“Volpe, volpe, esaudisci il mio desiderio. Lasciami vincere solo una volta.”
Il terzo film della saga arriva nel 2003, e questa volta il timone passa alla regista Yun Jae-Yeon. Yeogo Goedam Sebeonjjae Iyagi: Yeowoo Gyedan, il cui titolo internazionale è Whispering Corridors 3: Wishing Stairs, non è solo la solita storia sovrannaturale ad ambientazione scolastica, ma segna anche una felice seppur minima incursione nel folclore coreano.
Ingranaggio della vicenda è una scalinata di 28 gradini che porta al dormitorio della scuola, la cosiddetta ‘scala dei desideri’: se qualcuno la sale contando i gradini, esiste la possibilità che, in particolari circostanze, possa contarne 29. Colui o colei che riesce a calpestare il fantomatico ventinovesimo gradino potrà chiedere a uno spirito-volpe di esaudire un suo desiderio. Ma per ogni desiderio realizzato ci sarà un prezzo da pagare…
Siamo in un college con annessa scuola di danza. Eom Hye-Ju, una ragazza obesa vittima dello scherno delle compagne, viene a conoscenza della leggenda della scalinata e si rivolge allo spirito per chiedere ciò che chiunque al posto suo avrebbe chiesto. Detto, fatto: nel giro di una notte la ragazza dimagrisce tanto da risultare irriconoscibile.
Hye-Ju, inoltre, sembra nutrire una vera e propria venerazione per Kim So-Hee, la più talentuosa ballerina della scuola, ma costei non ha occhi che per l’amica Yun Jin-Seong, il legame con la quale sembra ben più profondo dell’amicizia, almeno da parte di So-Hee. Questo rapporto è messo a dura prova dalla notizia che a breve si terrà l’audizione di una prestigiosa accademia di danza russa per il ruolo di Giselle: So-Hee è la favorita ma Jin-Seong non si rassegna e, scovato il ventinovesimo gradino, chiede di poter vincere il provino. Le cose precipitano dopo la gara, quando un banale incidente manda So-Hee all’ospedale compromettendo, forse, la sua carriera di ballerina. Mentre Jin-Seong raccoglie onori e consensi come nuovo astro nascente del balletto, So-Hee si strugge nella disperazione e nella solitudine fra le recriminazioni di sua madre e l’assenza dalla sua ormai ex amica. Quando So-Hee muore, Hye-Ju si reca nuovamente sulla scalinata per domandare il suo ritorno…
Come già nei precedenti capitoli della saga, punto di forza di questo film è la caratterizzazione dei personaggi, primo fra tutti quello di Hye-Ju che, anche da magra, non cessa d’essere la ragazza strana e inquietante che tutti scansano e di cui tutti impietosamente prendono in giro manie e comportamenti. La giovane diventa bulimica e il suo desiderio di normalità ben presto affonda, vomitato assieme ai pasti che consuma. La bellezza non le porta la popolarità, continuerà a trascorrere solitari pomeriggi nel seminterrato della scuola.
È tratteggiato con efficacia anche il personaggio di contorno di Han Yoon-Ji, una scultrice in erba che perseguita Hye-Ju. Per lei non ci sarà nessuna scalinata e nessun ingannevole spirito-volpe, ma anche a lei il destino riserverà una sorte infausta: diverrà infatti, in carne e ossa, l’opera d’arte perfetta, a tal punto realistica da strappare al suo professore d’arte il tanto agognato complimento “sei la migliore”.
Il messaggio, insomma, è chiaro, e cioè che è bene stare sempre attenti a cosa si desidera, perché quando il desiderio si avvera non è detto che lo faccia nel modo che avevamo immaginato. È un po’ lo stesso assunto su cui si fonda Wishmaster, capostipite (nel 1997) dell’omonima saga di film che ad oggi conta tre sequel.
In Wishing Stairs trovano ampio spazio sentimenti contrastanti come amore, gelosia, tradimento, e si sviscera la complessità di relazioni umane che non sono quasi mai paritarie ma sempre basate su un elemento dominante (qui rappresentato da Jin-Seong, che per l’amica prova un affetto molto distaccato e velato di invidia) e uno più debole (So-Hee, che non cessa mai di voler bene alla compagna). Se nel precedente capitolo l’omosessualità era esplicita, qui vi è solo un’insinuazione sottile (o almeno così può venir percepita da un osservatore occidentale). Se So-Hee è lesbica, allora Jin-Seong ne rappresenta il desiderio inespresso e, a sua volta, Hye-Ju completa il triangolo adorando So-Hee, quasi come fossimo catapultati dentro un disegno di M.C. Escher. Leggendo tra le righe si capisce che, ancora una volta, l’origine della rivalità latente è da ricercarsi in un ambiente che stimola la competizione ai massimi livelli.
Il ruolo del sovrannaturale nello svolgersi dei fatti resta piuttosto ambiguo: fa la sua apparizione il solito fantasma dai lunghi capelli corvini, ma si potrebbe credere che a dargli forma sia la cattiva coscienza di Jin-Seong; mentre Hye-Ju ha evidentemente una personalità disturbata e l’assunto che la sua possessione da parte dello spirito di So-Hee sia ‘reale’ non è per nulla scontato. Il solo fatto che la sceneggiatura riesca a insinuare il dubbio sul ruolo attivo del fantasma nella storia toglie alla pellicola un po’ del suo sapore di déjà-vu.
