Wolf Guy

Wolf Guy – L’emblema del lupo

Dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo per affogare le proprie frustrazioni, la bella e divorziata professoressa Aoshika della scuola pubblica Hakutoku, tornando a casa nottetempo, assiste per strada al brutale pestaggio di un ragazzo da parte di una gang. L’aggressione è talmente violenta che la vittima non può essere sopravvissuta, e per questo motivo Aoshika resta allibita quando, il giorno successivo, ritiene di riconosce il ragazzo proprio in un suo nuovo studente: il giovane non solo è vivo, ma appare del tutto incolume.

Si tratta di Akira Inugami, espulso da un istituto privato e appena arrivato alla Hakutoku. A parte il confronto con la professoressa, per lui l’inserimento è a dir poco problematico. La sua classe è comandata da Dou Haguro, figlio di un importante esponente della Yakuza, e Inugami trova subito modo di attaccar briga con uno dei suoi tirapiedi. Quest’ultimo non esita a metter mano al coltello, ma nella colluttazione resta ferito dalla sua stessa arma. Haguro e i suoi compagni meditano allora di vendicare l’amico, senza sapere che il nuovo studente non è… un ragazzo qualunque… Come del resto già Aoshika sospetta.

In questo modo inizia il primo volume di Wolf Guy – L’emblema del lupo, il manga sceneggiato da Yoshiaki Tabata (noto per opere quali Akumetsu e Yagyuu Hijouken Samon).

Pubblicata in Italia da J-Pop, la serie, che si compone di 12 volumi, rappresenta una sorta di remake dell’omonimo fumetto (Wolf Guy – Ookami no Monshou) ideato negli anni ’70 da Kazumasa Hirai affiancato dal disegnatore Hisashi Sakaguchi. Sul medesimo soggetto, tratto dal ciclo di romanzi ‘Adult Wolf Guy’, scritti da Hirai tra il 1969 e il 1980 (a cui in parallelo si affianca un altro suo ciclo, ‘Wolf Guy’, 1971-1995) sono stati realizzati un live action (1973) per la regia di Masashi Matsumoto e una serie animata OVA composta da sei episodi usciti tra il 1992 e il 1993.

Questa nuova rivisitazione, stampata a partire dal 2007, si mostra ben più moderna e violenta dell’originale, non meno convincente e interessante ma non adatta a tutti i palati. Disegnato da Yuki Yogo – già assieme a Tabata in Akumetsu – e Ayumi Izumitani, si tratta di un manga dai toni cupi, destinato a un pubblico adulto: non mancano infatti lunghe sequenze di efferata violenza, con tanto di stupri e soprusi di svariata natura. L’autocensura evita la visualizzazione dei genitali nelle scene di sesso, ma si limita a questo, lasciando esplicite le torture, le mutilazioni, le sevizie…

Ambientata in un Giappone contemporaneo, la vicenda si focalizza sul presente di Akira Inugami, ragazzo misterioso e dal fascino conturbante che nasconde un incredibile segreto: è infatti un licantropo; come tale esercita sugli uomini attrazione e al tempo stesso paura primigenia, terrore atavico suscitato a livello inconscio. Ciò innesca rivalità e rivalse senza quartiere tra il protagonista e gli sgherri di Dou Haguro, contrasti che sfoceranno, nei volumi finali, in una vera e propria guerra combattuta sul piano fisico e psicologico, che coinvolgerà compagni di scuola e, soprattutto, la bella e burrosa insegnante Aoshika, della quale Akira finirà per innamorarsi.

Tra gli aspetti che più risaltano vi è la buona resa grafica, con un disegno di discreto livello, abbastanza curato e di forte impatto. Lo stile non è omogeneo, il che rappresenta al contempo un difetto ma anche un pregio dell’opera: da un certo punto di vista consente di enfatizzare il carattere dei personaggi e le pulsioni che li animano, scurendosi e sporcandosi inevitabilmente ogni qualvolta sono gli istinti e la brutalità a emergere, aspetti che per lo più si accostano al personaggio di Dou Haguro; nel caso di Akira (malgrado pure lui non esiti a ricorrere alla violenza), il personaggio è reso con vignette più definite e dai toni più chiari, che non ne trasfigurano mai i connotati, salvo le rare scene in cui muta il proprio aspetto in quello di lupo. Lupo, peraltro, dal pelo candido.

