Anno 2300: dopo aver rinvenuto nel sottosuolo del pianeta Solo una gigantesca astronave e un robot componibile di origini sconosciute, una spedizione archeologica terrestre subisce l’attacco di una bellicosa razza aliena, il Buff Clan. Gli aggressori sono intenzionati a riappropriarsi del robot che riconoscono come Ideon, ossia il corpo materiale della loro divinità, l’Ide. Coinvolti in questa guerra improvvisa, i terrestri iniziano una lunghissima fuga nello spazio, usando l’enigmatica astronave per spostarsi da un pianeta all’altro, e le capacità dell’Ideon per difendersi dai quotidiani assalti nemici. Ma il reale potenziale del robot, che si scopre presto essere senziente, è assai maggiore – e ben più pericoloso – di quel che sembra…






Il parere del Mistè
Pur sfortunatissimi con Gundam (Kidou Senshi Gundam), splendido e rivoluzionario titolo robotico del 1979, davvero troppo dissacratore, nel suo anno di uscita e nei suoi temi, per mirare al successo commerciale immediato, lo studio Sunrise e il regista Yoshiyuki Tomino credono nella portata avveniristica delle loro intuizioni e sono subito pronti (1980) a concedere il bis con una nuova opera innovativa che dia un forte scossone al genere. Nasce la serie televisiva Densetsu Kyojin Ideon (noto anche come Space Runaway Ideon): altro eclatante flop, e altra chiusura affrettata da parte degli sponsor (i 43 episodi inizialmente previsti scendono a 39). Ma, in successivo clima di riabilitazione, nuovo capolavoro indimenticabile. La Storia si ripete con beffarda ironia.






Ideon è una serie televisiva che, se ci basasse sul solo aspetto estetico, è effettivamente tremenda, tra quelle più visivamente datate di sempre. Il character design di Tomonori Kogawa è sgraziato e per nulla attraente, la colonna sonora funk è piatta, i colori smorti, e in particolare è il classico robottone protagonista – quello che in teoria dovrebbe attirare i bambini giapponesi come mosche sul miele – a essere fonte di orrore: un gigantesco ciclope rosso con faccia bianca da marziano (comprensiva di antennine), risultante dall’agganciamento di due inguardabili furgoni con un aereo. Il rozzo colosso sa solo dare pugni e calci, non ha armi (tranne una sorta di potentissimo bazooka che appare però a serie inoltrata) ed è pilotato da Cosmo Yuki, allucinante ragazzo dalla pettinatura afro fiammeggiante. Non è difficile credere al leggendario commento (riportato da Kinejun Mook nel libro 1964-1999: Complete Works of Yoshiyuki Tomino) che Tomino fece quando vide per la prima volta il robot commissionatogli dall’azienda di giocattoli Tomy e realizzato dallo studio Submarine: “questa è una reliquia della Sesta Civiltà [una civiltà superiore, NdC], chi altri potrebbe aver realizzato un design così terribile?” [trad. Dario ‘Kotaro’ Rotelli]. Quanto è vero che non bisogna badare alle apparenze: grazie al regista la serie acquista un’incredibile originalità e, con i successivi film che ne chiudono la storia, entra di diritto nel mito, divenendo anche la più nota fonte d’influenza per il film The End of Evangelion (1997).






Il pessimismo imperante in cui è annegato coadiuvato dall’idea del robottone ‘bomba a orologeria’: sono questi i punti di forza che contraddistinguono Ideon, ieri come oggi, dalla quasi totalità degli altri anime di analogo genere. Per la prima volta in una serie robotica troviamo come protagonisti un folto gruppo di infami, i quali nella guerra contro il Buff Clan si lasciano trascinare da cinismo, insensibilità e razzismo mai così esplicitamente analizzati. Sono personaggi estremamente delineati e approfonditi, ognuno con una precisa identità, verosimili nei loro ragionamenti; e proprio il realismo di fondo nella loro tesa situazione li rende schiavi, tutti (eroe compreso), di istinti di sopravvivenza che fanno risaltare i loro lati meno nobili. La stessa caratterizzazione esemplare è riservata ai membri del Buff Clan. Non c’è speranza di comprensione tra le due razze perché nessuna vuole scendere a compromessi; perfino gli idealisti, che nell’amore o nell’amicizia sperano di trovare la chiave della pace, vedono presto infrante le loro illusioni, anch’essi inghiottiti nella spirale negativa invocata e perseguita dai compagni. Impressionante riflessione sull’impossibilità di risolvere le controversie senza aprirsi al minimo dialogo, Ideon è unico, nel suo genere, a presentare un così grande cast di personaggi negativi.
