futuri più vicini a noi. In Vertice d’Immortali l’innovazione scientifica su cui si basava il romanzo era il «processo Scheffing». Esso permetteva di registrare i ricordi di un uomo e di trapiantarli in un altro cervello, dove continuavano a sussistere come personalità secondarie. Una forma di reincarnazione per procura. La possibilità di rivivere sotto questa forma aveva fatto sorgere una complessa società, descritta da Silverberg con molta efficacia.

In Brivido crudele, opera che alcuni critici considerano come uno dei migliori romanzi di Silverberg in assoluto, la situazione è completamente diversa. Non c’è una singola invenzione che modifica la civiltà, ma c’è l’accentuazione di alcune caratteristiche della civiltà odierna. I protagonisti sono un uomo e una ragazza che sono stati usati come soggetti «sperimentali». L’uomo — un astronauta — ha incontrato una razza extraterrestre che l’ha vivisezionato e poi l’ha rimesso insieme. La ragazza — un’orfana — è servita ad alcuni medici terrestri come donatrice per un progetto di gestazione in provetta. Entrambi soffrono le conseguenze psicologiche della violenza scientifica che hanno subito. E si ritraggono dall’assedio dei mezzi d’informazione più o meno «rosa» che cercano in loro il pezzo di colore.

Questo assedio tocca il punto culminante nella figura di Chalk, l’uomo che continua a usarli per sfruttare in esclusiva la storia della loro vita, del loro incontro e soprattutto del loro distacco. Si è detto che molti lo considerano uno dei migliori romanzi di Silverberg. L’unico appunto che si può fare a quest’opera è che la figura di Chalk è un po’ sovraccarica di connotati gotici. (Nel romanzo, Chalk ha uno strano potere telepatico che, in realtà, non era essenziale per l’economia della storia).

Anche il prossimo romanzo che presenteremo, Ali della notte, è considerato una delle migliori opere di Silverberg in assoluto. Tanto sono ben amalgamati la trama e la personalità dei protagonisti, tanto è il fascino che sa ricreare con la sua intima mescolanza di passato e di futuro. Fare un paragone tra Ali della notte e Brivido crudele o Torre di cristallo è piuttosto difficile: mentre questi si svolgono in un futuro abbastanza vicino a noi, Ali della notte si svolge in uno di quei lontani futuri in cui, come nella Città e le stelle di A.C. Clarke, la scienza e la tecnica dei prossimi millenni sono delle acquisizioni talmente antiche da non lasciarci nessuna pietra di paragone su cui misurarle.

In Ali della notte si è chiuso da decine di millenni il Primo Ciclo della Terra, quello che ha visto gli albori della civiltà e l’incontro tra l’uomo e gli abitanti delle stelle. E si è chiuso da millenni anche il Secondo Ciclo, in cui la Terra era uno dei pianeti più potenti della Galassia. Il Secondo Ciclo è finito a causa di alcuni catastrofici errori dell’uomo. La sua splendida civiltà è stata distrutta da enormi sommovimenti naturali quando l’uomo ha tentato di alterare il clima atmosferico su scala planetaria. Ora, nel Terzo Ciclo, la Terra è uno dei pianeti più poveri della Galassia, e attende da un millennio la venuta di una razza conquistatrice. La quale, secondo la leggenda, verrà a prenderne possesso per vendicare un’antichissima offesa.

La civiltà terrestre, riprendendosi faticosamente dalle catastrofi del Secondo Ciclo, si è organizzata secondo un sistema di Corporazioni che assegna a ciascun essere umano un ruolo preciso. Dominatori, Mercanti, Difensori, Scribi… Le ère precedenti hanno anche prodotto esseri umani dalla forma alterata: i fragili, delicatissimi Alati e i mostruosi Diversi, tenuti al margine della società e disprezzati da tutti.