Il disegno suggerisce quindi una certa aura di nobiltà che il protagonista possiede e conserva, e che invece gli esseri umani sembrano avere irrimediabilmente perduto, forse a causa del distacco dalla Natura, dell’asservimento a logiche distanti da quelle dell’istinto, condizionate da una certa induzione all’omologazione tipica della società nipponica. Non è propriamente il fior fiore della società quello che ci viene mostrato, tutt’altro: sono infatti le persone comuni, studenti addirittura, a dimostrarsi capaci di nefandezze di ogni genere, dagli atti di bullismo alle aggressioni a mano armata, dagli stupri agli omicidi.

I lupi, invece, quegli stessi animali che hanno cresciuto Akira tra le nevi dell’Alaska, rappresentano una sorte di élite a cui tendere; che però sperimenta sulla propria pelle la solitudine e l’inquietudine derivanti dall’impossibilità di farsi accettare nella loro natura. Qualcosa che, in parte, richiama alla memoria le vicende di Kiba e compagni, protagonisti della serie anime Wolf’s Rain del 2004.

In quest’ottica, Akira incarna una sorta di eroe tragico, per certi versi già sconfitto dal fato: orfano, appartenente a una razza in via di estinzione, condannato a essere perseguitato e temuto e, per questo, a non poter stringere legami duraturi senza mettere in pericolo la vita delle persone care. Malgrado tutto ciò, e nonostante un carattere schivo e altezzoso, è un lottatore, un personaggio caparbio e tenace, con valori chiari e ben radicati, che non esita a esporsi e perfino a sacrificarsi per punire coloro che lo perseguitano o che osano ricorrere alla violenza in modo gratuito e insensato. A muoverlo non è tanto lo spirito di giustizia ma la passione e la fierezza, reso forte delle proprie facoltà sovrumane e desideroso di affermare un certo ordine sul mondo in cui vive.

Akira viene proposto alla stregua di un discutibile paladino, insomma, qualcuno che chiunque vorrebbe accanto, soprattutto in un mondo scolastico che, pur estremizzato nel manga, resta un contesto di violenza e bullismo fin troppo noto ai ragazzi, giapponesi e non. In Giappone, in particolare, alle normali ‘fatiche’ scolastiche si somma una pressione spesso esagerata che la società esercita sull’individuo, e che può portare gli studenti più vulnerabili a compiere gesti estremi.

Accanto a questo fenomeno, e alla perdita di valori e di riferimenti che sottintende, il manga ammicca anche a fatti di cronaca che per lo più sembrerebbero riguardare il mondo della scuola statunitense, ovvero le stragi e gli attacchi armati messi in atto da studenti. Non vi è però interesse particolare a indagare l’origine di tanta irrazionale ferinità; i fatti violenti vengono presentati in modo quasi ‘normale’, per favorire lo sviluppo della trama, amplificando però il senso di critica e di contrasto che si innesca nei riguardi del personaggio principale.

Pur essendo un licantropo, una creatura mostruosa e animata dagli istinti, non è Akira il mostro bensì la gioventù stessa che la società del presente va formando. Una gioventù sulla quale poco o niente sembrano essere in grado di fare gli adulti, qui rappresentati dagli insegnanti e da poche altre figure di rilievo. Gli educatori falliscono nel proprio compito, anzi, addirittura rischiano di divenire delle vittime. In questo senso, la figura della bella e procace professoressa Aoshika – praticamente l’incarnazione del sogno erotico di gran parte del pubblico di lettori maschi – riassume su di sé il ruolo della fanciulla da salvare che diviene occasione salvifica anche per l’eroe stesso.

A differenza di questi due protagonisti, che a modo loro incarnano dei modelli stereotipati, la figura di Dou Haguro rappresenta invece qualcosa di differente. Egli è infatti una sorta di creatura spaventosa, un essere unico e solo tanto quanto Akira. Lo si può considerare disumano proprio come adolescente; è un ragazzo incommensurabilmente forte e carismatico, ma costituisce l’essenza dell’esempio negativo da condannare. Su questo personaggio gli autori del manga hanno lavorato molto, cogliendo numerose occasioni per indagarlo e caratterizzarlo. Attraverso lui il lettore è portato a riflettere su ciò che può costituire il senso dell’essere umani, sprofondando in buie emozioni e tetre suggestioni contro cui lo stesso ragazzo finisce per scontrarsi mentre conduce la propria crociata per eliminare i mostri ‘veri’, come Akira, o come Chiba, persona di fiducia di Haguro tramutatosi in una creatura mostruosa dopo aver ricevuto una trasfusione dallo stesso ragazzo lupo.

