Parlare di miracoli con sensibilità e intelligenza, senza concedersi alla credulità più ingenua e senza imporre dogmi,è un’impresa ardua. I fenomeni paranormali lasciano in genere la gente scettica, tanto più se per essere convincenti presuppongono una fede incrollabile legata a un credo religioso. I miracoli finiscono allora per suscitare semplice curiosità, talvolta imbarazzo, sorrisi impacciati, battute irriverenti.
La stessa Chiesa Cattolica affronta l’argomento in modo molto prudente, consapevole del rischio di poter accreditare come autentici i prodigi invece “naturali” o, peggio, inscenati da truffatori.
Da qualche decennio, prima di affermare la natura sovrannaturale di un evento, il Vaticano lo fa esaminare da commissioni di esperti: sacerdoti, medici, scienziati, esorcisti, psicologi…
Il recente processo di beatificazione di Padre Pio da Pietralcina ha seguito un lungo iter… e il film Una vita nel mistero, diretto con mano sicura dal giovanissimo Stefano Simone, nel parlarne rispetta pienamente l’atteggiamento cauto voluto dagli ecclesiastici.
In un lungo flashback conosciamo i protagonisti: una coppia di mezza età, benestante, teneramente affiatata, religiosa. Il marito, Angelo Sormanni, è un fotografo che vive il dramma della malattia terminale della moglie Antonietta. In questo contesto la figura di Padre Pio irrompe nella vita della coppia, manifestandosi sotto forma di piccoli segni: orologi che si fermano all’improvviso, tovaglioli che assumono la forma di un angelo, candele che si spengono, molliche di pane e foto di nubi nel cielo che disegnano il profilo del santo, gocce di caffè che lasciano macchie a forma di cuore… Addirittura compare un clochard che ricorda per aspetto il frate.
Quando Antonietta, inspiegabilmente, guarisce, la scienza si trova a fare i conti con il mistero.
Il distacco tra marito e moglie avverrà solo anni più tardi, un lungo periodo durante il quale Padre Pio rimarrà sempre a fianco della coppia. Il fotografo, rimasto infine vedovo, continuerà la sua esistenza sorretto dalla Fede.
Film religiosi ne esistono fin dagli albori della Settima Arte. Domina l’impegno sociale ne Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, o ne Gli Atti degli Apostoli di Rossellini; la poesia regna in State buoni se potete di Luigi Magni o ne Il grande silenzio di Philip Gröning. Sono però felici eccezioni. Di solito, le pretese artistiche finiscono subordinate a espliciti fini catechistici. La scelta stessa del soggetto presuppone la fede da parte del pubblico, al punto da risultare poco comprensibili a spettatori laici o di credo diverso da quello cristiano. Una vita nel mistero è una pellicola coraggiosa proprio perché si allontana dagli stereotipi del cinema religioso più consueto. Il regista, appassionato di horror, costruisce atmosfere degne de L’esorcista o di Rosemary’s baby. Non realizza un’opera di agiografia finalizzata a far conoscere e pregare Padre Pio; né un lacrima movie, un polpettone progettato con l’intento di strappare commozione. Piuttosto dà voce alla testimonianza di una vita toccata dal mistero del sovrannaturale. La traduce in immagini, usa un linguaggio moderno, rispettoso delle diverse opinioni.
I fatti straordinari possono essere interpretati come mere coincidenze oppure come miracoli divini, rientrare nel vasto campo dell’occulto o essere frutto di suggestione. Comunque li si voglia considerare, Simone evita proselitismi o giudizi inopportuni, e il film funziona proprio grazie all’onesta neutralità della sua posizione, alle domande che lascia aperte.
Nella vicenda di oggettivo c’è solo il referto medico che attesta una guarigione. Ogni altra manifestazione del Santo è rappresentata in modo volutamente concreto e allo stesso tempo ambiguo. Un esempio su tutti, le fotografie: le intravediamo appena, ci vengono descritte dal dialogo. È lo sguardo del protagonista che riconosce il viso del frate tra le nubi che ha immortalato, altri occhi scorgerebbero magari solo un cielo primaverile.
Un grande pregio di questo film è la scelta di raccontare un evento straordinario sfruttando la lezione del cinema di genere. Come in un thriller, la tensione si costruisce a partire da dettagli di vita quotidiana: certe sequenze un po’ troppo lente, riprese in interni, battute apparentemente banali recitate con impostazione tutta teatrale (che potrebbero ricordare le fiction nostrane). Naturalmente quei minuti sono preziosi anche per estendere la durata dello spettacolo (i mediometraggi godono di una distribuzione migliore rispetto ai corti) e alcune belle scene fanno da richiamo turistico per Manfredonia e la sua costa, come nel caso delle passeggiate sul lungomare; tuttavia la scelta di mostrare i momenti di vita della coppia è funzionale soprattutto a far lievitare il senso di attesa. Lo spettatore si aspetta che accada qualcosa di particolare, e puntualmente l’irrazionale irrompe. Il prodigio viene fatto solo intravedere, mai esibito, proprio come in un buon mistery.
La colonna sonora è un piccolo capolavoro, segue alla perfezione la vicenda, ricorda Vangelis e le composizioni elettroniche di Mike Oldfield. Sottolinea le apparizioni del Santo, rendendole inquietanti, degne di un horror. Padre Pio combatte il Male, ma non appartiene più al nostro mondo; è una presenza severa, che si insinua nell’esistenza dei due coniugi. Compare incappucciato, all’improvviso; sostiene la coppia nel dolore, l’accompagna nella gioia, anche se non sempre può esaudire le preghiere. L’intervento di una forza legata al Bene sottintende l’altrettanto concreta presenza del Male. Quest’ultimo non appare direttamente nel film, eppure trapela dalle sequenze, tra i dialoghi espressi e nei lunghi silenzi.
Surreale e onirica è la visione che precede la morte di Antonietta, suggestiva nonostante sia sorretta da effetti speciali abbastanza artigianali.
Difficile stabilire se l’impiego di mezzi più consistenti avrebbe migliorato la pellicola, che fa dell’originalità del soggetto, del coraggio di ibridare generi, della colonna sonora i suoi punti di forza.
Da vedere, per credere, perlomeno nei nuovi talenti.