Il protagonista di Ali della notte, Tomis, appartiene alla Corporazione delle Vedette: da mille anni lui e i suoi compagni scandagliano quotidianamente – e inutilmente — i cieli con i loro strumenti, per segnalare in tempo la venuta degli Invasori. Ma in mille anni gli Invasori non si sono mai mostrati, e molti, compreso lo stesso Tomis, cominciano a credere che non si mostreranno mai. All’inizio del romanzo, Tomis giunge all’antichissima città di Roum: nel viaggio ha trovato due compagni (un’Alata e un Diverso). E proprio quando sono nella città di Roum, e quando Tomis ha confessato di non credere più alla sua missione, gli Invasori giungono e conquistano la Terra. In una notte, mostrando la vera natura e il profondo disorientamento dei protagonisti. I conflitti si accentuano, affiorano rancori, gelosia, violenza. Finché un pellegrinaggio all’antica città santa di Jorslem offrirà la speranza di un rinnovamento completo, spirituale e insieme fisico.

Torre di cristallo condivide con Ali della notte e Brivido crudele il tema della redenzione attraverso il rispetto dell’umanità, intesa nel senso più lato – simakiano, si è tentati di dire – : un’umanità che è la fratellanza di tutti gli esseri «senzienti». In Brivido crudele era l’umanità dei protagonisti, violentata prima dalle pretese della scienza (terrestre o extraterrestre), assediata poi dalla curiosità morbosa di un pubblico insensibile, sfruttata infine da un individuo come Chalk. E a loro volta anche i protagonisti hanno una colpa: quella di non avere dubitato della propria umanità.

Quando riaffermeranno la propria umanità, sarà essa a vincere. In Ali della notte, la colpa degli uomini del Secondo Ciclo è stata quella di non avere riconosciuto l’umanità delle razze extraterrestri e di averle imprigionate in «giardini zoologici» a scopo di studio e di divertimento; gli uomini del Terzo Ciclo sono ancora rei delle antiche colpe, negando l’umanità dei Diversi: la redenzione verrà solo quando i protagonisti avranno accettato la loro fratellanza.

In Torre di cristallo, l’umanità vilipesa è quella degli androidi. Anche qui la scienza è complice, perché fornisce argomenti per giustificare la differenza sociale tra uomo e androide, e perché, in fondo, ha permesso di creare una nuova razza di schiavi. Anche qui la redenzione potrà essere portata solo dall’accettazione totale della propria e dell’altrui umanità: questa accettazione non è completa (per Krug non lo sarà mai: il suo mondo finirà suggellato dietro valve di vetro) perché gli androidi continuano a credersi cose anche quando affermano di essere uomini; alla fine del romanzo tutti i personaggi sono ritratti in varie posizioni di sconfitta.

Dal punto di vista fantascientifico, Torre di cristallo è una delle opere più aggiornate con la scienza attuale. E Silverberg gioca in modo corretto le sue carte scientifiche. Il tema dei segnali provenienti dallo spazio si ispira ai fenomeni dei pulsar. Tutto il processo di produzione degli androidi segue la moderna biologia molecolare. I tachioni sono un argomento degli ultimi anni: cominciavano ad apparire articolih sui tachioni, su riviste come «Scientific American», alla data di pubblicazione di questo romanzo.

Un primo punto in cui il romanzo Torre di cristallo si stacca dai comuni romanzi di fantascienza è lo stile. A differenza dei soliti romanzi scritti in tono giornalistico, Torre di cristallo è un continuo contrappunto di stili, a seconda dell’alternarsi dei personaggi. Inoltre, lo stesso stile sottolinea il crescere della tensione psicologica dei personaggi, fino a divenire teso e convulso esso stesso nelle pagine finali.

Una testimonianza del valore di Torre di cristallo compare in un articolo scritto da David Ketterer e intitolato I soli illegittimi della fantascienza. L’articolo parla di Torre di cristallo e di Solaris di Lem. E Ketterer appartiene a quel gruppo di professori universitari canadesi che hanno incluso da vari anni la fantascienza nei loro corsi di letteratura inglese.

«Fin troppo spesso — scrive Ketterer — un’abbondanza di “idee”, per quanto stimolanti siano, conduce a una sostanziale povertà d’immaginazione: in molti romanzi di fantascienza, il critico letterario non ha niente da dire. Una volta elencate le “idee” non si può dire nient’altro di costruttivo.

«Sono pochissimi gli scrittori di fantascienza capaci di prendere solo tre, due, o meglio una sola “nuova” idea, e di esplorare per la lunghezza di un romanzo le ramificazioni e le ambiguità che possono nascere limitando drasticamente il numero dei concetti “nuovi”. La vecchia affermazione che la fantascienza trova la sua migliore dimensione quando si limita alla lunghezza del racconto, anziché a quella del romanzo, è una delle conseguenze di questa erronea convinzione che le “idee” siano la fantascienza.

