Il Volto delle Acque (The Face of the Waters | 1991) di Robert Silverberg

Il Volto delle Acque

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Il Volto delle Acque (The Face of the Waters | 1991) di Robert Silverberg

Anteprima testo

Sopra era azzurro, e sotto c’era un altro tipo di azzurro, due immensi vuoti inaccessibili; la nave sembrava quasi sospesa tra uno e l’altro di quei due azzurri incorporei, come se non ne toccasse alcuno, immobile, perfettamente calma. Ma in realtà si trovava in acqua, proprio nell’elemento a cui apparteneva, e continuava a muoversi. Per quattro giorni interi aveva puntato costantemente al largo, allontanandosi da Sorve, veleggiando sempre più lontano nel mare su cui nessun sentiero è tracciato.

Quando la mattina del quinto giorno, di buon’ora, Valben Lawler salì sul ponte della nave ammiraglia, centinaia di musi argentati spuntavano dall’acqua, da tutte le parti. Era una novità. Anche il tempo era cambiato: era caduto il vento e il mare languiva; non era semplicemente piatto, ma di una calma particolare, elettrica, potenzialmente esplosiva. Le vele erano flosce. Le cime ciondolavano. Una linea sottile e netta di foschia grigia attraversava il cielo, come un invasore proveniente da qualche altra parte del mondo. Lawler, un uomo di mezza età alto e snello, dalla struttura atletica e ag-graziata, ghignò verso le creature che erano nell’acqua. Erano talmente brutte da essere quasi attraenti. Bestie sinistre, pensò.

Errore. Sinistre sì, bestie no. C’era un gelido barlume di intelligenza nei loro sgradevoli occhi rossi. Un’altra specie di esseri intelligenti in questo mondo che già ne è popolato.

Erano sinistri proprio perché non erano degli animali. E proprio brutti a vedersi: quelle teste strette, quei nasi allungati, come tubi. Sembravano enormi vermi metallici che spuntavano dall’acqua. Quelle mandibole capaci, quegli innumerevoli dentini affilati come lame, che luccicavano al sole. Apparivano così totalmente e inequivocabilmente malevoli che c’era proprio da ammirarli.

Lawler si trastullò per un attimo con l’idea di saltare oltre la fiancata e sguazzare in mezzo a loro.

Si chiese quanto sarebbe durato, se lo avesse fatto. Cinque secondi, molto probabilmente. E poi la pace, la pace eterna. Un’idea piacevolmente perversa, una fugace, piccola fantasia suicida. Ma naturalmente non faceva sul serio. Lawler non era il tipo da suicidarsi, altrimenti lo avrebbe fatto parecchio tempo prima, e comunque in quel momento era chimicamente isolato dalla depressione, l’ansietà e altre simili spiacevolezze. Quel pizzico di tintura di alghe stupefacenti che si era somministrato appena alzato: quanto le era grato!

Quella medicina gli forniva, almeno per alcune ore, un rivestimento impenetrabile di calma che gli permetteva di guardare negli occhi un mucchio di mostri dentati come quelli e ghignare. Essere un medico (essere il medico, l’unico, in quel gruppo di persone) comportava dei vantaggi.

Lawler vide Sundira Thane, vicino all’albero maestro, che si sporgeva dal parapetto. Diversamente da lui, quella donna alta e dinoccolata, dai capelli scuri, era un’esperta viaggiatrice oceanica che aveva già compiuto parecchi viaggi fra le isole, spesso coprendo notevoli distanze. Conosceva il mare, lei. Lui, lì, era fuori del suo elemento.

“Hai già visto cose del genere?” le chiese.

La donna sollevò lo sguardo. “Sono drakken. Brutti cef-fi, vero? E per di più abili e rapidi. La inghiottirebbero completamente, davvero, se solo desse loro una mezza opportunità. Buon per noi che siamo quassù e che loro sono laggiù.”

“Drakken,” ripetè Lawler. “Non ne avevo mai sentito parlare.”

“Vivono a nord. Non li si vede spesso nelle acque tropicali, o in questo particolare tratto di mare. Credo che voglia-no farsi una vacanza estiva.”

Gli stretti musi dagli innumerevoli denti, lunghi quanto il braccio di un uomo, si ergevano come una foresta di spade sulla superficie dell’acqua. Lawler intravide al disotto qualche corpo sottile, a forma di fettuccia, splendente come metallo lucidato, dondolare in profondità. Di tanto in tanto si vedeva una coda a punta, oppure una possente mandibola palmata. Gli restituivano lo sguardo vivaci occhi di un rosso fiammeggiante, con un’intensità che metteva a disagio. Quegli esseri stavano parlando gli unì con gli altri con toni alti e chiassosi, strilli fragorosi e striduli, il suono come di asce che sbattono contro le incudini.

Da qualche parte spuntò Gabe Kinverson, che si mosse lungo il parapetto e si mise fra Lawler e Thane. Kinverson.

muscoloso e immenso, con un viso affilato cotto dalle intemperie. Aveva con sé gli strumenti del mestiere: una manciata di ami e filo e una lunga canna…

Il voltodelle acque - Copertina

Tit. originale: The Face of the Waters

Anno: 1991

Autore: Robert Silverberg

Edizione: Sonzogno (anno 1992), collana “I Romanzi Sonzogno”

Traduttore: Linda De Angelis

Pagine: 392

ISBN: 8845404617

ISBN: 9788845404610

Dalla copertina | I protagonisti di questo ultimo affascinante romanzo di Robert Silverberg sono uomini, ma la loro patria non è la Terra: è Hydros, il pianeta delle acque, un universo dove le poche isole sono fatte d’alghe e l’esistenza viene continuamente minacciata da forme di vita misteriose e inquietanti. Gli antenati della popolazione umana del pianeta sono giunti qui per sfuggire alla gigantesca esplosione che ha annientato la Terra in un passato remoto: tanto remoto che ormai se ne va perdendo anche la memoria. Valben Lawler, medico dell’isola di Sorve, è forse uno dei pochi che continui a rimpiangere (e sognare) il pianeta originario.