Lo Hilbeloth è il regno degli elfi, un bosco pieno di meraviglie ma anche di pericoli per chi decide di addentrarsi tra le sue Querce Sacre senza conoscere appieno le leggi del popolo che lo abita.
Durante una notte carica di misteriosi poteri, entro i confini di questo luogo magico si trovano a incrociarsi i destini di singolari personaggi: Teagrin il nano è risoluto a trovare l’amico Kypad, mezzo-uomo di Sollebonta;
Evelyn, druida mezz’elfa, è alla caccia di colui che ha rubato il rarissimo vischio argentato; Isabeau, umana e apprendista maga, vuole recuperare proprio il magico vischio trovato dalla sua “farfatalla” Fetherlight; la sorella gemella Elèna, “cavalieressa” dell’Accademia di Steinwïrst, vuole trovare lei, credendola sperduta nel bosco; Hunt, il capitano dei Cacciatori Elfi, viene inviato in una strana missione assieme a due sergenti, Ves e Belthamas, e una piccola squadra di soldati.
Questi sono solo alcuni dei protagonisti del romanzo d’esordio di FRANCESCO VIEGI, Warheit – Una Corda di Canapa, ma molti ancora ce ne sarebbero da elencare: Principesse cattive, Maghi oscuri avvolti nell’Ombra, dottori, farmacisti e avvocati elfici, creature magiche benevole o molto pericolose, la Foresta stessa, la cui vera voce può essere udita solo dai più meritevoli e il cui giudizio è inappellabile. In questo libro, infatti, ogni personaggio assume un ruolo importante diventando così protagonista.
I vari “attori” e le rispettive vicende, inizialmente tanti fili isolati, si trovano via via intrecciati insieme in un complotto losco e crudele ai danni di Hunt e Ves, nel quale sono implicati tutti, nel bene e nel male.
Quale sarà la sorte di Isabeau, condannata dal Gran Giurì elfico e obbligata ad una difficile Ordalia? E, soprattutto, cosa si cela veramente dietro le trame oscure che l’hanno coinvolta assieme alla sorella e ai suoi nuovi amici?
La parola che dà nome alla trilogia di Francesco Viegi è Warheit, ricavata da wharheit, che in tedesco significa Verità. E proprio la ricerca della verità su ciò che ha corrotto la magica foresta degli elfi è il tema non solo del primo volume, il cui finale resta aperto, ma anche dei successivi ancora inediti.
Una Corda di Canapa è un piccolo “giallo” fantasy perfetto per un target giovanile, caratterizzato da una trama piacevole, tratti umoristici e introspezioni psicologiche lineari adatte alla comprensione anche dei più giovani. Naturalmente, come in ogni avventura fantasy che si rispetti, sono presenti il Bene e il Male, i Buoni e i Cattivi, ma senza un impatto crudo o descrizioni traumatiche. Anche la presenza di uno “zoo” di creature fantastiche non può mancare: troviamo il pitone parlante che cerca di mangiare Kypad, il terribile Windwoolf che attacca Hunt, lo Studdock, letale forma magica assunta dai negromanti, Fetherlight, fatina alata e fedele aiutante di Isabeau, e il Krok di Teagrin, una curiosa quanto affamata creaturina “siamese” con due teste, due nomi e due bei caratterini vivaci che si dimostreranno molto utili nel corso degli avvenimenti.
Interessante è la rappresentazione delle figure femminili, protagoniste ma non dominatrici, elemento questo che si discosta dall’attuale propensione del Fantasy ad infilare guerriere ovunque. Per lungo tempo relegata un passo dietro all’Eroe, con l’unico ruolo di esaltarne le qualità (coraggio, forza, potere) o di costituirne la ricompensa, ora la donna più che rivalutarsi rischia di cadere nell’eccesso opposto: procaci nelle forme, queste nuove amazzoni – probabilmente in nome di una strana forma di revanchisme – si sono fin troppo mascolinizzate negli atteggiamenti. Nel romanzo di Viegi questo per fortuna non avviene: la donna cavaliere, Elèna, soprannominata dalla sorella “La Generalessa”, è scarsamente appagata dal ruolo – impostole dal padre –, mentre le altre protagoniste non sono le classiche eroine dotate di super poteri, ma solo normali ragazze che cercano di reagire all’ingiustizia alla pari dei compagni maschili.
La componente sentimentale è appena accennata, salvo l’indubbio attaccamento di Ves (che è un’elfa) al prode Hunt, e la comica cotta di Kypad, il piccolo mezzo-uomo, per Elèna, bella, bionda e alta un metro e ottanta.
Quello che si può appuntare a quest’opera è forse la scarsa caratterizzazione associata ai nomi, molti dei quali sono ostici da memorizzare e non facilmente ricollegabili a località, cariche e personaggi. Inoltre emergono scontate le associazioni ad altre famose opere fantasy: Isabeau ricorda molto le maghette della Rowlings, la farfatalla è una via di mezzo tra i daimon di Pullman e le mascotte degli studenti di Hogwarts, e il loro incontro richiama alla mente la cerimonia del Cappello Magico presieduta da Albus Silente. Kypad, per le sue caratteristiche fisiche, fa pensare ai mezz’uomini di Tolkien, pur non avendo piedoni pelosi. Altri personaggi appaiono stereotipati: il nano con barba e ascia che ama la birra costituisce una rappresentazione tipica in ambito Fantasy; gli elfi buoni e cattivi assumono il ruolo edulcorato di Luminosi e Oscuri, appellativi ormai classici.
Tuttavia, il testo scorrevole e la simpatia del tono narrativo mettono in secondo piano tutto il resto.
In conclusione: un libro piacevole da leggere e forse da raffinare ancora, per rendere al meglio i concetti e i sentimenti che l’autore desidera trasmettere.