Altro grande elemento di interesse – poi ripreso e ampliato da altri cartoni toccando i più disparati generi – è l’idea di un protagonista (in questo caso, il mecha) recante in sé la minaccia di annientare la realtà/l’universo al verificarsi di una particolare condizione; è ciò che il muto, enigmatico Ideon è in grado di fare se dovesse giudicare l’Uomo tanto malvagio e pericoloso da meritare di essere ‘azzerato’. L’intuizione è portentosa, usata per far risaltare ancor più la grettezza del cast di antieroi, inutilmente impegnati a frenare i loro istinti truci per impedire che il gigante ripudi loro e l’umanità intera (è invece la purezza dei bambini, estranei all’odio e alla diffidenza, a controbilanciare in positivo i sentimenti dell’entità). Bisogna rilevare che il soggetto è stato sicuramente influenzato dal manga Mars di Mitsuteru Yokoyama, serializzato tra il ’76 e il ’77 e basato su un’idea simile, ma è la prima volta che lo spunto compare in animazione in modo così maturo e approfondito.





Ideon è un cartone bellissimo che, pur peccando di un comparto tecnico non proprio esemplare (con ricicli e animazioni non esaltanti), rappresenta un colpo di genio, non solo per la trama dalle forti connotazioni sociali e filosofiche ma anche per l’essere stato la prima serie robotica ‘tradizionale’ a farsi portavoce di alcune delle innovazioni strutturali di Gundam, ponendo più attenzione alla costruzione della storia e al delineamento dei personaggi e meno agli schematismi robotici. Questi ultimi non vengono rinnegati ma significativamente – e nuovamente – dissacrati, visti nell’ottica dell’Ideon che è di fatto invulnerabile a qualsiasi attacco (anche a bombe atomiche!) e che si limita a distruggere all’infinito, in ogni puntata, semplici, banali navicelle nemiche, non affrontando mai robottoni suoi pari.
L’unico limite dell’opera può essere inquadrato nella sua sceneggiatura, capace di affascinare ma anche di annoiare: da una parte strega con le variegate scenografie fantascientifiche (pianeti popolati da bizzarre flore e faune), gli elementi di nichilismo e misticismo, la fortissima drammaticità generale (che vede morire con regolarità elementi del cast in entrambe le fazioni) e le impressionanti, apocalittiche battaglie in cui spesso e volentieri interi pianeti finiscono distrutti dalla furia di Ideon; dall’altra parte infastidisce per la sua ridondante struttura narrativa retta su uno spropositato numero di riempitivi. La storia molto raramente si concede approfondimenti sui misteri principali (cos’è l’Ideon e come si può impedirgli di distruggere tutto?), procede invece a rilento per effetto di un infinito susseguirsi di battaglie, con i nostri eroi sempre impegnati a difendersi dagli attacchi del Buff Clan e fuggire su nuovi pianeti. Fortunatamente gli episodi, salvo le prime puntate, sono di un grandioso crescendo qualitativo, ben scritti, elaborati negli scontri e fortemente retti sul carisma dei personaggi e dei loro legami; ma rimane certo il fatto che la serie possa pure annoiare chi non abbia totale dimestichezza con gli schematismi dell’epoca. Nonostante questo, Ideon è meritevole di essere visto anche oggi: il debole aspetto visivo viene presto controbilanciato dall’originalità del soggetto e dalla cupezza della storia, senza speranza e piena di drammi.




Recensione: The Ideon (Bilogia cinematografica)
Si giunge così ai lungometraggi conclusivi. L’enorme successo del primo film della trilogia cinematografica (1981-1982) di Gundam convince la Sunrise a riabilitare serie sfortunate contando sull’aiuto delle sale; come accennato, accade anche con Ideon, che in questo modo riesce a trovare un vero finale, costituito da un doppio adattamento filmico che lo studio co-produce insieme a Sanrio Film. Le due pellicole, affidate sempre a Tomino, escono nelle sale il 10 luglio 1982.
La prima, Densetsu Kyojin Ideon: Sesshoku-hen (il titolo in versione inglese è The Ideon: a Contact), è pensata per riepilogare in appena 85 minuti le prime 32 puntate della serie TV. È facilmente intuibile come l’approccio sia quello di ripresentare la storia nel modo più lineare e conciso possibile, riassumendo con sufficienza le caratterizzazioni e le relazioni interpersonali dei personaggi più importanti, eliminando quasi del tutto gli avvenimenti che li vedono protagonisti. Il risultato di fondo è comunque guardabile: la sintesi scorre via chiara e semplice, nonostante diversi personaggi diventino amebe informi e una moltitudine di fatti e avventure spariscano togliendo quella sensazione di lunga, terrificante e snervante odissea vissuta in giro per l’intero universo. Seppur breve, il film è piacevole da vedere, coerente e valido, e le diverse modifiche operate sull’intreccio originale (personaggi uccisi in modi, tempi e luoghi alternativi) sono sufficienti a dare una parvenza di novità, anche a dispetto di un’aggiunta veramente esigua di animazione inedita (circa 5 minuti). A Contact non ha nulla di ciò che ha reso grande la serie madre, ma ne rappresenta una sorta di sintetica trama alternativa intesa a rinfrescare la memoria al pubblico.
