Vlad Tepes

Vlad l’Impalatore

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Quando la gente sente parlare di Dracula, di solito immagina un tizio in abito da gran sera e tabarro a fodera rossa, dal viso pallido e gli zigomi pronunciati, labbra rosse con canini dell’arcata superiore sporgenti e rivolo di sangue che cola, sopracciglia lievemente oblique, orecchie appuntite e capelli impomatati che disegnano una lettera v sulla fronte.

Il vispo gagà non morto sta a braccia spalancate e sollevate, in attesa di rincorrere qualche signora. Questa è la rappresentazione ereditata dal cinema, e in particolare dal Dracula di TOD BROWNING, interpretato da BELA LUGOSI: un vampiro affascinante – almeno per il gusto degli anni Trenta! – che è entrato nell’immaginario collettivo pur non assomigliando nemmeno un po’ alla descrizione letteraria.

Infatti BRAM STOKER (1847-1912), che nel 1897 a Londra pubblicò Dracula, lo vorrebbe alto, magro, con lineamenti grifagni, naso aquilino, capelli bianchi, baffi, occhi rossi, mani pelose e dita simili ad artigli, aristocratico e nel contempo animalesco nei modi.

Lo scrittore irlandese si è ispirato a un personaggio realmente vissuto, VLAD III DRACULEA (1431-1476) detto “Tepes”, ovvero l’Impalatore, figlio di VLAD DRACUL (1390-1447). Ovvio, gli ha attribuito caratteristiche soprannaturali, esasperando o interpretando in chiave fantastica eventi che uno storico avrebbe letto in tutt’altra maniera.

È emerso un ritratto di Dracula lontanissimo dalla realtà, a partire dall’aspetto fisico.

Così lo descrive NICOLA MODRUSSA, legato pontificio presso la corte di MATTIA CORVINO, a Buda: “Era un po’ basso ma molto forte e robusto, freddo e terribile di aspetto, con un gran naso aquilino, narici larghe, un volto magro e rossiccio, con grandi occhi verdi spalancati e incorniciati da nere ciglia, molto folte e lunghe, che davano agli occhi un aspetto terrificante. Il viso e il mento erano rasati, ma portava i baffi. Le tempie larghe aumentavano l’ampiezza della fronte. Un collo taurino univa la testa dalla quale le ciocche nere dei capelli scendevano sulle larghe spalle della sua persona.”

Esistono pochissimi ritratti o descrizioni di Vlad III, e spesso – come quello più famoso, conservato a Innsbruck – sono opera di avversari che cospiravano contro il suo regno. Probabilmente hanno deformato i lineamenti o dosato ad arte le parole per farne una caricatura. Inoltre le caratteristiche dell’arte popolare dell’Est Europa sono un po’ diverse da quelle dell’Umanesimo italiano e talvolta, data l’estetica diversa, i paragoni possono essere davvero improponibili.

Di certo il Dracula storico non era un conte, dato che l’araldica tardo medioevale dell’Est Europa non contempla tale titolo. Era un voivoda, l’equivalente di Principe. Anche l’appellativo “Dracul” non era il suo nome o un titolo usato di consueto: si riferisce all’appartenenza del padre all’ordine del Dragone, uno dei vari ordini cavallereschi, votato alla difesa del mondo cristiano dalla minaccia dei Turchi. La Societas Draconis era stata fondata nel 1418 da re SIGISMONDO DI LUSSEMBURGO.

Può essere suggestivo il fatto che in Romeno “drac” significa sia “drago” che “diavolo”, e nella Bibbia il Diavolo spesso ha le forme di un dragone, e di un serpente. Quando Jahvé scopre Adamo ed Eva tentati dal Serpente, condanna quest’ultimo a strisciare sul ventre. Si potrebbe credere che, prima della punizione, il serpente avesse almeno le zampe, se non ali: e fosse quindi un drago. Da questo combinarsi tra storia e tradizione nasce l’ambiguità, di cui Stoker approfitta.