Dal punto di vista estetico, il film sfrutta molto bene gli spazi; la profusione di lunghi corridoi (della scuola, dell’annesso dormitorio e dei sotterranei) deserti e poco illuminati rende finalmente giustizia al titolo del franchise. Il resto è un repertorio di effetti già visti mille volte, ma sempre maledettamente efficaci, con la tensione che sale per gradi raggiungendo il climax solo nella seconda metà del film, dove le atmosfere si fanno decisamente cupe e inquietanti.
Resta tuttavia una vaga sensazione di occasione mancata: la debolezza è forse da ricercarsi nella sovrabbondanza di trame e sottotrame che, a lungo andare, sottraggono efficacia alla visione d’insieme.
La leggenda dello spirito-volpe
Ma perché parlavo di incursione nel folclore? Perché nel folclore coreano esiste effettivamente uno spirito-volpe mutaforma che si chiama kumiho o gumiho (letteralmente, volpe a nove code). La rassomiglianza con le analoghe figure del mito cinese (huli jing) e giapponese (kitsune) è evidente, ma, mentre queste non sono necessariamente malvagie, la kumiho ha connotazioni prevalentemente maligne e la maggior parte delle leggende la vede intenta a cibarsi di cuori o fegati umani (anche profanando le tombe per procacciarseli) o le attribuisce tendenze vampiriche. Non mancano storie in cui le kumiho cercano di diventare umane (il film Gumiho, aka The Fox with Nine Tails, diretto da Park Hun-Su nel 1994, racconta appunto una vicenda di questo tipo).
L’elemento folcloristico è del tutto normale in un paese che può vantare una così lunga e ricca tradizione popolare. Il terzo capitolo della nostra saga è un esempio recente di cinema che affonda il proprio innegabile potere di suggestione nella tradizione, ma già quarant’anni prima un’opera come A Thousand Year-Old Fox (Cheonnyeon Ho, di Shin Sang-Ok, 1969), per fare un esempio, proponeva la sua particolare rivisitazione del mito dello spirito-volpe.
Quel vecchio film, praticamente introvabile (a parte una versione in lingua originale non sottotitolata) narra la storia di una donna, Yeo-Hwa, allontanata dal regno di Shilla dalla malvagia regina Jin-Seong che mira ad avere campo libero per sedurre il di lei marito Kim Won-Rang. Nel corso del suo viaggio attraverso le montagne, Yeo-Hwa, assalita dai banditi, si getta in un lago infestato dallo spirito di una volpe uccisa tempo addietro da un antenato della stessa regina Jin-Seong. Nasce quindi un potente sodalizio fra la donna e la creatura la quale, incarnandosi nel corpo di Yeo-Hwa, tornerà a Shilla per compiere la comune vendetta.
La leggenda vuole che una comune volpe, se raggiunge la soglia dei mille anni di età, può diventare una kumiho e ottenere il potere di trasformarsi in donna per compiere i suoi misfatti, non ultimo l’aggirarsi nelle notti di luna piena in cerca di vittime maschili da sedurre e da uccidere.
Esattamente come la corrispettiva cinese huli jing e la giapponese kitsune, anche la kumiho può finire col tradire la propria identità, a causa di un particolare che non sarebbe in grado di cancellare durante la sua mutazione: solitamente si tratta della coda (anzi, delle sue nove code), che permane anche nel suo aspetto umano e che, in qualche modo, la kumiho cerca di nascondere tra le vesti.
Altre pellicole hanno ripreso la leggenda, nel corso degli anni, ma si tratta più che altro di filmetti di intrattenimento senza alcun valore culturale: sto parlando del già citato Gumiho e della serie TV My Girlfriend Is a Nine-Tailed Fox (Nae Yeojachinguneun Gumiho, 2010).
Forse dall’esterno è difficile percepire la profondità del folclore coreano e la sua influenza sulla cultura popolare, ma la sua realtà è innegabile. È un patrimonio vecchio di secoli che non ha nulla da invidiare a quello di altri Paesi più vicini alla nostra sensibilità e cultura.
Si ringrazia The Obsidian Mirror
Tit. originale: Yeogo Goedam Sebeonjjae Iyagi: Yeowoo Gyedan
Anno: 2003
Nazionalità: Corea del Sud
Regia: Yun Jae-Yeon
Autore: Kim Su-A, Lee Yong-Yeon, Lee Sin-Ae, Lee So-Young (scritto da)
Cast: Song Ji-Hyo (Yun Jin-Seong), Park Han-Byul (Kim So-Hee), Jo An (Eom Hye-Ju), Park Ji-Youn (Han Yoon-Ji), Kong Sang-A (Kyoung-Jin), Lee Ji-Hyeong (Young-Seon)
Fotografia: Seo Jeong-Min
Montaggio: Kim Jae-Bum, Kim Sang-Bum
Musiche: Park Seung-Won, Jo Min-Su, Song Gyeong-Geun
Rep. Scenografico: Ji Sang-Hwa (scenografie)
Costumi: Jo Yun-Mi, Lee Ji-Min
Produttore: Lee Choon-Yun
Produzione: Cine-2000 Film Production, CJ Entertainment
Ciclo Whispering Corridors
Whispering Corridors 2: Memento Mori
Whispering Corridors 3: Wishing Stairs