Diversamente, la caratterizzazione del protagonista Akira risulta meno singolare, sospesa tra l’atteggiamento di dichiarata superiorità – in fondo, possiede capacità sovrannaturali – e il rifiuto della propria condizione, tra la volontà di staccarsi da tutti e lo slancio a compiere gesta umanamente impossibili per salvare la vita altrui. Niente di particolarmente nuovo, se non per la formidabile forza di volontà e abnegazione di cui dà prova, fino a giungere a un epilogo dal sapore tragico, ma non chiuso.

Un altro aspetto tramite il quale Wolf Guy attesta la propria modernità è la presenza di Internet, il web come principale media di comunicazione per diffondere materiali e filmati con modalità analoghe a quelle adottate dai gruppi terroristi post 11 settembre. Ecco allora che la rete diviene una vera e propria arma di diffamazione e di offesa contro la quale, in una disperata corsa contro il tempo, dovrà lanciarsi proprio una creatura che dalla tecnologia appare molto lontana: è anche per impedire che i video contenenti gli stupri della professoressa Aoshika vengano diffusi in rete, rovinandole per sempre l’esistenza, che Akira sceglie di affrontare Haguro e i suoi nonostante il novilunio e la consapevolezza di non poter contare appieno sulle capacità che la sua natura di lupo gli conferisce.

Non è invece riservato molto spazio all’indagine della figura del licantropo in sé: non ne viene spiegata l’origine, né tanto meno si contestualizza la presenza degli uomini lupo nel mondo. Esistono e basta. Allo stesso modo in cui può esistere qualcuno di crudele e demoniaco come Haguro, può esistere qualche creatura maledetta quale un licantropo.

Questa impostazione potrebbe inoltre essere motivata dal fatto che la figura del licantropo non appartiene alla mitologia e al patrimonio di leggende nipponiche, e che quindi sia stata scelta più per il suo fascino letterario e per le pulsioni a essa connesse (dalla ferocia alla sessualità) che per altri motivi. In realtà, nella tradizione mitologica del Giappone sono presenti figure similari ai licantropi, come gli youkai, creature mutaforma capaci di assumere sembianze umane e che, in alcuni casi, si comportano da messaggeri degli dei (kami). Lo stesso nome Inugami, traducibile con ‘cane kami’, è presumibilmente stato scelto secondo questa logica.

La stessa mutazione di Akira – sebbene il ragazzo non sia l’unico esemplare della propria specie che compare nel manga – viene mostrata con parsimonia, aspetto che, probabilmente, potrebbe far storcere il naso a quanti si attendano una più decisa volontà di portare in scena il mostro dalle sembianze di lupo.

Non è invece da ricercare un parallelo tra questo manga e la saga di Twilight di Stephenie Meyer: sebbene entrambi incentrati sulle vicende di adolescenti ‘mostruosi’, la brutalità e le tematiche contenute nell’opera di Kazumasa Hirai sono di ben altra natura, così come il pubblico di riferimento.

Volendo proprio creare un parallelo, Wolf Guy – L’emblema del lupo potrebbe meglio accostarsi a un’altra opera manga di matrice nipponica: Berserk, di Kentaro Miura. L’analogia (oltre alla somiglianza del viso dei protagonisti) può avvenire sulla base della forza del destino avverso che i protagonisti di entrambe le opere sperimentano, senza dimenticare che in ambo i casi la donna da loro amata viene seviziata dal principale antagonista e dei suoi sottoposti. Sia Akira che Gatsu hanno infine un legame con la figura del lupo, il primo in quanto licantropo, il secondo per via dell’armatura stregata che utilizza. Malgrado storia e ambientazioni completamente diversi, i due personaggi si richiamano l’un l’altro per la medesima crociata che compiono, lottando fino a un’apparente e inevitabile estinzione di sé. Il finale di Wolf Guy risulta astuto e sibillino e, seppure proponga la conclusione di un arco narrativo, lascia aperta la possibilità per una continuazione.