Vlad III era nato a Sighisoara, città della Transilvania, ma visse soprattutto in Valacchia; in diversi castelli, alcuni dei quali ancora visitabili. Nella seconda metà dell’Ottocento, la Transilvania era una zona dimenticata dell’Europa, e perciò ritenuta mitica, al pari del bosco di Hansel e Gretel. Tanto che, nella fiaba Il pifferaio Magico, trascritta dai fratelli GRIMM, il magico musicista, non pagato dal Borgomastro dopo avergli ripulito il villaggio dai ratti, porta via i ragazzi oltre una cascata, diretto in una terra lontana e misteriosa, identificata come Transilvania. Un luogo del genere era vissuto dai più come uno spazio tra il reale e l’immaginario. Né le ricerche geografiche, storiche, etnologiche, musicali erano ancora arrivate ad avvicinare paesi tanto lontani. La letteratura vittoriana cercava terre inesplorate da popolare di regni perduti ed usare per vicende fantarcheologiche: l’Africa e l’Oriente parevano troppo solari, non restava che dirottare l’ignoto verso i Carpazi. Tanto che, ancora negli anni Trenta, quando Browning diresse il suo film, parecchi Americani credevano che la Transilvania fosse un’invenzione letteraria e non una terra vera e propria. Alla faccia dello stesso povero Bela Lugosi, che veniva davvero da quella terra ed era stato un patriota convinto, in prima linea contro le spartizioni tra Ungheria e Romania avvenute alla fine della Grande Guerra.

Quanto al vampirismo, il vero Dracula aveva sì tanti difetti, ma erano del tutto terreni. Inoltre è difficile stabilire se il sadismo dimostrato in tante occasioni fosse conseguenza di una personalità malata, o se fosse mera strategia del terrore. Le torture che Vlad III infliggeva erano state praticate da altri popoli, sempre in situazioni analoghe. Il famoso “palo” era un’invenzione ottomana. L’assedio di Gerusalemme alla prima Crociata aveva registrato episodi di amputazioni e smembramenti di massa compiuti dagli Europei. Gli antichi Romani avevano praticato esecuzioni su larga scala, in particolare per soffocare le rivolte degli schiavi. Senza nominare Carlo Magno e le sue imprese, spesso altrettanto sanguinose. Quello che a noi contemporanei sembra depravazione, può rientrare nelle consuetudini di una lontana epoca di guerra, con i suoi costumi cruenti, la situazione politica precaria, ed un grande pericolo in arrivo da Oriente. Né il “nostro” MACHIAVELLI dà consigli politici diversissimi da quelli che orientarono i comportamenti di Vlad III. Impossibile dare una valutazione onesta del personaggio, senza tenere conto del diverso sistema di valori proprio della gente di allora. Finiremmo per trasformarlo in una figura bidimensionale adatta più a un museo delle cere di gusto grandguignolesco, che a un libro di storia.

Inoltre il mito del Vampiro non è nato in Romania, dato che nelle più lontane culture esistono esseri leggendari che assorbono sangue o energia.

In genere si tratta sempre di morti che non sono in pace con il mondo appena lasciato, di solito perché hanno violato qualche tabù religioso o magico, hanno infranto un’importante promessa, hanno compiuto stregonerie, sono deceduti per morte violenta, o tradimento. Nemmeno si può dire che le leggende sui vampiri dell’Est siano più suggestive delle controparti di altre culture. La diffusione di un racconto fantastico – o realistico – dipende dal mezzo con cui viene trasmesso e da una fitta rete di coincidenze storiche che portano i popoli in contatto. Quanto alla bellezza dell’invenzione, essa è affidata all’abilità poetica di quanti narrano.

Semmai va evidenziato come, nei Balcani, nel Settecento ci furono “epidemie di vampirismo”. Malattie ancora sconosciute mietevano vittime con sintomi mai visti prima, o causavano stati di profonda incoscienza, in certi casi temporanei. Nell’esigenza di evitare il contagio, funerali e sepolture venivano organizzati in tutta fretta: persone ancora vive potevano venir scambiate per cadaveri, e risvegliarsi, terrorizzando la popolazione. La scienza non sapeva dare motivazione e così la superstizione sopperiva all’ignoranza. Può darsi che Stoker, che di solito si dedicava a scrivere copioni teatrali e non era un moderno etnologo, sia stato suggestionato dai resoconti approssimati di questi eventi e li abbia sfruttati per dare “vita” alla sua creatura immortale.