Lo scrittore di narrativa generale si occupa del “mondo reale” e non può fare a meno di riflettere nelle sue opere molte delle complessità, dei paradossi e dei valori sfumati che fanno parte dell’ambiente che ci circonda. E, cosi facendo, fornisce al critico delle tensioni, delle ironie, delle ambiguità che possono venire esplorate nel testo. Lo scrittore di fantascienza che vuole portarsi all’attenzione della critica letteraria dovrà fare ricorso alla sua immaginazione per incorporare nella propria opera una simile densità.

«Per questi motivi, non è affatto strano che alcune delle migliori opere di fantascienza siano state scritte da autori come Orwell o Huxley, che in un certo senso si volevano concedere una distrazione allontanandosi dalla narrativa generale.

«Tuttavia aumenta il numero degli scrittori specializzati in fantascienza che mostrano una maggiore capacità di sviluppare in modo rigoroso le loro idee o i loro temi specifici. In Torre di cristallo, Robert Silverberg si occupa dell’effetto dell’intelligenza — artificiale o extraterrestre — sulla definizione di uomo, e il suo romanzo si conclude con una scena di fiamme e di apocalisse: “Le città della Terra avvampano”.

Questa affermazione può essere interpretata meglio come metafora di una trasformazione filosofica e non in termini letterari. Nel caso di Silverberg, il problema riguarda la comunicazione, ed ogni elemento del romanzo illustra questo tema. In un’era di scambi di mente e di viaggi istantanei per mezzo del “trasmat” — e il loro stupefacente effetto temporale è mostrato in modo molto felice nei capitoli di apertura – la comunicazione con le stelle è l’ossessione di Simeon Krug. Questo novello Simeone costruisce una torre trasmittente di cristallo, e attende un Secondo Avvento. Equivalente all’ascesa dell’uomo dal mare e alla scoperta che “lassù c’è tutto un mondo nuovo”.

«La torre, “quella grande erezione” alla conoscenza, così chiaramente precaria che minaccia di cadere “per un’intera giornata come Lucifero”, viene a significare la comunicazione a tutti i livelli: sessuale, intellettuale, religioso e demonico. Il fatto che gli androidi venerino il loro creatore come un dio suggerisce che un senso di comunicazione religiosa, anche se può essere benefico, è falso. La scoperta che Krug è oggetto di venerazione scatena una “apocalisse filosofica”. Krug, quando lo scopre, reagisce così: “Gli pareva che il mondo avesse perso la coesione: si sentiva precipitare entro la sua sostanza, affondare fino al nucleo, in caduta libera senza potersi fermare”.

Altri aspetti del tema della comunicazione compaiono in ciò che riguarda gli androidi. Poiché gli androidi sono capaci di discorso razionale, un importante argomento del libro è il problema dell’eguaglianza degli androidi. È presentato come un parallelo dell’abolizionismo dell’America ottocentesca. Ma ciò che complica tutta la problematica è soprattutto la comunicazione sessuale, non quella intellettuale. Ed è essa a convincere il figlio di Krug, Manuel, che gli androidi devono essere considerati uguali all’uomo. Manuel ha una relazione “tabù” con un’androide. Questo permette a Silverberg di affermare la sua tesi che, a differenza della comunicazione intellettuale o religiosa — che possono rivelarsi fallaci o inutili — è il sesso che, anche se può essere un pericolo, può portare la promessa di una vera comunicazione».

E interessante che Ketterer esamini Solaris in parallelo a Torre di cristallo. Anche in Solaris il tema fondamentale è la comunicazione. In Solaris, i tentativi dell’uomo di conoscere il cosmo lo portano soltanto a conoscere immagini deformate di se stesso. Questa considerazione di Lem potrebbe servire come commento al romanzo di Silverberg. È una risposta a tutti i dubbi e le tensioni dei protagonisti di Torre di cristallo, in un certo senso. Uno dei punti di tensione del romanzo di Silverberg – l’ossessione di Krug per lo spazio, e il suo distacco dai problemi che lo circondano – emerge nella scena al Nemo Club.