È in Densetsu Kyojin Ideon: Hatsudou-hen (The Ideon: Be Invoked) che l’opera trova la sua dimensione definitiva, quella di autentico classico del decennio e dell’animazione in generale, una di quelle visioni che lasciano dentro qualcosa che non se ne andrà mai. Uno stato d’animo a metà fra shock, commozione ed estasi è l’effetto che produce questo finale potentissimo, capace di mescolare con armonia pugni allo stomaco e poesia pura. Esaurita una sintesi televisiva nei primi 28 minuti (già con parecchie modifiche e animazioni nuove), Tomino prosegue narrando come ulteriori disgrazie, morti e pazzie omicide inghiottano entrambe le fazioni per traghettarle verso un’ultima, sanguinosa battaglia sprizzante odio. La conseguenza, già ravvisabile dal titolo, non può che essere l’Apocalisse temuta da tutti, fatta di una cattiveria senza pari (appena appena mitigata da una lieve nota speranzosa nel finale): solo nella morte l’individuo trova la pace con il ‘diverso’, negata in vita dai crudeli meccanismi sociali; forse un giorno, grazie ai poteri dell’Ideon, l’umanità avrà una occasione di riscattarsi.
La potenza espressiva, narrativa e cinematografica di Be Invoked è fuori discussione: è un film duro, depressivo e al contempo adrenalinico, devastante; è la migliore conclusione che l’opera potesse trovare, capace di sfruttare al 100% le potenzialità del soggetto. Impressiona in special modo la forza evocativa delle immagini: gli ultimi 60 minuti sono realizzati da zero con un alto budget, e lo si nota chiaramente nella cura delle animazioni, nella sofisticata complessità dei mecha e nelle epiche, lunghissime e numerose battaglie, fonti di memorabili suggestioni. La regia di Tomino è all’apice della creatività, conferendo senso e caratterizzazione agli sventurati attori con pochi secondi di inquadratura, con dialoghi indovinati che donano ritrovata personalità a un cast enorme. Nella sadica carneficina finale, la morte dei personaggi non scade mai in teatralità gratuita, a ognuno di loro viene riservato il giusto spazio per soffrire e far soffrire lo spettatore, in un crescendo di pura, genuina commozione; un susseguirsi di spietata crudeltà defluente nell’inaspettata, sognante meraviglia poetica conclusiva, 15 minuti visionari che catapultano Tomino – come se ce ne fosse ancora bisogno – nell’Olimpo dei grandi registi.
Alla fine si può solo rimanere a fissare uno schermo colmo di mari e onde simboliche, cullati da una colonna sonora orchestrale che incanta per magniloquenza sinfonica.
Dopo aver battezzato con Gundam la nascita del robot ‘realistico’, Tomino e Sunrise applicano con Ideon le loro innovazioni anche nel classico robottone tipicamente ‘super’, e, complice il mega-successo commerciale dei film sul celebre mobil suit, conquistano il diritto di prendere e mantenere le redini del genere, esplorandone nuove caratteristiche in nuovi progetti, diventando a tutti gli effetti in Giappone LO studio mecha per definizione.
Il parere del Corà
Storditi dal successo planetario, che ha toccato anche l’Italia alcuni anni orsono grazie alla allora rivoluzionaria messa in onda su MTV, e offuscati da un’effettiva mancanza di informazione in proposito, si tende a dimenticare che il popolare Neon Genesis Evangelion (1995) mai avrebbe visto la luce senza la creazione, oltre quindici anni prima, di questo Space Runaway Ideon. Strutturalmente agli antipodi per storia e personaggi, ma filosoficamente identici per certi temi toccati, nonché per una bizzarra simmetria episodica nella conclusione (entrambe le serie interrompono bruscamente la storia per mancanza di finanziamenti, e poi la riprendono con un film riassuntivo di circa 60 minuti e un altro, di circa 90, in cui viene narrato il vero e proprio finale, tra l’altro materialmente identico), Ideon si distacca da Evangelion perché è allo stesso tempo – come molte altre opere del guru Yoshiyuki Tomino – di forte originalità per le argomentazioni discusse e di fondamentale importanza per l’intero universo dell’animazione nipponica.