D’altronde anche sulla figura storica di Vlad III erano fiorite leggende, già ai tempi in cui era in vita. Le sue turpi avventure sono state tra le prime pubblicazioni di tema non religioso stampate in tedesco, e hanno conquistato il pubblico che si andava alfabetizzando. Accadde per la prima volta qualcosa di simile a quanto avviene per certi bestseller di oggi, magari di spessore artistico assai esile, tuttavia scorrevoli e focalizzati su elementi che il lettore ama. Alcuni dei libelli su Vlad III sono ancor oggi leggibili: scritti e conservati nell’abbazia di Melk, per pura fortuna sono sopravvissuti ai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale che danneggiarono gravemente l’edificio.

Sono raccolte di aneddoti tesi a mettere in luce la crudeltà disumana e la ferocia sadica del voivoda; nulla hanno a che fare però con poteri ultraterreni, magie e bevute a base di sangue! Narrano di crudeltà di ogni genere: squartamenti, massacri, prigionieri usati come scudi umani, torture di ogni specie. È pur vero che il voivoda cercava di favorire i mercanti del suo regno, a scapito di quelli sassoni, che venivano duramente perseguitati. È difficile stabilire quali cronache siano verosimili ricostruzioni di tempi bui, quali frutto di propaganda avversaria, quali esagerazioni o invenzioni dello stesso voivoda, finalizzate a spaventare il nemico ottomano e mantenere obbedienza nei ranghi dell’esercito o tra la popolazione.

Per la Storia, Dracula si chiamava Vlad III. Regnò sulla Valacchia in tre periodi distinti, nel 1448, dal 1456 al 1462 ed infine nel 1476. Nacque a Sighisoara intorno al 1431 e morì nel 1476. Era figlio di un voivoda detronizzato e aveva due fratelli, Radu e Mircea. Il padre, Vlad II, lo cedette agli Ottomani insieme al fratello, come pegno per l’appoggio necessario per tornare sul trono valacco.

Per diversi anni, in gioventù, Vlad III rimase prigioniero in mano ai Turchi. Da essi apprese le strategie militari e l’uso del terrore per indebolire il nemico, mantenere il potere politico e la disciplina tra i combattenti.

Con l’aiuto degli stessi Turchi riuscì a riconquistare il regno, e subito dovette scontrarsi con i grandi proprietari terrieri che, abituati a eleggere il principe, non accettavano un sovrano che limitasse la loro autorità.

Cinquecento di loro furono invitati a una cena diplomatica, e vennero impalati. Vlad III si meritò così l’appellativo di tepes, l’impalatore, continuando a mettere a morte altre migliaia di persone, tra cospiratori, disonesti, avversari e Ottomani (uccise circa ventimila oppositori in Transilvania pare in una sola notte). Cronache tedesche narrano di crudeltà di ogni genere: squartamenti, massacri, prigionieri usati come scudi umani, torture… È pur vero che il voivoda cercava di favorire i mercanti del suo regno, a scapito di quelli sassoni, che venivano duramente perseguitati.

Secondo i racconti popolari, Vlad III si liberò di mendicanti e straccioni invitandoli a una festa, rinchiudendoli in un palazzo e dando fuoco all’edificio. Per costruire il castello fortezza di Curtea de Arges, pare abbia organizzato delle vere e proprie deportazioni.

Né ebbe vita tranquilla in famiglia: il fratello Radu “il bello” conduceva vita ambigua a fianco del sultano Maometto II; Vlad II e il fratello Mircea caddero nella battaglia di Varna.

La prima moglie, da cui ebbe due figli, si gettò dalle mura del castello di Curtea de Agres.

Le tracce di Vlad III storicamente comprovate risalgono soprattutto al periodi in cui Mattia Corvino invase la Valacchia e prese prigioniero il suo signore. Per allearsi con il nuovo sovrano e ritrovare la libertà, l’ambizioso voivoda cercò qualsiasi mezzo, fino anche a cambiare religione. Lasciò il Cristianesimo ortodosso per quello cattolico, professato dal re ungherese. Come se non bastasse, si risposò con una parente del re. Infine gli fu resa la libertà, e tornò a regnare sulla Valacchia.

In guerra fu coraggioso e spietato, pare che combattesse in prima linea accanto ai suoi soldati, e programmasse con cura ogni azione tesa a fermare il nemico, fosse la tattica della terra bruciata, l’incendio di accampamenti, i raid notturni, i massacri di prigionieri i cui cadaveri venivano fatti trovare al nemico in zone strategiche… Doveva avere doti da vero leader, perché riuscì per molti anni a tener testa all’esercito ottomano, praticamente senza aiuti mercenari o grandi alleanze con vicini Regni. In trentamila contro un’armata dieci volte più numerosa, e addestrata bene.