Di fronte alla scena della fauna subacquea, Silverberg scrive: «… uno spettacolo a base di demoni e di orrori in miniatura… Per ammirare bestie straordinarie non occorreva recarsi su mondi lontani; le creature degli incubi erano qui, sul pianeta natale dell’uomo: bastava solo dare un’occhiata fuori». Ed è interessante che il «fuori» sia separato da una parete di vetro: in tutto il romanzo – come anche in Solaris – il vetro e il cristallo, più che separare i protagonisti dall’esterno, li separano dal loro interno. L’esperienza dello scambio di mente inizia con un rumore di vetro che si spezza. Nella scena finale, le valve trasparenti che si chiudono su Krug sono il contrario dell’«aria, su in alto» che è il «tetto» presentato all’inizio. In inglese, c’è da tener presente, la parola che significa vetro, cristallo è glass, che significa anche specchio.

Riccardo Valla

Anteprima testo

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Perché sai, voleva dirgli Simeon Krug, un miliardo d’anni fa non c’era l’uomo, di nessun tipo. C’era solo un pesce. Un affare viscido e scaglioso, con le branchie e gli occhietti rotondi. Viveva nell’oceano, e l’oceano era come una prigione, e l’aria, su in alto, era il tetto. Quel tetto non si passa, dicevano tutti, se lo passi muori. E c’era quel certo pesce: lo passò e morì. E quell’altro pesce: anche lui lo passò, e morì. Ma quell’altro pesce ancora, quando lo passò, gli bruciava il cervello, gli ardevano le branchie, e l’aria lo annegava, e il sole era una fiammata che gli incendiava gli occhi, e lui rimase sul fango ad aspettare la morte, e non morì. Strisciò indietro fino all’acqua, rientrò dentro e disse a tutti: Ehi, lassù, c’è tutto un mondo nuovo, diverso dal nostro!

E ritornò su, e ci rimase un paio di giorni e poi morì. Gli altri pesci cominciarono a parlare di quel mondo nuovo, diverso; e strisciarono su, raggiunsero il fango della riva; e ci rimasero. Impararono a respirare l’aria; e impararono ad alzarsi sulle zampe, a camminare, a vivere con negli occhi il barbaglio del sole. E diventarono lucertole, e dinosauri e tutto il resto, e andarono in lungo e in largo per milioni di anni. Si rizzarono sulle gambe di dietro, e usarono quelle davanti per prendere in mano le cose. Diventarono scimmie, e le scimmie si fecero più furbe e diventarono uomini. E sempre, per tutti quei milioni di anni, qualcuno di loro continuava a cercare nuovi mondi.

Tu gli dici: Dai, torniamocene nell’oceano, riprendiamo a fare i pesci perché e più comodo. E può darsi che gli altri, metà degli altri o forse più, sarebbero disposti a farlo, ma trovi sempre qualcuno che ti rimbecca: Non dire fesserie. Non possiamo più tornare a fare i pesci: adesso siamo uomini. E indietro non si torna mai. Si continua ad arrampicarsi, a salire.

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20 settembre 2218

La torre di Simeon Krug tocca oggi i cento metri d’altezza e domina la tundra grigia e marrone dell’Artico canadese, a occidente della Baia di Hudson. Oggi come oggi, la torre non è altro che un moncone cavo e traslucido. Aperta in alto, la difende solo un campo repulsore che si libra, come uno scudo, pochi metri al di sopra del livello avanzato di costruzione.

Tutt’intorno alla struttura incompleta fanno capannelli le squadre di manovali androidi: migliaia di uomini sintetici, rossi di pelle, che tribolano per imbracare grandi blocchi di vetro e avviarli alla sommità, dove altri androidi si affannano a collocarli in opera. Ai suoi androidi Krug fa fare tre turni nell’arco delle ventiquattr’ore.

Quando cade la notte, il cantiere è rischiarato da migliaia di piastre luminose tese nel cielo a un chilometro d’altezza. Le piastre sono alimentate da un piccolo generatore a fusione da 1000 megawatt, installato poco a nord della torre.