Tuttavia, pur dovendo chinare il capo di fronte a una tale innovazione contenutistica, è difficile, al giorno d’oggi, riuscire ad assaporare questa serie con la giusta passione e spirito critico. I primi 30 episodi consistono in lunghi, estremamente ripetitivi, e anche noiosi una volta compreso il meccanismo, inseguimenti spaziali e sterili combattimenti tra mecha. In ogni puntata, il Buff Clan cerca di raggiungere l’astronave Solo e di distruggere gli umani, ma loro, guidati da Cosmo e dal ciclopico Ideon, vincono la battaglia e continuano a scappare. Nient’altro. Nessun avanzamento della semplice trama principale, né un minimo tentativo di variare la minestra riscaldata. Non è quindi difficile rendersi conto di come questa struttura episodica, fortemente ancorata all’era robotica pre-Gundam, dopo un iniziale coinvolgimento renda narcotica ogni speranza di arrivare alla parte finale e, da lì, collegarsi all’immortale, splendido lungometraggio conclusivo. A cotanta richiesta di pazienza deve anche aggiungersi una palese auto-clonazione/citazione (la nave Solo, fuggendo disperatamente dagli alieni e trasportando militari e civili, riflette la Base Bianca di Gundam) che continua a calare lo spettatore in una brutta sensazione di déjà-vu, e un’orribile fantasia robotica che ha portato, su suggerimento di una nota società di produzione di giocattoli, alla creazione, forse, del peggior mecha mai visto in animazione. Un robot che si forma per mezzo dell’unione di un aereo e due camion graficamente ignobili, pittato interamente di un colore rosso che fa sanguinare gli occhi, reso ridicolo da una testa oltremodo semplicistica e che, oltre a usare un super fucile capace di distruggere un pianeta intero, non sa fare altro che dare calci e pugni. Si conosce l’avversione di Tomino verso lo splendore grafico dei mecha su cui puntano molti registi e che porta troppo spesso a distogliere l’attenzione dalla trama generale, dai temi affrontati e dai messaggi che si vogliono esprimere, ma provare anche il minimo piacere visivo verso l’Ideon è impresa davvero vana.
Space Runaway Ideon, semplicemente, è una serie forse troppo avanti per quegli anni ma che, vista con occhi attuali, appare invecchiata male e spesso indigesta. Con 25 episodi in meno avrebbe brillato – perché questo fa quando finalmente la trama ingrana, nell’ultima manciata di puntate, prima di confluire nel drammatico film conclusivo – per la splendida caratterizzazione dei personaggi e gli ambigui, sofferenti, dolorosi legami che li uniscono, attraendo e respingendo ideologie finemente contrapposte, morali avanguardisticamente utopistiche e atteggiamenti atti a ricreare, come sempre voluto da Tomino, il complesso mosaico sociale, nelle sue contraddizioni e nelle sue inadeguatezze. Stupiscono, infatti, ora come allora, la ferrea compostezza militare di Sheryl, il sofferto ruolo di leader di Bes, il carisma incompreso di Cosmo, le continue, spesso immotivate ed estreme, proteste di Kasha, e la diffidenza espressa da Gije.
Ci troviamo quindi di fronte a un’opera storica, di grande importanza per l’evoluzione degli anime, ma che nella sua parte televisiva non è stata in grado di conservare integro il suo fascino col passare degli anni; quella parte si mostra ora poco attraente, ostica e relativamente pesante e monotona. Il consiglio da fan è quello di tentare la visione integrale, e magari resistere, centellinando coraggiosamente nel tempo gli episodi, perché l’inferno emotivo che si proverà nel lungometraggio finale è autentica, sincera, devota meraviglia. Il consiglio umano, invece, è ahimè di concentrarsi solo sui due film, il primo dei quali, nonostante impedisca di affezionarsi ai personaggi in maniera adeguata, riassume in modo sufficiente i primi 32 episodi televisivi.

Tit. originale: Densetsu kyojin ideon
Anno: 1980
Nazionalità: Giappone
Regia generale: Yoshiyuki Tomino
Regia episodi: Yoshiyuki Tomino, Osamu Sekita, Susumu Ishizaki, Toshifumi Takizawa, Masanori Miura, Katsuyoshi Yatabe, Shinya Sadamitsu
Autore: Yoshiyuki Tomino”, Hajime Yatate
Character design: Tomonori Kogawa
Art direction: Mitsuki Nakamura
Musiche: Koichi Sugiyama
Produttore: Hiroshi Ishikawa, Tadashi Matsushima Toru Hasegawa
Produzione: Sunrise, Tokyu Agency, TV Tokyo
Animazione: Biboo, Sunrise