La sua fine fu violenta come la sua esistenza: venne tradito ed ucciso vicino a Bucarest, in battaglia, da alcuni grandi proprietari terrieri. Un ufficiale turco ne avrebbe poi decapitato il cadavere e portato la testa fino a Costantinopoli, allo stesso sultano, che l’avrebbe esposta a palazzo. Non ci sono prove certe di questi eventi, ed altrettanto discussa è la sepoltura. Secondo la tradizione più accreditata, il corpo venne tumulato a Snagov, in uno splendido monastero, in mezzo all’omonimo lago.

Quando negli anni Trenta archeologi romeni sollevarono la lastra che doveva sigillare la tomba del voivoda, trovarono poche ossa di roditore. Nelle vicinanze del monastero rinvennero un altro sepolcro: ma anche qui, tutto quello che restava era un abito di seta gialla, con i bottoni in argento. E ancora oltre, un altro sepolcro conteneva una veste lunga e rossa, alcuni gioielli ed un anello di turchese con sopra incisa la figura di un animale imprecisato – un drago? I reperti furono portati a Bucarest, e l’anello scomparve prima che gli esperti potessero esaminarlo. E la leggenda continua a vivere.

Per molti Romeni, Vlad III è un vero e proprio eroe nazionale, l’ultimo dei principi guerrieri, l’uomo che ha difeso il Paese dalla barbarie degli Ottomani. Avendo cercato di riunire i vari principati, viene ritenuto il fondatore dello stato moderno, ed è a lui attribuita la trasformazione di Bucarest in vera capitale. Forse per queste patriottiche ragioni, il romanzo Dracula è stato tradotto in Romeno solo dopo la caduta di Ceausescu.

L’atteggiamento dei Romeni verso il libro è abbastanza ambivalente: l’abbinamento del voivoda al vampiro non piace a molti, si sentono offesi; d’altra parte il personaggio letterario è stato sfruttato per far decollare il turismo. Storici e studiosi hanno cercato di restaurare i luoghi dove visse il vero Vlad III, anche con un certo rigore filologico. Vengono mostrati riproduzioni o resti di abiti, lettere, trattati, armature, armi, strumenti di tortura – il famigerato palo ! – e utensili quotidiani, plastici di fortezze, diorami… Il Museo di Storia Nazionale di Bucarest ha organizzato l’allestimento di mostre permanenti in varie località del Paese. Con la collaborazione di svariati enti quali l’Istituto Lombardo per gli Scambi Economici-Culturali Italo Romeni, parte del materiale raccolto è stato inviato anche in Italia, per esposizioni in suggestivi castelli e palazzi: Grazzano Visconti, Castello di Roccascalegna (Chieti), Lido di Jesolo (Venezia), Santa Maria di Sala (Venezia).

Tuttavia, la storia rievocata con fedeltà non è paragonabile nemmeno alla lontana alla suggestione della leggenda, e non riempie l’occhio di un visitatore ignorante o in cerca di emozioni a buon mercato. Per quanto straordinario e affascinante possa essere, Vlad Tepes rimane un Principe del Rinascimento, e, al pari di Lucrezia Borgia, nulla ha di sovrumano. Così, imprenditori con pochi scrupoli hanno finanziato ricostruzioni più o meno pacchiane nelle location del romanzo. Montagne tra le più belle del mondo, antiche città fortificate, monasteri e suggestivi paesaggi rurali rischiano di finire invasi e irrimediabilmente trasformati dall’avanzare di fast food, pub, parchi a tema, musei delle cere, negozi di souvenir, catene di alberghi e ristoranti con tanto di spettacoli ispirati all’argomento. Purtroppo non sono esibizioni folcloristiche animate dalle belle musiche sullo stile di quelle interpretate da MARTA SEBESTYEN nella colonna sonora de Il Paziente Inglese, o rapsodie sull’esempio di BÉLA BARTOK ma squallidi intermezzi in stile gotico dark spacciati per episodi del libro.

Visitate la Transilvania appena ne avrete l’occasione, non aspettate: il turismo responsabile può essere una strategia vincente per salvare intere zone, e recuperarle anche economicamente. Quando già non sono cadute sotto i colpi di un turismo organizzato che vuole stupire con i vari “Dracula Tours”. Roba da far accapponare la pelle!