Dalla torre, in corrispondenza del suo enorme basamento ottagonale, s’irradiano larghi nastri refrigeranti color argento. Sono incassati alla profondità di mezzo metro nella gelida coltre di terriccio, muschio e licheni che costituisce la tundra, e corrono per vari chilometri in tutte le direzioni. Le loro celle a diffusione d’elio assorbono tutto il calore dissipato dagli androidi e dalle macchine. Senza quei nastri refrigeranti, l’inquinamento termico del cantiere farebbe sgelare la tundra e la muterebbe in una pozza di fango: le fondamenta della grande torre perderebbero presa; tutta la costruzione crollerebbe sul fianco come un titano abbattuto. I nastri mantengono la tundra gelata, solida, capace di sopportare l’immane fardello che le ha imposto Krug.

Tutt’intorno alla torre, gli edifici dei servizi formano un cerchio di mille metri di raggio. A ovest c’è il centro generale di controllo. A est il laboratorio di montaggio del trasmettitore tachionico (il laboratorio, piccolo e coperto da una cupola rosata, accoglie una decina di tecnici che allestiscono, con pazienza certosina, lo strumento che servirà a Krug per inviare messaggi alle stelle); a nord c’è un guazzabuglio di edifici destinati agli usi più disparati; a sud, una fila di cabine trasmat collega al mondo civile questa regione dimenticata. Androidi e umani entrano ed escono dai trasmat senza soluzione di continuità: giungono da New York come da Nairobi o Novosibirsk, partono per Sydney come per San Francisco o Shanghai.

Quanto allo stesso Krug, non passa giorno ch’egli non venga alla torre almeno una volta. A volte è solo, a volte è accompagnato dal figlio Manuel, o da una delle sue donne o da uno dei capitani d’industria suoi colleghi. Di solito si fa ragguagliare sullo stato dei lavori da Thor Guardiano, suo capomastro androide, poi prende una benna fino alla cima della torre, lancia uno sguardo verso il fondo della cavità; chiede un rapporto sui progressi del trasmettitore tachionico; scambia qualche parola con gli operai per nobilitargli la fatica. Normalmente, Krug non passa più di un quarto d’ora in cantiere. Ritorna al trasmat e si fa riportare istantaneamente ai suoi affari, in qualche lontano punto del mondo.

Oggi, per celebrare il livello dei cento metri, il gruppo di accompagnatori che ha condotto con sé è più numeroso del solito. Ora egli è fermo accanto a quello che sarà l’ingresso ovest della torre. Ha una sessantina d’anni ed è massiccio, fortemente abbronzato, largo di torace e corto di gambe; ha naso marcato, occhi acquosi e forse un po’ troppo vicini tra loro. Dà un’impressione di solidità, di rustica robustezza. Non si cura di farsi correggere cosmeticamente il proprio aspetto, e si tiene i suoi connotati grossolani, le sopracciglia cespugliose, i capelli radi; è quasi calvo, ormai, ma se ne frega. Dai fili neri che s’incrociano sulla nuca si affacciano le efelidi. La sua…

Torre di Cristallo - Copertina

Tit. originale: Tower of Glass

Anno: 1970

Autore: Robert Silverberg

Edizione: Editrice Nord (anno 1973), collana “Cosmo Argento” #25

Traduttore: Riccardo Valla

Pagine: 172

Dalla copertina | Krug è stato deificato dagli androidi che egli stesso progetta e costruisce. E tra gli androidi primeggia l’alfa Thor Guardiano, braccio destro di Krug ed esponente di un movimento segreto basato sulla fede che Krug libererà gli androidi dalla schiavitù. Così, mentre la torre continua a innalzarsi emblematicamente, la tempesta sociale e personale s’addensa intorno ai protagonisti, fino a raggiungere un vertice narrativo e drammatico raramente toccato dalla fantascienza.
Al di là del completo panorama di un mondo futuro, questo romanzo eccezionale ci invita a riflettere sulla definizione dell’uomo e dell’intelligenza e ci mostra una ricerca di comunicazione che è già di per sé profondamente religiosa. È l’anno 2218. In questa società di viaggi istantanei e di uomini artificiali — gli “androidi” — comincia a sorgere sulla tundra artica la torre di Simeon Krug: un titanico trasmettitore, destinato a rispondere ai segnali provenienti dallo spazio. Krug è dominato dall’ansia di parlare con le stelle, ma non si accorge che intorno a lui sta per scoppiare una crisi: senza saperlo, egli è diventato una figura divina, e ora le sue responsabilità sono quelle di un dio.